Mi incuriosiscono sempre un po’ taluni ingranaggi organizzativi di eventi musicali, che portano ad esibirsi in Italia artisti stranieri – spesso americani – in amene località isolate dal mondo civile ed estranee a qualunque circuito o scena artistica. Qualche tempo fa, Chiari (BS) ha avuto un ruolo di un certo rilievo per la musica folk-rock d’estrazione “Buscaderiana”, con l’assessorato allo spettacolo ad organizzare numerosi concerti con molti artisti di casa sulla rivista varesina (io ad esempio ci ho visto Steve Earle, Joe Ely, The Molly’s). In queste occasioni gli organizzatori “precettano” la popolazione locale per garantirsi dall’eventuale flop, e quindi è normale vedere gente di mezz’età, con il vestito della domenica, a presenziare “l’evento”, totalmente all’oscuro di cosa andrà a vedere ed ascoltare. Casnigo non fa eccezione, a fronte di qualche (più o meno) giovane in jeans, la maggioranza è in tiro e over 50. Altra anomalia, rispetto alla liturgia classica dei concerti, l’esibizione è prevista per le 17, e quando, dopo aver sbagliato diverse volte la strada, arrivo sul posto, scopro che, alla modica cifra di euro 10, al termine dello show sarà offerto un rinfresco. La location è un circolo ricreativo (“Della Fratellanza”), si entra da un portone anonimo che conduce in un cortile ai cui estremi si trovano bar e teatro.
Davanti alla porta chiusa del teatro una manciata di persone che chiacchiera.Uno di loro si intuisce essere l’organizzatore dell’evento, si lamenta della scarsa partecipazione, difendendo con orgoglio la sua intuizione di portare aies carl in mezzo alle valli (- Uhè, dico, l’ultimo disco ha preso quattro stelle sul Buscadero, neh. Quattro stelle!-) e lamentandosi della difficoltà di “aprire le menti” dei suoi compaesani a musica differente da quella che gira oggi nelle radio, soprattutto senza traini di alcun genere. Il suo è praticamente un monologo, anche molto appassionato, io lo capisco, poverino. Entro nel bar annesso e mi faccio strada tra tavoli da briscola e da biliardo, ordino un caffè corretto sambuca, che da queste parti normale non si prendono nemmeno il disturbo di fartelo,mi giro, lo sorseggio mentre studio la clientela. Noto proprio dietro di me una coppia che gioca a carte, ma a differenza del resto dei presenti,i due parlano inglese. Lui mi sembra di conoscerlo. Scazzato come può esserlo solo un texano trascinato da chissà chi in val seriana, Haeys Carll si sta facendo una scala con un’accompagnatrice italiana. Lì guardo un pò sorpreso, sono perfettamente a loro agio, il clima è disteso e rustico. Nel frattempo hanno aperto il portone del teatro, faccio il biglietto , dò un’occhiata alla sala dove si svolgerà il concerto. E’ un delizioso vecchio teatrino da un centinaio di posti, meravigliosamente ristrutturato. Pregusto un’acustica grandiosa. Piazzo il giubbotto sulla sedia in prima fila ed esco in camicia (me ne pentirò). Hayes si è avvicinato al foyer, sembra un po’ spaesato (e te credo), suppongo che non in molti lo conoscano, per cui vaga indisturbato, e probabilmente un po’ annoiato, di punto in punto.
