lunedì 30 dicembre 2013

Bill Callahan, Dream river


Metto subito le mani avanti: non ho mai ascoltato una singola canzone degli Smog e nemmeno ero a conoscenza del fatto che il monicker fosse in realtà l'alter ego di un solo artista, Bill Callahan. Altrettanto candidamente ammetto di essere venuto a conoscenza di questo Dream river solo per l'ottima stampa, trasversale ai generi delle varie riviste (cartacee o on line) musicali, che ha ricevuto.
Ormai dovreste averlo capito, non sono uno che ascolta musica complicata, indie o di nicchia. Che si tratti di hard rock, pop, folk o country, mi piacciono le melodie semplici, le aperture vocali, perché no: la cantabilità dei pezzi, gli intrecci armonici e le voci con personalità. Dopo diverse sòle prese nei periodi di acquisti a scatola chiusa, con gli anni e l'esperienza ho capito che mi dovevo tenere alla larga dai titoli pompati all'inverosimile dalla critica più elitaria perché quasi mai facevano scopa con i miei gusti. Ora, per le ragioni di cui sopra, Bill Callahan rispondeva a tutti i criteri per rientrare nel novero dei musicisti che non considero, e invece il suo è l'album che più sto ascoltando in questi giorni freddi e piovosi. 
Perchè la musica è così: per quanto tu ti possa impegnare a stabilire delle regole, lei si diverte a mandarle a fanculo.

Dream river è, da un certo punto di vista, esattamente come te lo aspetti: un lavoro malinconico, autunnale, evocativo. Ma è anche qualcosa di più. "L'artista precedentemente conosciuto come Smog", infatti, pur mantenendo il santino di Nick Drake ben visibile sul cruscotto dell'auto, approccia alla composizione in maniera personale e libera. 
Innanzitutto ha dalla sua una voce che, a differenza del tormentato artista di Bryter Layter, possiede tonalità molto profonde, dalle parti della musica nera (rischio di farla fuori dalla tazza, ma butto lì un Isaac Hayes) o più prosaicamente di Leonard Cohen. L'accompagnamento che fa da cornice ai testi, appena intonati, quasi parlati, è minimale: percussioni, flauto, tastiere, e qualche secchiata di vernice con una chitarra elettrica slabbrata, quasi psichedelica. 
Il risultato è una fotografia a tinte pastello, onirica e cangiante, che scherza con strutture jazz (Seagull) e regala notevoli vette cantautorali (Small plane).

A tratti incantevole. Da ascoltare.

7,5/10

2 commenti:

Anonimo ha detto...

La copertina è splendida. Io di Smog ricordo solo una canzone delirante e noiosissima...dici che è migliorato?

monty ha detto...

Vai su youtube o spotify e scoprilo
:)