lunedì 25 gennaio 2016

Whitey Morgan and the 78's, Sonic ranch


Basterebbe ascoltare Whitey Morgan and the 78's per avere un'idea su quale sia, per il sottoscritto, il significato di true country music. Innanzitutto partiamo dal sound: siamo dalle parti dell'interpretazione elettrica del country, riportata all'audience con una strumentazione (slide guitar e tastiere in prima linea) che potrebbe in qualunque momento far switchare il suono verso un rovente southern rockE poi i testi, imperniati rigorosamente sulla vita dei losers, dei drifters, dei personaggi sempre ai margini della società. 
Insomma Whitey Morgan, all'anagrafe Eric Allen, nel corso degli anni (Sonic ranch è il suo terzo album) ha cominciato a spintonare mica male per farsi largo nell'affollatissimo panorama della redneck music americana.
Di certo oltre alla mia attenzione ha catturato anche quella della critica più attenta ed esigente, che ha collocato i suoi lavori nel ristretto lotto dei più interessanti tra quelli usciti negli ultimi anni.
Non fa eccezione, anzi, permette all'artista di fare un ennesimo passo in avanti, Sonic Ranch, dove, in dieci canzoni e meno di quaranta minuti, Morgan riesce ad esprimere al meglio il suo talento nel solco dei grandi del passato, con riferimenti a Waylon Jennings, George Jones e Hank Williams jr, la cui monumentale All my rowdy friends è citata nella prima traccia Me and the whiskey, propedeutica ad illustrare in maniera inequivocabile il mood del disco, che si muove tra midtempo e ballate, tutti contaminati dallo stesso intreccio tra malessere esistenziale e tignoso orgoglio sudista.
I titoli delle composizioni dicono già molto (Lowdown on backstreets; Waitin round to die; Still drunk, still crazy, still blue) ma entrare nella rete delle melodie che accompagnano i loro testi resta comunque un viaggio affascinante e dunque tutt'altro che scontato.

Nuovi country heroes crescono.

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