giovedì 24 settembre 2020

The host (2006)

 


A chi fosse interessato a comprendere il significato più virtuoso di "film di genere", assieme ai noti classici di Carpenter, Romero, Friedkin, Melville o del nostro Di Leo, suggerirei convintamente di vedere The host, terzo lavoro di Bong Joon-ho, uno dei registi più interessanti e poliedrici della sua generazione. Dentro una vicenda che richiama quella di Godzilla, cioè di un mostro creato dall'inquinamento causato da mano umana, Joon-ho inserisce una spietata critica agli effetti nefasti del sistema capitalistico sudcoreano, in relazione agli ampi strati della popolazione che vive per strada, ai bambini abbandonati, alle famiglie povere che ricorrono alla pratica diffusa, del "seo-ri" , vale a dire il furto di generi alimentari necessari alla sopravvivenza. In questo senso c'è una scena molto efficace, con due fratelli, uno adulto e l'altro bambino, che si introducono in un chiosco per rubare del cibo e, di fronte al bimbo che trova del denaro e vorrebbe tenerselo, il fratello gli dice che quello non si fa, quello è rubare, mentre procurarsi il cibo per sopravvivere non lo è. Non mancano critiche feroci agli USA, responsabili dell'inquinamento massivo nel prologo del film, e del trattamento disumano riservato al protagonista (Song Kang-ho, autentico feticcio del regista, presente in quasi tutti i film di Bong Joon-ho, fino a Parasite, dove interpreta il padre/autista) nei laboratori in cui è stato portato.

Per tutti quelli che vogliono invece semplicemente godersi l'intrattenimento di un thriller con mostri, The host (campione assoluto di incassi in Corea del Sud) resta comunque una produzione senza rivali (di sicuro non ne ha nella Hollywood attuale), con una creatura anfibia spaventosa e spettacolare, nonchè un utilizzo della computer grafica realistico e non invasivo, una perfetta creazione della tensione, che flirta in maniera efficace con il tono leggero, e tutti gli aspetti tecnici (regia, fotografia e montaggio) superlativi. La trama, infine, con il suo crescendo ad orologeria ed un finale al tempo stesso amaro e poetico, sono la classica ciliegina sulla torta che suggella, da una parte il momento di grazia e di superiorità di gran parte del cinema orientale, ricco di idee, innovazione, coraggio, su quello del resto del mondo occidentale, e dall'altra il talento trasversale ai generi di un grande regista.

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