giovedì 24 maggio 2018

Prisoners (2013)

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La paura più spaventosa e angosciante di ogni genitore è quella che i propri figli spariscano nel nulla, da un momento all'altro, senza lasciare traccia. Quasi certamente vittime di criminali legati alla pedofilia o al traffico di esseri umani, o a profili di assassini seriali.
Purtroppo, questo è il terrificante evento che capita a Keller Dover (Hugh Jackman), e alla sua famiglia, che, mentre festeggiano il giorno del Ringraziamento assieme ai vicini, i Birch, perdono di vista le rispettive bambine, Anna e Joy, per realizzare poco dopo che sono scomparse.
Ne consegue una gigantesca caccia all'uomo, guidata dal detective Loki (Jake Gyllenhaal), che produce un fermo, un ragazzo ritardato di nome Alex Jones (Paul Dano), poi scarcerato per mancanza di prove.
Le famiglie sono devastate dal dolore e dall'angoscia. Keller, in particolare, divorato dai sensi di colpa instillatogli anche dalla moglie (Maria Bello), decide che il ragazzo momentaneamente arrestato è colpevole e che la polizia è incompetente, ragione per cui agisce in prima persona, rapendo Alex e sottoponendolo prima a vari pestaggi e poi a tortura, per estorcergli le informazioni inerenti il luogo dove è tenuta la figlia.

Prisoners è il primo film americano del regista canadese Denis Villenueve, che veniva da due opere acclamate dalla critica: Polytechnique e La donna che canta. Per l'occasione, il cast che la produzione  hollywoodiana gli mette a disposizione è di prim'ordine.
La pellicola merita a mio avviso la visione non tanto per il plot poliziesco, che in effetti inciampa in diversi clichè, ha un primo finale non proprio a sorpresa e pesca qualche dinamica da Il silenzio degli innocenti o da Vanishing (a sua volta remake dell'olandese Il mistero della donna scomparsa). Piuttosto Prisoners trova il suo perchè nella spirale paranoico distruttiva nella quale precipita il protagonista Jackman, di professione falegname, che, per lenire dolore e sensi di colpa, si mette metodicamente a torturare un ragazzo disabile, applicandosi, nella costruzione di un artigianale strumento di tortura, con la stessa indifferenza con la quale assemblerebbe un tavolo per il soggiorno. La storia per lui si concluderà in modo spietato, con un contrappasso biblico a punirlo per le sue azioni. E' chiaro che il messaggio della storia, reso in maniera estremamente efficace dalla messa in scena e dalla fotografia di una Pennsylvania opaca, piovosa, malinconica, vuole mettere a fuoco il diverso stato di prigionia, fisico o mentale, di tutti i personaggi della vicenda: le bambine, Keller, il sospetto rapitore, il detective.

Da questo punto di vista, un grande film.

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