lunedì 13 agosto 2018

Willie Nile, Positively Bob (2017)

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Quando si pensa ai grandi loser del rock, gente di talento che non è mai riuscita a raggiungere il successo commerciale che avrebbe meritato, due sono in particolare i nomi che mi sovvengono immediatamente: Elliott Murphy e Willie Nile. 
Quest'ultimo artista nasce a Buffalo nel 1948, ma riesce a debuttare solo nel 1981, con l'album omonimo che contiene la sua canzone simbolo, Vagabond moon. Un altro disco l'anno successivo e poi una lunga iato di dieci anni causata da problemi contrattuali. Poi ancora un lungo periodo di assenza dalle scene e, finalmente, dal 1999 una vera e propria rinascita artistica, che lo porterà ad incidere una decina di dischi in vent'anni.
L'ultimo lavoro è Children of paradise, uscito qualche settimana fa, ma è sul disco dell'anno scorso che si concentra questa recensione.
Come è evidente dal titolo (Positively Bob) Nile ha deciso di cimentarsi con la più semplice e la più insidiosa delle imprese: realizzare un disco di tributo a Bob Dylan. 
Nonostante ciò Willie riesce bene nell'intendimento, mettendo molto di suo dentro le composizioni scelte, e, soprattutto, alternando canzoni mitologiche (Blowin in the wind, che non arriva ad intaccare la epocale versione che ne diede Neil Young sull'imperdibile live Weld, e The times they are a-changin) a piccole perle per intenditori (Every grain of sand e Abandoned love, entrambe outtakes recuperate da dio Bob su Biograph). 
Dieci tracce in totale il cui impatto all'inizio è molto quadrato e roccherroll, del tipo onetwothreefour! ma dalle quali poi emerge il delicato soul di Rainy day women #12 & 35, la ballata in crescendo I want you e la toccante interpretazione di Love minus zero/No limit.

Un disco diretto e senza fronzoli, ma sempre col cuore in mano.



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