martedì 29 luglio 2025
Pug Johnson, El cabron
lunedì 21 luglio 2025
Massimo Priviero, Amore e rabbia (2019)
Massimo Priviero, classe 1960, esordisce discograficamente nel 1988 grazie ad un contratto con la potente Warner guadagnato con le sole sue forze, senza sponsor, che farebbe presagire un futuro da artista mainstream. Ma Priviero non è uno docile (è un complimento) e la major, come spesso accadeva, cambia in fretta "cavallo", lasciando l'artista veneto ad un periodo folle di alti e bassi, fitto di conoscenze "professionali" di ogni tipo, fino ai giorni nostri e ad una sorta di catarsi. Amore e rabbia è la sua autobiografia, e segue Nessuna resa mai, che era stata scritta, sempre sulla sua storia, con buoni riscontri , da Matteo Strukul.
Massimo Priviero è una variabile non comune della musica italiana. Certo, non è l'unico sedotto e abbandonato dal successo di massa e di certo non è l'unica vittima della volubilità delle case discografiche, ma non mi vengono in mente altri artisti musicali che siano usciti da batoste professionalmente tremende con la sua resilienza e la sua testardaggine. Forse un pò i Gang, ma loro sono sempre stati una band di culto.
A metà degli anni dieci, Massimo decide, lui, veneto, ma milanese d'adozione, di tornare a casa sul suo litorale, senza un piano preciso ne un orizzonte temporale definito, perchè sente che è quello di cui ha bisogno. Qui comincia quasi inconsapevolmente a scrivere quello che diventerà la sua storia. Il racconto segue due piani temporali, il tempo reale e, ovviamente, il percorso artistico e personale della sua esistenza.
Percorso che discograficamente inizia quando comunque ha quasi trent'anni e la Warner decide di puntarci forte, producendogli e distribuendogli San Valentino (nella foro sopra, assieme al libro, la mia copia in vinile) con un battage pubblicitario massiccio ma tra i più idioti e controproducenti cui abbia mai assistito in Italia (di cui la responsabilità non è certo sua ma della megalomania di quando le major, arrogantemente, contavano). Forse qualche copia in più l'avrà anche venduta con un claim che riprendeva la mitologica frase di Jon Landau coniata dopo aver visto Springsteen dal vivo ("ho visto il futuro del rock e il suo nome è ...") ma ha messo anche sulle spalle di Priviero un macigno insostenibile.
In ogni caso San Valentino è di sicuro un disco che tenta, riuscendoci, di aprire la strada ad un certo tipo di mainstream rock nel nostro Paese e infatti vende bene, abbinando la qualità di più d'un brano all'elemento catchy. Peccato che da lì a poco la grande major si disinnamori di Priviero decidendo di puntare tutto su un altro rocker emergente, un certo Luciano Ligabue, che esordisce due anni dopo, nel 1990, in contemporanea col secondo lavoro di Massimo, Nessuna resa mai, che è prodotto nientemeno che da Little Steven e che è addirittura migliore del suo predecessore, ma che non viene minimamente pompato dalla Warner, sparendo dai radar delle modalità di promozione di quel periodo (radio e tv, ovviamente).
Da quel momento in avanti per Massimo cominciano le montagne russe del rapporto con le etichette discografiche. Dopo un ultimo passaggio con una major (la Ricordi) e una produzione di prestigio (Rock in Italia, Massimo Bubola), le esperienze con Dig it e Duck Records, che ben ricordo, specializzate in compilation di musica infame ma che vendevano a camionate, e manager lestofanti anche in odore di malavita, a un certo punto decide di affrancarsi da quel sistema e comincia ad autoprodursi. Percorso questo nel quale progressivamente Priviero piega verso un cantautorato più intimista e poetico, dal quale emergono diverse perle, Dolce resistenza, Il mare, Fragole a Milano, Spari nel cielo (anche se quest'ultime scontano richiami rispettivamente a Drive all night e My city of ruins di Bruce), ma soprattutto la più intensa rielaborazione con composizioni inedite di canzoni della resistenza, o per meglio dire, canzoni che celebrano il sacrificio degli alpini morti, o tornati a stento dall'atroce campagna di Russia cui il regime fascista li mandò al massacro (Pane, giustizia e libertà; La strada del davai; Nikolajeva), nel ricordo del nonno, che la guerra (la prima) da alpino la fece davvero.
Amore e rabbia (che è la sintesi dell'approccio che guida Priviero alla creazione della sua musica) non è la classica biografia della rockstar infarcita di sesso e droga - totalmente assenti, al massimo qualche grappino di troppo - ma, forse proprio per questo, appare autentica e onesta, anche magari nei suoi passaggi ingenui o nel sentimento di disillusione e disincanto da autodifesa, motivate da tutto ciò che Massi ha attraversato nel suo percorso di vita.
