lunedì 21 settembre 2015

Motley Crue with Neil Strauss, The dirt



Non è certo per affinità con lo stile di vita dei componenti dei Motley Crue che dal 1983, anno di uscita di Shout at the devil, ascolto questa band. Il motivo, molto più banalmente, è che mi è sempre piaciuto il glam - metal che i quattro proponevano. Chiaramente l'eco delle gesta di Vince Neil, Nikki Sixx o Tommy Lee mi arrivavano anche in periodi molto antecedenti l'avvento delle comunità globali, ma prima di leggere The dirt non avrei mai pensato a quale livello di granitica ignoranza e di infide bassezze potessero arrivare i quattro, sia nei rapporti reciproci che in quelli con le persone che gravitano attorno alla band.
Non dico che la biografia non mi sia piaciuta, in fin dei conti è una lettura scorrevole e quando si parla di un soggetto che, tra picchi e valli di ascolto, ti accompagna da trent'anni, lo sfrucugliamento è assicurato. Però, ecco, diciamo che se non avessi mai ascoltato i Crue, aver appreso così tanto delle loro personalità non mi avrebbe incentivato ad acquistare un loro album o andare ad un loro concerto (cosa invece che farò il prossimo novembre).
 
Non tanto per la dissoluta decadenza degli anni ottanta, nei quali alcol e droghe sono stati l'unico interesse dei quattro; non per la delusione di scoprire che i primi quattro album del gruppo (Too fast for love, Shout at the devil, Theatre of pain, Girls girls girls), da me all'epoca molto apprezzati, siano stati incisi in uno stato di quasi totale incoscienza facendo ampio di ricorso a scarti, outtakes e frattaglie accumulati nel tempo; neanche per l'indifferenza ostile che ogni componente della band ha nutrito per anni nei confronti degli altri, al punto che un crue vivo, morto o in galera non faceva alcuna differenza per il resto della formazione, ma probabilmente l'elemento che più mi ha indignato è stato l'esagerata misoginia applicata nella pratica giornaliera alle groupies o alle donne in generale che gravitavano introno al circo dei Motley. Mi si dirà che si tratta di relazioni tra adulti consenzienti, ma le tante umiliazioni alle quali sono state sottoposte le diverse fanciulle in cerca di quindici minuti di gloria insieme alle rockstar di turno mi hanno provocato rigetto e disgusto.
 
Non è tutto qui The dirt, ma è chiaro che il settanta per cento (stima per difetto) di acquirenti del libro sono interessati a sbirciare da dietro il buco della serratura le evoluzioni sessuali di Vince, i dettagli della relazione tra Tommy e Pamela (non mancano, tranquilli) o per avere contezza di quanto accadeva nei camerini prima (durante) e dopo i concerti, piuttosto che per documentarsi sui processi creativi dei dischi nel periodo coperto dalla bio (dalla nascita dei singoli componenti all'uscita di New Tattoo, nel 2000).
Se è questo che cercate, tra le pagine di The dirt troverete pane per i vostri denti.
 
Io preferisco tornare ad ascoltare Dr. Feelgood cercando di concentrarmi su ciò che dovrebbe contare di più in un gruppo di artisti: la musica.

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