lunedì 24 giugno 2024

The offer (2022)

 


La storia dietro alla realizzazione de Il Padrino è una delle più avventurose, incredibili e coinvolgenti della storia del cinema. Con il tempo la narrazione di quegli eventi ha assunto i contorni epici del mito, anche grazie al libro di Mark Seal 'A pistola lasciala, pigliami i cannoli. Allora perchè non provare la strada della serie tv, che, oltre a riaccendere un faro sul film più famoso di sempre, compie un'operazione di rilancio del brand Paramount?

Operazione non banale, a grosso rischio di cadute parodistiche, se pensiamo che per rielaborare le vicende che portarono al Capolavoro bisognava mettere in scena attori che interpretassero Al Pacino, Marlon Brando, Coppola, Puzo... E allora la prima considerazione da fare in relazione a questa produzione è che quel pericolo è stato evitato, in qualche caso anche in modo brillante. Qualche esempio: Anthony Ippolito nel ruolo di Al Pacino è sorprendentemente efficace, sia nelle espressioni e nel linguaggio non verbale quanto nella parlata (ovviamente mi riferisco alla versione originale); l'accoppiata Francis Ford Coppola (Dan Fogler) Mario Puzo (Patrick Gallo) non so quanto sia confacente gli originali, ma di certo funziona. Tuttavia la scelta migliore che potessero compiere gli sceneggiatori attiene alla rinuncia di replicare una qualsiasi scena de Il Padrino: vediamo le location, assistiamo ai ciak, al massimo li viviamo attraverso la sedia del regista , ma non si va mai oltre. Mi è sembrata una decisione saggia.

Il ruolo principale, quello dell'allora neo produttore Albert Ruddy, è affidato al bravo Miles Teller (tra gli altri Whiplash, il franchise Divergent, Too old to die young), che gigioneggia alla grande, assieme a Juno Temple (la segretaria tuttofare Bettye), e ad un divertentissimo Matthew Goode (Robert Evans, produttore apicale). Ci sono anche, tra gli altri, Burn Gorman (Charlie Bluhdorn, CEO di Paramount), Colin Hanks (il "capo contabile"), Giovanni Ribisi (il mafioso Joe Colombo). Tutta gente dal fitto curriculum da caratterista che svolge con professionalità, chi un pò sopra le righe - ma il ruolo lo permette - chi no, il ruolo assegnato.

Insomma una serie godibile senza essere ovviamente un capolavoro (gli ho assegnato 3/5), in cui forse sarebbe stato opportuno sforbiciare qua e là riducendo i dieci episodi almeno a otto, e dove assistiamo a aneddoti arcinoti ai cinefili, ma anche a chicche e nozioni meno celebri. Il tutto sicuramente romanzato, ma senza dubbio ben realizzato e piacevole, anche per quanti, come me, centellinano le serie televisive.

lunedì 17 giugno 2024

Zakk Sabbath, Doomed forever forever doomed


Ups... I did it again. 
Il simpaticissimo Zack Wylde invece di lasciare, raddoppia. Se nel 2020, con Vertigo (qui la recensione), aveva voluto reincidere il mitologico e fondamentale album di debutto dei Black Sabbath (1970) oggi propone, su unico disco, i due album cronologicamente seguenti: Paranoid e Master of reality.
La band è la medesima di Vertigo (i dettagli in quella mia review) e che vi devo dire? disco artisticamente inutile ma che gasa all'inverosimile, pur avendo noi consumato gli originali, così come d'altro canto hanno fatto intere generazioni di metallari.

La tracklist di Paranoid, qui fedelmente ripropostafa tremare i polsi: War pigs/Paranoid/Planet caravan/Iron man/ Electric funeral/Hand of doom/Rat salad/Fairies wear boots. Una bomba atomica che i Zakk Sabbath ripropongono con tostissima devozione e un suono analogico pieno e fomentante. 

Master of reality (1971) cominciava a mostrare un'altra faccia dei Black Sabbath, e riascoltandolo in questa riproposizione, si capiscono tante cose, ad esempio dove i Metallica più selvaggi abbiano trovato ispirazione per i loro intro/break acustici o come un pezzo quale Children of the grave abbia letteralmente costituito le fondamenta dell'ottanta per cento del metal ottantiano. Un altro disco mostruoso con meno pezzi dai titoli leggendari ma, se possibile, ancora più amato dai musicisti metal (come i tre tribute album dedicati ai BS dimostrano chiaramente).

Se portassero in tour dalle nostre parti questo progetto...

lunedì 10 giugno 2024

Lankum, False lankum (2023)



Il nucleo degli irlandesi Lankum, i fratelli Lynch (polistrumentisti), è in attività da oltre vent'anni, avendo i due iniziato come Lynched, e sotto questo monicker, pubblicato un paio di album. Con l'ingresso della singer Radie Peat e di un quarto elemento (Cormac Mac Diarmada) nasce la band che conosciamo oggi, musicalmente collocata nel solco stilistico dei Lynch, quello della musica tradizionale irlandese, ma che oggi innesta forti elementi prog, psichedelici, sperimentali, "post" e rumoristi. 

Per chi dovesse approcciarsi a False Lankum avendo ancora nelle orecchie l'ottimo The livelong day del 2019, l'impatto sarebbe totalmente straniante. