lunedì 26 aprile 2021

Ryan Adams, Wednesdays (2020)


Quando la parte di critica e pubblico più attenta ai fenomeni emergenti in ambito folk-rock  si è accorta di Ryan Adams, eravamo tra la fine degli anni novanta e i primi anni zero, in molti  pensavamo che questo ragazzo poco più che ventenne del North Carolina forse non avrebbe venduto vagonate di dischi, ma sarebbe potuto diventare un solido punto di riferimento per il genere americana. E, nonostante qualche ironia sull'assonanza quasi totale del nome con il rocker canadese Bryan Adams, per un pò così fu. Il buon Ryan per un ampio periodo di tempo si è dimostrato una penna instancabile e un artista prolificissimo, con tredici album in undici anni (dal 2000 al 2011), senza considerare i tre registrati con i Whiskeytown, prima della carriera solista. Al primo decennio ne è seguito un secondo decisamente più morigerato, con solo tre dischi di inediti (intervallati da un buon live e dalla bizzarra operazione con la quale Adams ha reinciso integralmente "1989" di Taylor Swift), di cui questo Wednesdays è l'ultimo, in ordine di tempo.

Purtroppo è successo anche dell'altro, molto più grave del fisiologico saliscendi dell'ispirazione artistica. Adams è stato infatti accusato da diverse donne, tra cui la ex moglie e, purtroppo, anche una ragazza minorenne, di aver usato un linguaggio sessualmente esplicito ed offensivo attraverso messaggi e post sui social e di aver ostacolato la carriera di alcune di queste donne dopo essere stato da loro rifiutato. Per quello che conta, l'FBI, che aveva aperto un'inchiesta, ha fatto cadere le accuse e Adams, che aveva negato gli addebiti, si è infine scusato per le sue azioni. 

Deve essere necessariamente stato questo l'ambito emotivo nel quale è maturato Wednesdays, album intimista nel quale l'artista si mette a nudo come raramente ha fatto in precedenza (e parliamo di uno che, con Love is hell, qualcosina di molto introspettivo ce l'aveva già consegnata) grazie a quella particolare forma di ispirazione che emerge solo dalla sofferenza e, presumo, dalla solitudine. I'm sorry and I love you in questo senso è pedagogica. La canzone, dentro un mood che rimanda direttamente alle cose acustiche di Neil Young nei primi settanta, è un'operazione a cuore aperto e una delle più belle composizioni di sempre sul tema: amante abbandonato che implora perdono. 

Il clima del lavoro è quasi esclusivamente acustico, con qualche rara eccezione (Birmingham; Dreaming you backwards) e la struttura è proprio quella classica d'altri tempi, quando la chitarra stendeva tappeti sonori minimali sopra i quali la voce del cantautore srotolava liriche pregnanti senza peraltro mai rinunciare a refrain incisivi (Neil Young, James Taylor, Bob Dylan, Paul Simon, Jackson Brown). Per mettere in piedi un'operazione di questa natura, solo in apparenza semplice, servono però canzoni di livello, e, dentro Wednesdays, questo aspetto non è mai in discussione, grazie a tracce che arricchiscono l'anima, come Poison & pain (forse la testimonianza più forte delle recenti controverse di Adams); Mamma; la title-track; Who is going to love me now if not you. 

Un disco connotato dalla struggente malinconia di un uomo, un artista, che, alla soglia dei cinquant'anni, forse qualche consuntivo ha cominciato prima a tracciarlo e poi a metterlo in musica, esponendosi ad una sorta di terapia pubblica dove, da una parte c'è lui, e dall'altra chi ha voglia di ascoltarlo. 

Non sono moltissimi purtroppo, e questo è un vero peccato.


P.S. Il disco è uscito solo in formato mp3 a dicembre 2020, per poi essere pubblicato anche sui supporti fisici a marzo 2021. Ecco spiegata la ragione delle due diverse cover.

Nessun commento: