mercoledì 16 gennaio 2019

Ghost, Prequelle (2018)

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Il dibattito sull'effettivo valore degli svedesi Ghost è sempre aperto, nonostante dal loro esordio "anonimo e mascherato" del 2010 molte cose siano cambiate, a partire dalla rivelazione delle identità dei componenti della band e dalla causa intentata (e persa) dai primi componenti del combo contro il leader Tobias Forge, motivata da mere questioni economiche.
Per quello che mi riguarda però, con questo Prequelle le discussioni stanno a zero. I Ghost tirano fuori un disco incredibile ed intenso, ricco di sfumature stilistiche, senza steccati musicali, dove l'ambito metal centra più per un certo tipo di immaginario proposto (il look, la copertina del disco) che per contenuti.
Per un disco così vario dovrei riprendere le vecchie abitudini e scrivere una recensione "track by track", tanto il mood è spiazzante canzone dopo canzone. 

L'inizio porta sulle spalle la maggiore eredità del filone hard rock nel quale la band continua ad essere inserita, grazie alla potente ma malinconica Rats che ci introduce nel mondo Ghost. Una volta però chiuso il cancello d'ingresso e mosso qualche passo (Faith)  la strada si rivelerà meno decifrabile e più imprevedibile che mai.
L'album infatti trova il suo picco artistico a partire da metà tracklist, con lo strumentale Miasma, ricco di pathos e suggestioni, e nella cui parte finale esplode inaspettato e meraviglioso un sassofono (strumento assolutamente fuori dal canone metal). A seguire arriva Dance macabre un pezzo, che per quanto sia follemente arioso e debitore di certo AOR di fine settanta (Journey?), già a partire dal titolo induce a pensare che la linea di testo "voglio stare con te sotto la luce della luna" sia un pò più oscura di quanto normalmente sia lecito aspettarsi. 
Per quanto a noi italiani ricordi direttamente l'immortale battuta del film Non ci resta che piangere, Pro memoria è un altro apice del disco, con l'ineluttabilità dei suoi versi (don't you forget about dying / don't you forget about your friends death / don't you forget that you will die) e l'incedere struggente, richiamato successivamente anche dal secondo strumentale Helvetesfonster, avvolge l'ascoltatore in una densa foschia sulfurea.
C'è spazio ancora per una traccia classic rock settantiana (Witch image) che avercene oggigiorno e per la funerea conclusione di Life eternal, altro big one dell'opera.
La finisco qui, aggiungendo solo che nell'edizione deluxe del CD sono presenti due bonus track, la scolastica ma divertente It's a sin dei Pet Shop Boys, e la ben più intensa Avalanche di Leonard Cohen.

Per Bottle of Smoke il dibattito sui Ghost si chiude qui, grazie ad un album che fa quello cui la musica dovrebbe essere deputata: regalare mille suggestioni in maniera trasversale a generi ed etichette, ma sempre ad alto tasso emozionale.

3 commenti:

Filo ha detto...

quando ho sentito "it's a sin" per la prima volta sono saltato sulla sedia. :)

monty ha detto...

I Pet Shop Boys hanno scritto grandi pezzi. Ora possiamo dirlo! :D

Filo ha detto...

cmq "Dance Macabre" potrebbe essere una canzone degli Electric Light Orchestra.
Fai caso ai cori, soprattutto.