venerdì 23 gennaio 2015

Anarchy Inc.: Sons of Anarchy 6 e 7


Nonostante per me restino una grande passione, ultimamente non sto scrivendo più di serie TV. Non posso però esimermi dall' esprimere qualche considerazione sulla conclusione di Sons of Anarchy, saga che ha sempre trovato spazio su queste pagine e che nel tempo è significativamente cresciuta in budget, audience, riscontri sulla pop culture e ...riflessi nella vendita di Harley.
Sputo subito il rospo: pur rendendomi conto che non sia facile, nemmeno per un fuoriclasse come Kurt Sutter, riempire i tredici episodi di ogni stagione avendo tra le mani un canovaccio abbastanza statico basato sulle gesta di una gang di criminali in motocicletta, è tanta la delusione per la qualità dello script delle ultime due stagioni del serial.
 
Molto si è detto sulla svolta negativa assunta da SoA con la dipartita di Opie, (Ryan Hurst) personaggio cardine per l'equilibrio psicologico di Jax (Charlie Hunnam), ma a mio avviso tutta l'impalcatura della storia ha subito un durissimo contraccolpo anche con le uscite di scena di Clay,  (Ron Perlman) che riempiva le inquadrature con la sola presenza fisica e, in misura minore, di Otto (interpretato dallo stesso Sutter), memoria storica del club e sorta di parafulmine per tutte le malefatte dei suoi soci.
Privata di questi personaggi, la sceneggiatura ha cominciato a farsi ripetitiva, a girare intorno a se stessa, e anche la sconvolgente conclusione della sesta stagione non è bastata per risollevare le sorti di una annata con troppo fumo attorno all'esiguo arrosto costituito del conflitto Tara / Gemma.
Troppi episodi, troppi filler, troppe sottotrame inconcludenti, troppa violenza non realmente necessaria allo sviluppo della storia.
Insomma di due stagioni se ne poteva tranquillamente produrre una e forse sarebbero comunque avanzati una manciata di episodi.
Nemmeno l'inevitabile scontro finale tra l'ape regina Gemma e il figlio Jackson regala particolari sorprese, così come la sorte di Jax stesso è troppo accondiscendente verso il personaggio, oltre ad essere realizzata tecnicamente in maniera imbarazzante.
Che abisso da The Shield, la precedente opera di Sutter. Anche in quel caso, nel corso delle sette stagioni, abbiamo assistito ad alti e bassi d'ispirazione, ma la media si è sempre mantenuta a livelli d'eccellenza e la stagione finale si è dimostrata lucidissima nel perseguire il proprio obiettivo che prevedeva la sistematica distruzione dei personaggi cardine della storia.
 
Ciò non toglie la bontà dell'intuizione dietro a Sons of Anarchy e la sua commistione vincente tra modern cowboy life, noir e intrecci shakespiriani, oltre alla creazione di una manciata di characters che, ne sono certo, rimarranno a lungo nell'immaginario collettivo degli amanti di questo genere di serial.
So long, SAMCRO.
Ora non resta che attendere cos'altro diavolo saprà inventarsi il buon Kurt.

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