lunedì 23 dicembre 2019

Who, The Who

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Ogni giorno il ventre gravido di quel che resta dell'industria musicale partorisce band che continuano a clonare Beatles, Black Sabbath, Stones o Led Zeppelin. Per qualche ragione non c'è traccia di giovani virgulti che si vogliano caricare sulle spalle il mito degli Who. Probabilmente perchè questa band è la meno incasellabile nell'ambito di quelle che hanno fatto la storia della nostra musica. Certo, alcuni elementi del suo brand sono immediatamente riconoscibili: i power chords, i tappeti di keyboards, gli irresistibili refrain. Tuttavia gli Who sono anche molto altro, ed è forse questa difficoltà ad allontanare ipotetici emuli.
Di certo la band non è mai stata prolifica, se le uscite totali contano dodici lavori, di cui dieci tra il 1965 e il 1981 e due negli ultimi trentotto anni.

Basterebbe questo a segnare con un cerchietto rosso sul calendario ogni release date, ma in realtà l'evento non è caratterizzato solo dall'uscita del disco ma dalla sua (sorprendente?) qualità.
Della formazione che conoscevamo sono rimasti i due leader storici, Townshend e Daltrey, giacchè il mitologico batterista Keith Moon ci lasciò nel lontano 1978 e il bassista John Entwistle nel più recente 2012, ma l'impatto che i due sanno ricreare riporta comunque l'orologio indietro nel tempo, e i sodali lo sanno, se è vero che l'opener All this music must fade è one hundred per cent Who, con le inconfondibili schitarrate di Pete e le sue implacabili lyrics nelle quali, il settantaquattrenne del Middlesex riesce ancora ad irradiare strafottenza come solo lui può fare ("I don't care / I know you're gonna hate this song").

Dal canto suo Roger Daltrey, che probabilmente dal vivo qualche difficoltà ha cominciato a palesarla, in studio fa ancora la sua porca figura, voce formidabile, classe e autorevolezza a vagonate.

Tornando alla tracklist, sorprendente è il taglio radicalmente politico di Ball and chain, classico blues in Who style, che punta il dito sulle fragorose ingiustizie dei prigionieri detenuti dagli americani a Guantanamo ("Still guilty with no charge", recita il testo). 
Seguono una coppia di grandi inediti che nascono con le stimmate del classicone, I don't wanna get wise e Detour.
Il disco poi cala forse un pò, ma contrariamente saremmo stati davanti ad un capolavoro fuori tempo massimo, con una prevalenza di midtempos dai quali comunque si fanno valere Break the news e la conclusiva (per l'edizione standard dell'album) She rocked my world.

Gli Who sono ancora tra noi. Unici e inimitati.

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