Percorso che ha avuto ancora dei picchi di esaltazione collettiva, legati alla creazione di una fanbase fedele ("la mia gente") con cui ha raggiunto vette pure nei duemila, grazie a due esaltanti concerti, al compianto Rolling Stone di Milano e all'Alcatraz, entrambi immortalati in due infuocati dischi dal vivo (Rolling live e Massimo) nonchè in episodi curiosi e incredibili come quando, out of the blue, a Priviero viene chiesto di lavorare a dei dischi gospel che lui, all'inizio un pò recalcitrante, poi sempre più convinto, si mette a registrare, tra traditional e inediti, riscontrando un successo imprevedibile che lo porterà ad inciderne quattro. L'aspetto più curioso della cosa è che tutti questi album sono registrati con l'alias Tommy Eden, che ancora oggi ha una pagina wikipedia ignara del fatto che dietro a quel nome si nasconda il nostro.
Pur essendo andato lungo in questa recensione, ho omesso molti aspetti della vita di Massimo raccontati nell'autobio (il suo rapporto scostante con la politica, l'amore per socialisti come Matteotti, la sua vita a Milano, i premi del prestigioso Club Tenco, la sua più importante storia d'amore e il legame con il figlio), mi rimane solo da dire che Amore e rabbia è una lettura sinceramente consigliata per scoprire un personaggio a suo modo unico, hombre vertical a dispetto delle umanissime debolezze, ma soprattutto la sua musica. A cui ti puoi avvicinare iniziando col vederlo dal vivo, con la band o in solitaria. Non resterai deluso e probabilmente anche tu entrerai a far parte della sua comunità. Della sua gente.
martedì 15 luglio 2025
Joker: Folies à deux (2024)
In conseguenza degli eventi narrati nel primo film, Arthur Fleck è ricoverato in una prigione manicomio, completamente mansueto e gestito con psicofarmaci. La conoscenza di un'altra prigioniera, Harley Quinzel, che lo idolatra dopo aver visto un docufilm a lui dedicato, farà deflagrare in Arthur sentimenti dimenticati, e lo metterà davanti alla prova decisiva della sua esistenza.
Dopo aver letto le sinossi a ridosso dell'uscita nelle sale del film, e i commenti negativi di alcuni tra i miei critici di riferimento, ho ignorato questo seguito del Joker di Todd Philips (dietro la mdp anche del sequel). Eppure alcuni elementi avrebbero dovuto farmi accendere una lampadina d'interesse. A partire dalle dichiarazioni di Phoenix che si era detto disinteressato a girare un seguito, per poi cambiare idea dopo aver letto lo script (d'accordo, a volte le star cambiano idea - Jackman con Wolverine - a suon di argomenti economici). Aveva ragione, il buon Jaquin. Philips ha fatto con Folies à deux la stessa operazione di Lana Wachowski con Matrix Resurrections, sia in termini di atto terroristico contro la fanbase, che di killing joke rivolto agli studios, e, tanto che c'era, ha picchiato più di qualche chiodo sulla bara di uno dei villain più iconici e pop del mondo. Mica poca roba, eh. Sicuramente protagonisti e regista avranno messo in conto (esattamente come la Wachowski) il rigetto di molti spettatori, fan o meno, ma se ne sono freagati, andando dritti per la loro strada. La Warner e la Dc avranno invece sperato che il nome Joker nel titolo bastasse a gonfiare i botteghini ma ahimè, oggi il passaparola (social) ha un peso rilevante, nell'uccidere in culla queste aspettative.
Joker 2 è un film anarchico, punk, irriverente. Non poteva che essere un flop. Non poteva che farmi innamorare. Tutto ciò nonostante apprezzi il genere musical quanto potrei apprezzare una colonscopia, ma quando un film è così bello e pregno di testi e sottotesti, il genere passa in secondo piano (vedi Emilia Perez). Che poi, musical. Certo, nel film si canta (troppo, per qualcuno), ma gli intermezzi musicali durano mediamente poco, pescano nel repertorio evergreen dei musical, dello swing o dei crooner e non sono quasi mai coreografati (cioè non ci sono scene di ballo di massa).
La messa in scena, con il prologo cartoonesco in stile Tex Avery, gli intermezzi che riprendono i varietà e i late show americani, i riferimenti poco nascosti al primo film, di cui i protagonisti parlano in termini positivi o negativi, dipingono quest'opera come un percorso di catarsi che compie sì Arthur Fleck, ma che si vorrebbe compisse anche il die hard fan.
E poi c'è la politica. Il rifiuto della leadership assegnata a gran voce da bande di sottosviluppati violente e criminali (a me sovviene qualcuno che invece in America l'ha afferrata e la agita come una colt), ceduta in cambio della riscoperta di un sè stesso fragile e indifeso (la sequenza dell'interrogatorio di Gary Puddles, da questo punto di vista è il momento più rivelatore del film) anche a costo della perdita dell'amore della vita, è un filo narrativo struggente, rivoluzionario e impopolare. Così come lo è questo Joker: Folies à deux, che, l'avessi visto per tempo, sarebbe senza dubbio finito nei miei preferiti dell'anno.
Siccome non siamo nei settanta e nello scenario di libertà creativa introdotta dalla "Nuova Hollywood", atti di coraggio così autolesionistici andrebbero celebrati, ma ahimè, ciò non accade. Speriamo almeno il tempo sia galantuomo.
lunedì 7 luglio 2025
My Favorite Things, giugno 25
The accountant 2 (2,5/5)
FolleMente (2,5/5)
Io sono la fine del mondo (0/5)