Vinco ritrosia e timidezza, faccio un veloce ripasso mentale d’inglese e avvicino Hayes. Gli dico che ho già ascoltato il suo ultimo lavoro, Trouble in mind, e che lo trovo, pezzo per pezzo, splendido. Gli chiedo se per caso ha con se dei ciddì, visto che negli stores italiani non è semplice trovarli. Sorride quasi imbarazzato, ringrazia e chiede al suo chitarrista di portarli. Sono due dei tre che ha inciso, io ovviamente li compro entrambi (€10 each) lui me li firma. Siparietto esilarante quando una sciura locale si fa fare l’autografo sul ciddì, e cerca di fare lo spelling del proprio nome (g-i-u-s-y) pronunciando le vocali in italiano e non in inglese, con Carll smarrito che scrive, poi corregge più volte, e infine le consegna una dedica personale con il nome talmente scarabocchiato da risultare illeggibile. Non in molti seguono il nostro esempio, e le due torri di compact disc restano impilate in ordine sul banchetto nel foyer. Si comincia, il posto è pieno per metà, da come buttava temevo potesse andare anche anche peggio, sul palco sono in due con la chitarra, Brad Jones, simpatico guascone con coppola irlandese, alterna la sei corde al mandolino. Ad aprire il set, la delicata Beaumont, seguita dal vibrante folk blues di I got a gig e Wild as a turkey, gli applausi arrivano puntuali, ma un po’ formali, c’è poco entusiasmo. Haynes sembra non riuscire a “rompere il fiato”, biascica qualcosa di incomprensibile rivolto al pubblico (immagino una richiesta) ma nessuno risponde e lui imbarazzato replica con un “ah, ok”. Con il vigoroso southern di Little Rock, piazzato quasi a metà spettacolo la gente si scalda davvero, e comincia a battere le mani, e a volte i piedi, a tempo. Tutti, eccetto il sapientone seduto dietro me, che continua a ripetere alla sua accompagnatrice, probabilmente rea di divertirsi troppo, che , alla fine: - si, vabbeh, usano sempre i soliti 2,3 accordi - . Chiude il set, prima dei bis, un’evocativa e lentissima versione di Bad liver and a broken heart, che fa da perfetto contraltare all’originale su disco,dove è la più potente del lotto.
Hayes e Brad ringraziano e salutano il pubblico. Questa liturgia classica dei live, i saluti e il rientro sul palco per gli encore, nel minuscolo teatrino di Casnigo diventa un po’ ridicola, visto che dal palco i due scendono frontalmente, passano davanti agli spettatori raggiungono il fondo della sala. A questo punto l’organizzatore, che era lì ad attenderli, li rispedisce tosto a suonare. Tra i saluti e il loro ritorno sul palco non è passato nemmeno un minuto. I casnaghesi (?) adesso però sono caldi ed entusiasti, e questo vigore sembra arrivare ai due, belli gasati pure loro. Quando ringraziano e chiedono “Any request?” e capisco che è arrivato il mio momento: sono l’unico in sala che può soddisfare questo classico passaggio dello spettacolo, e butto lì - She left me for jesus!!! -. Questa canzone chiude l’ultimo disco, e racconta di un tizio che viene abbandonato dalla sua bella perché lei ha visto la luce, ha trovato Gesù. E' un gran bel pezzo, ironico e irriverente, in odore di blasfemia, oltre ad avere un ritmo trascinante. Ma l’aspetto migliore della questione è che in quella cattolicissima zona, due texani potessero cantare: "SHE LEFT ME FOR JESUS AND THAT JUST AINT FAIR/ SHE SAYS THAT HES PERFECT HOW COULD I COMPARE /SHE SAYS I SHOULD FIND HIM / AND ILL KNOW PEACE AT LAST / IF I EVER FIND JESUS IM KICKIN HIS ASS". Così è andata ed è stato meraviglioso essere l’unico a cantare questi versi, mentre il resto dei presenti, ignari, si spellava le mani.
A fine concerto non senza una certa soddisfazione,osservo il banchetto dei ciddì di Hayes preso d’assalto dagli indigeni del posto (alla fine i dischi saranno tutti venduti). Visto che ormai io e mr. Carll siamo amiconi, non mi faccio ovviamente mancare la foto ricordo, e il brindisi finale a Valcalepio, pane e salame. Nonostante fossi solo, me ne sono andato a fatica, tra gli ultimi ritardatari. Il viaggio verso casa di Hayes Carll from Houston sarà stato lungo e noioso. Per lui, avvezzo a suonare in posti pieni di strafattoni, con la rete da pollaio a protezione del palco, è stata probabilmente una serata bizzarra. Io ho vissuto invece una bella esperienza, a base di buona musica elargita lontano da ogni tipo di consuetudine del music business e dello star system. Persino il ritorno , in una serata senza luna che rende ancora più suggestivo il panorama delle case illuminate nella valle, sembra speciale.
5 commenti:
bella bella bella. bravo!!
ora mi tocca ascoltarlo.
Angelo, se non ti conoscessi, ti vorrei conoscere.
non fate così, che sono emotivo
:-)
Ho sempre cercato di immaginarti, ti ho immaginato in tutti i modi ma mai come in quella foto... la barba ti dona... :D
fratè!
mau
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