lunedì 4 novembre 2013

Motorhead, Aftershock


Adesso se ne parla solo in termini mitologici, ma diciamo la verità: ad un certo punto i Ramones avevano rotto i coglioni. Che non è che avessero pubblicato sempre e solo capolavori come il trittico iniziale. Allo stesso modo ci mettono duramente alla prova gli AC/DC, che si differenziano con il gruppo in chiodo, jeans e All Star per il fatto di essere sopravvissuti, ma che alla fine ruotano sempre intorno ai classici di trent'anni fa e allo stesso identico modello di canzone. Non c'è niente da fare, quando il brand musicale di una band è così marcato e inconfondibile da entrare nella storia, diventa croce e delizia, salvezza e condanna dei propri inventori. In questa dinamica ci sono dentro a pieno titolo anche Lemmy Kilmster e i suoi Motorhead (che peraltro ai Ramones hanno dedicato un pezzo) che dopo Iron Fist, dell'ottantadue, a livello di sound avrebbero potuto anche aver detto tutto quello che avevano da dire, ma che sono invece andati avanti per altri trent'anni e ventuno album complessivi, oscillando sempre tra i generi dai quali deriva lo stile del combo: il punk, l'heavy metal, il blues e il rock venato di boogie.

Vorrei dirvi che Aftershock devia imprevedibilmente da questo schema collaudato, ma sappiamo entrambi che sarebbe una menzogna. Aftershock è completamente calato nel piombo fuso dello schema Motorhead, e quindi l'unica cosa da chiedersi è se il dottor Kilmster sia riuscito a creare pallottole adeguate alla sua fama da killer del rock and roll. La risposta è positiva, anche se non siamo certo di fronte ad un nuovo Ace of spades (e probabilmente non sarebbe nemmeno lecito aspettarselo). Però Heartbreaker inaugura bene la tracklist mentre poco più avanti, la tetralogia aperta e chiusa dai blues lenti Lost woman blues e Dust and glass, che racchiudono le badasses End of time e Do you believe, dà la percezione di essere al meglio della raccolta, e così probabilmente è, a patto però di aggiungerci Silence when you speak to me (dall'incipit in odore di Volbeat, in una sorta di cortocircuito tra ispiratori e ispirati), che, ha voglia Lemmy ad alzare il dito medio in risposta a quanti tentino a tutti i costi di associare alcuni temi del disco (il titolo, Heartbreaker) al suo ultimo, cagionevole, stato di salute: con quel "remember me" alla base del ritornello ha proprio il gusto agrodolce del lascito testamentario.

Insomma gente, è un nuovo disco dei Motorhead. Adesso magari non tratterrete sbuffate ed alzate di sopraccigli, ma è certo che domani questa merda vi mancherà.

7

2 commenti:

Blackswan ha detto...

Questa volta ho saltato l'acquisto, ma non so se ho fatto bene. Insomma, Lemmy è pur sempre Lemmy...

monty ha detto...

Si fa sempre a tempo a recuperare,
magari quando entrerà in fascia
economica :D