lunedì 25 agosto 2014

Bob Wayne, Back to the camper


Le  aspettative che nutrivo verso questo album, alimentate dal crescente fanatismo sviluppato per Bob Wayne dopo la fulminazione per Till the wheels fall off  e il conseguente effetto domino del concerto dell'estate scorsa e del recupero del lavoro di repertorio del barbuto countryman dell'Alabama, mi hanno un po' guastato i primi approcci a Back to the camper. Sviato anche dalla copertina (cazzara, ma come vedremo fuorviante rispetto ai contenuti) mi aspettavo infatti di essere travolto da un'onda d'urto a base di veloce, divertente e irriverente country punk spruzzato di blugrass, sull'onda dei classici Everything is legal in Alabama, All those one night stand, There ain't no diesel trucks in heaven, Fuck the law, Driven by demons e compagnia bella, e invece, dopo l'inizio scarno e nervoso di Sam Tucker, che rimanda nello stile a 13 truckin' songs e nelle liriche alla rievocazione delle gesta dei  cercatori d'oro di fine ottocento, Wayne si gioca, inaspettatamente, la carta di due ballate consecutive, interpretate entrambe in duetto con la singer Elizabeth Cook. Col senno di poi 20 miles to Juárez e The river sono due pezzi fantastici, giocati sul tema di fughe verso il confine del Messico e della natura selvaggia, ma in prima istanza l'impatto mi ha decisamente disorientato, causandomi per un po' un effetto repulsivo. Pur non essendo l'ordinamento della canzoni della tracklist un capriccio ed esprimendo invece la scelta di un'architettura musicalmente più riflessiva ed evocativa rispetto all'ultimo lavoro, col tempo e la pazienza che si concede solo ai propri beniamini, il lavoro si è procurato la mia attenzione aprendosi una breccia nella mia sensibilità musicale.
Nel contesto complessivo, rispetto al passato si perde qualcosa in spregiudicatezza ed aggressività sonora, ma senza che ciò arrivi mai a scalfire profondità e stile outlaw del songwriting. Pezzi come Dope train (interpretato insieme alla leggenda Red Simspon), Hillbilly heaven, Showdown (originariamente apparso in 13 truckin' songs) sono lì a dimostrare che l'ispirazione di Bob Wayne scorre ancora orgogliosamente fluida. Ancora di più lo fanno Evangeline (presentata in anteprima durante il concerto di Milano dell'anno scorso) e la sorprendente pirate song Granuaile. Non manca nemmeno l'ormai consueto pezzo spietatamente autobiografico, The violent side of me e, in fin dei conti, nemmeno un assaggio di cosa è in grado di fare la band quando accelera un po' le battute (Til I die e I just got out).
Insomma, se dal punto di vista compositivo il percorso di Bob Wayne si arricchisce di una nuova tappa nella quale ritroviamo i classici temi dell'universo wayniano, da quello dello stile registriamo una maggiore attenzione al potenziale commerciale dell'album, esercitato con la massima attenzione a preservare la propria, forte, identità artistica.
Per Bottle of Smoke la missione può dirsi compiuta.


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