lunedì 19 gennaio 2015

Pierpaolo Capovilla, Obtorto collo


Partiamo dall'apparenza. Dai colori. Le copertine dei tre album del Teatro degli Orrori avevano tutte una forte componente di tonalità scure, con una prevalenza di nero a rappresentarne inequivocabilmente i contenuti. Per questo la cover di Obtorto collo, il cd dell'esordio solista di Pierpaolo Capovilla, mi ha totalmente spiazzato. Dal buio siamo passati ad una deflagrazione di luce bianca talmente abbacinante e intensa da consumare i contorni della sagoma del cantante.
Sulle prime trovo la cifra stilistica dell'artwork molto fighetta e temo lo stesso per la direzione artistica dell'opera. Per fortuna mi sbaglio.

Invitami, la traccia di apertura del lavoro, è infatti incisa nella più solida tradizione degli opening del Teatro degli Orrori. Un pezzo minimale, notturno, recitato più che cantato. La musica è confidenziale ma le parole del testo sono sferzanti (La metropoli comincia a starmi stretta / In campagna la gente è troppo ignorante /  Io non mi riconosco più / In questi luoghi e in queste circostanze). 
Nel complesso la prima parte dell'album riesce nell'impresa di portare l'esperienza dei TdO ad uno step successivo, concedendo qualcosa ad una più ampia fruibilità delle canzoni ma senza rinunciare ad una forte connotazione identitaria. Non a caso nel primo gruppo di tracce si trovano i due singoli estratti dall'album: Dove vai e Come ti vorrei.
Stilisticamente l'impronta capovilliana è inconfondibile, anche se priva dell'aggressività della sezione ritmica dei TdO o della cazzimma post rock dei One Dimensional Man. Qui ci si muove su terreni più algidi, improvvisamente incendiati dalle asprezze di alcuni passaggi delle liriche e puntellati da raccordi di sax tenore che esplodono senza preavviso come autobombe nella notte silenziosa.
Nell'economia della distribuzione dei pezzi, Irene, la composizione più debole, è piazzata a metà tracklist, come fosse una camera di decompressione che precede un trittico di canzoni claustrofobiche, dalle quali emergono Quando, con l'autore che torna ad interpretare, stavolta in maniera inequivocabile, un personaggio femminile messo alla prova da una relazione degradante e Ottantadue ore, sviluppata sulla figura di Francesco Mastrogiovanni, maestro elementare e anarchico, deceduto in circostanze mai chiarite. Il pezzo che dà titolo all'album è anche, con la sua melodia sghemba e dissonante ed un'interpretazione alla Nick Cave, uno uno dei picchi dell'opera.
La chiusura di Arrivederci è un altro tributo, stavolta dedicato al poeta Andrea Zanzotto.

Obtorto collo è un'opera sicuramente imperfetta, a tratti ridondante e non sempre efficace a livello di songwriting. Sarebbe però ingeneroso non riconoscere l'eccellenza di una manciata di brani come, ad esempio,  Invitami, Come ti vorrei, Quando e Obtorto collo rispetto al contesto del panorama musicale italiano e alla storia stessa del suo autore. E' inutile continuare a porre l'accento sull'arroganza artistica, croce e delizia della cifra stilistica di Pierpaolo Capovilla: questo tratto caratteriale è senza dubbio componente essenziale del suo talento. A volte può tracimare e rovinare il raccolto ma quando coglie nel segno è capace di scuotere ed emozionare come pochi altri. E quest'album, seppure in misura altalenante e discontinua, ne è l'ennesima dimostrazione. 


Nessun commento: