lunedì 18 aprile 2016

Stephen Davis, Il martello degli dei


Stephen Davis pubblica Il martello degli dei nel 1985, a pochi anni dallo split definitivo della band, avvenuto nel 1980 subito dopo la prematura (ma ampiamente annunciata, in considerazione dello stile di vita) dipartita del batterista John Bonham (25/09/1980).
Ancora oggi questo tomo, più volte ristampato e leggermente aggiornato, è considerato tra le testimonianze più autorevoli e attendibili della incredibile storia del dirigibile pesante.
 
Essendo cresciuto musicalmente nel mito degli Zep dei in terra,  l'ho trovato una lettura molto istruttiva e a tratti anche sorprendente, vista la nitida fotografia che Davis riesce a fare degli anni d'oro (1969/1975), quando la band apparteneva esclusivamente a ragazzini in età di high school e riempiva, progressivamente, prima i piccoli clubs e poi gli stadi, ignorata, e spesso vituperata, dai media e dai magazine musicali (la "bibbia del rock" Rolling Stone in primis).
Questo aspetto, e la frustrazione che esso determinava in Page e Plant, è probabilmente l'elemento che più d'altri ho faticato ad elaborare, a fronte della sacra abbacinate aura che circondava il gruppo per quelli che, come la mia generazione, sono arrivati tardi per goderne le gesta.
 
Così come stupisce (anche se non dovrebbe, tutto sommato) il trattamento riservati agli Zeppelin con l'avvento del punk nella seconda metà dei settanta: la band è infatti infilata nel calderone dei gruppi boriosi e inutilmente prolissi, da rottamare in nome delle canzoni da tre accordi suonati male  ma velocemente e dell'urgenza comunicativa delle nuove leve.
Molto più prevedibili (nel senso che non se ne può fare a meno) sono le cronache delle scorribande dei quattro nel corso delle infinite turnè: i televisori che volano giù dalle finestre, le camere d'hotel distrutte, le orge, la coca e l'ero, le liason al limite della pedofilia di un Jimmy Page quasi trentenne che si accompagna con ragazze adolescenti, la violenza del servizio d'ordine della band (guidato dal tour manager Richard Cole che alla fine dei settanta si farà anche un periodo di detenzione a Regina Coeli a Roma, per possesso di droga) e soprattutto, il ruolo centrale del manager Peter Grant, figura anch'essa mitologica nella storia dei Led Zeppelin.
Come spesso mi accade con le biografie musicali, ho accompagnato l'avanzamento della storia con l'ascolto parallelo dei dischi oggetto di analisi. Prima gli Yardbirds quindi, poi gli album dei Led Zeppelin, dall'esordio a Coda, in un crescendo emotivo pienamente soddisfacente che consiglio a tutti i musicofili.

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