lunedì 28 novembre 2016

Brujeria, Pocho Aztlan


Chiunque abbia amato quei pazzoidi scatenati dei Brujeria, quest'anno ha avuto un regalo totalmente inaspettato con il ritorno della mitologica band anglo-messicana, assente dal mercato discografico da ben sedici anni.
Più che un gruppo, il combo è sempre stato un vero e proprio ensamble che, attorno alla presenza costante del leader, il cantante di origine messicane, ma cittadino U.S.A., John Lepe (aka Juan Brujo), ha visto avvicendarsi tanti musicisti membri dei più importanti gruppi di musica dura degli ultimi anni. Jeffrey Walker (aka El Cynico) dei Carcass, presente anche in questo ultimo album, è il più fedele di essi, ma ci sono stati anche Billy Gould (Faith No More) e Jello Biafra (Dead Kennedys), oltre a componenti di Arch Enemy, Fear Factory, Cradle of Filth e numerosi altri.
Lo stile dei Brujeria è noto. Un grind/death/groove originale e riconoscibilissimo, sul quale sono adagiate liriche impregnate della violenza che bagna le strade di Juárez e delle periferie messicane in mano ai narcos, ma che toccano anche temi sociali, politici e di emigrazione, con soventi incursioni nella politica americana (in passato se la sono presa con Pito Wilson, governatore repubblicano della California, per la sua Proposition 187, e di recente non potevano ignorare le posizioni anti messicane di Trump, al quale hanno dedicato una composizione che purtroppo è rimasta fuori dall'album).
Più che dalle parti del genere musicale narco corrido (band messicane agiografiche rispetto alla delinquenza dei narco trafficanti, spesso a loro asservite) i Brujeria riprendono la tradizione di divertimento macabro caratteristica del Messico, non si prendono sul serio e di certo non hanno niente a che vedere con i terribili cartelli della droga locali.
Pocho Atzlan è la nuova sintesi del Brujeria-pensiero, che parte con uno dei loro caratteristici "skit" (il termine è di norma usato per gli intermezzi rap/hip-hop, ma non me ne viene in mente uno più calzante) parlati, con un dialogo che stavolta è recitato in una lingua sconosciuta (sovviene l'atzeco) che accompagna alla title track. Petto in fuori e tanto outspken per No aceptan imitaciones, sull'indiscussa unicità della band. Per Plata o plomo, traccia che riprende l'ormai tristemente noto motto dei narcotrafficanti, rilanciato di recente dalla serie tv Narcos, viene utilizzato come prologo uno stralcio di telegiornale che riporta uno dei frequenti fatti di violenza di quelle terre. C'è spazio anche per Mèxico Campeòn, divertente tributo alla nazionale di calcio messicana, che riprende il caratteristico coro dei supporter locali "Mèxico! Mèxico! Ra-ra-ra!", per concludere con una cover parafrasata di California uber alles dei Dead Kennedys, che qui diventa California uber Aztlan (laddove Aztlan è un luogo immaginario, sorta di terra promessa per tutti i messicani).
Dopo tutto questo tempo i rischi di uno scivolone c'erano tutti, e invece Pocho Aztlan si rivela un ritorno coi cazzi che non scalfisce di un graffio la reputaciòn di questo incredibile gruppo.


3 commenti:

jumbolo ha detto...

ciccio, ti devo tirare le orecchie.
sei riuscito ad omettere per ben 5 volte (se non ho contato male), compreso il titolo, la I del nome della band. Bru je rí a (accento sulla I, stregoneria).
ovviamente questo sottintende pure che nella tua mente, lo pronunci in maniera scorretta, ma questo è il minimo.
ti autorizzo a correggere e poi a cancellare questo commento.
:)

monty ha detto...

Correggo e lascio commento, ci mancherebbe.

Ti garbano?

jumbolo ha detto...

abbastanza, ma non sono un esperto. questa è la volta buona che approfondisco.