giovedì 28 agosto 2025
The Criterion Closet Picks
lunedì 25 agosto 2025
Twilight of the warriors - Walled in
Hong Kong, anni ottanta. Chan Lok-kwan è un rifugiato che ha lavorato sodo per comprarsi un documento d'identità al mercato nero, necessario per lasciare il Paese. Truffato dalla triade cui si era rivolto, per rabbia davanti al sopruso ricevuto ruba ai mafiosi una borsa in cui crede siano contenuti soldi. Scoperto ed inseguito, si rifugia nella città murata di Kowloon, nella quale nessuno, nè lui nè i suoi inseguitori, può entrare senza permesso. In quel posto apparentemente infernale, governato dal boss Cyclone, inizia per Lok-kwan una nuova, inaspettata vita.
La città murata di Kowloon di Hong Kong ha una storia incredibile e poco nota. Il territorio fu escluso dalla cessione del Paese al Regno Unito per novantanove anni, sancita dalla convenzione di Pechino del 1898. Fino alla sua demolizione nel 1993 fu una cittadella totalmente avulsa da regole e leggi, governata in tutti i suoi aspetti dalle triadi. Spaventosa già dal suo aspetto, con gli edifici fatiscenti talmente addossati gli uni agli altri, a dargli la forma della base di un cubo (puoi approfondire qui), la città di Kowloon è stata replicata in modo stupefacente dal regista Soi Cheang e dalla sua squadra che, ispirandosi ad una graphic novel, hanno messo in scena un action indimenticabile.
Le scene d'azione, che te lo dico a fare? Spettacolari, alla maniera artigianale di Hong Kong, con voli "aiutati" dalle celebre funi e diverse scene in piano sequenza. Ma, come dicevo, pur nella sua grandiosità, non sta in questo aspetto l'elemento che rende Twilight of the warriors un film imperdibile, non solo per gli adepti al genere.
visto su Rai Movie
sabato 16 agosto 2025
Recensioni capate: Fabri Fibra, Mentre Los Angeles brucia
Ma la traccia che ci colpisce più forte, come un pugno allo stomaco, è Mio padre, in cui il rapper sfoga tutto il suo risentimento contro un genitore tossico e violento, e l'aspetto che più impressiona è che lo fa dopo la sua morte, non concedendogli nemmeno il perdono o la redenzione che ipocritamente si riconosce ai defunti, a prescindere da quale sia stato il loro comportamento in vita.
lunedì 11 agosto 2025
Fantastici Quattro - Gli inizi
Le produzioni MCU sono in crisi, è evidente. Dopo Avengers Endgame, e al netto dei film di Gunn, non solo non è stato più azzeccato un titolo, ma si è sprofondati in bassezze atroci, affidate alla regia di mestieranti intercambiabili, privi di qualunque pretesa autoriale e totalmente condizionabili dalle scelte manageriali della Compagnia.
A ciò aggiungiamoci che i precedenti tentativi col brand F4 sono annoverati a torto o ragione tra i peggiori del genere, ne deriva che il rilancio del progetto nasceva con mille incognite e zavorre. Da questo punto vista mi ha stupito la scelta di girare sì secondo la logica del fan service, ma guardando ai fan della mia generazione, non a quelli attuali. Infatti, la storia si dipana in una terra alternativa collocata in una sorta di anni sessanta americani, nella quale i F4 sono gli unici super-esseri, unanimamente riconosciuti quali difensori del mondo e grazie al genio di Richards hanno creato tecnologie avanti nel tempo di cento anni. La messa in scena, i colori, il contesto rimanda a quel periodo ed è l'aspetto a mio avviso più convincente dell'operazione. Al contrario delle storie a fumetti dell'epoca però, viene ribaltato il ruolo dei quattro eroi: laddove Sue Storm, la donna invisibile, era un personaggio esclusivamente di contorno (in quella fase aveva solo il potere di rendere invisibile sè stessa, non usava i campi di forza come arma e non poteva trasmettere l'invisibilità, elementi questi che negli albi arrivarono molto più avanti) qui diventa la vera protagonista della narrazione, lasciando agli altri un ruolo secondario.
Il richiamo complessivo a quella stagione di ingenuità, di lettori che scoprivano per la prima volta determinati contesti futuristici attraverso lo strumento popolare del comic book e che non stavano troppo a sindacare sulla coerenza scientifica di alcune soluzioni, emerge anche dai piani di questo Reed Richards, che ha la brillante idea di nascondere la terra a Galactus spostandola semplicemente dal sistema solare ad un altro, sconosciuto. E' ovvio che ciò fa sorridere, ma avrebbe funzionato alla grande nel 1962.
Dopodichè, nel complesso, tolti gli aspetti che mi hanno convinto, il film è appena sufficiente (gli ho dato 2,75/5), perchè siamo sempre lì, elementi come: la sceneggiatura - un infinito copia incolla del genere privo di qualsivoglia guizzo - , le incoerenze narrative (una su tutte, ma è cruciale: Galactus è un essere onnipotente che non riesce, trovandoseli di fronte, a prendersi mamma e bambino con uno schiocco di dita - per "citare" la famosa scena di Thanos - ), oltre ad alcune interpretazioni che ho trovato svogliate (Pedro Pascal), un comizio pre finale sempre di Sue urticante nella sua retorica da discount e l'assenza di caratterizzazione di altri personaggi, ad esempio, la Cosa, impediscono al titolo di imprimere una svolta dirimente rispetto al pattume recente del MCU.
Avevo tendenzialmente smesso di guardare (al cinema o su piattaforme) i film Marvel dopo la deriva assunta negli ultimi sei sette anni, per i Fantastici Quattro mi sono fatto trasportare dall'effetto nostalgia, e in effetti, la messa in scena - purtroppo solo quella - mi ha restituito un pò della magia ingenua ed infantile di quelle tavole.
giovedì 7 agosto 2025
My favorite things, luglio '25
Joker: Folie à deux (4/5)
lunedì 4 agosto 2025
Recensioni capate: Il lungo addio (1973)
Eppure... Eppure sta a vedere se il suo Marlowe non sia tra i migliori. Merito delle sue doti interpretative, senza dubbio, ma vogliamo parlare della regia di Robert Altman, che sembra davvero divertirsi nel mostrare una L.A. dei primi settanta intontita da droghe e alcol, con il capitalismo che sta riguadagnando rapidamente terreno (tutta la parte in cui il gangster Augustine spiega a Marlowe il potere della grana) sul decennio precedente e sulla stagione del "flower power".
Ma soprattutto Altman ci regala delle scene indimenticabili, a partire dall'incipit del film con il duetto tra Gould e il gatto, passando per un gioco continuo di trasparenze e riflessi (nella sala interrogatori e quando Marlowe è nella casa dei Wade sull'oceano), un'inaspettata scena di violenza sadica, per tacere della restituzione di sporcizia e decadenza dei locali di polizia, in linea con il comportamento da intoccabili degli uomini in blu (Ah! L'LAPD...). Che dire poi del campionario di facce, tutte perfette, dall'inquietante psichiatra al passivo aggressivo mr. Wade, ad un - non accreditato - Arnold Schwarnegger nella sequenza più folle del film. La colonna sonora rimanda ai club fumosi di cui cantavano il primo Billy Joel e, soprattutto, Tom Waits. Gould/Marlowe fuma ininterrottamente per tutto il film, unica concessione al profilo da duro del ruolo, e nonostante ciò sembra il più sano tra quelli che attraversano lo schermo. La pistola non compare mai, nemmeno nella cinta, fino all'ultima sequenza. Geniale.
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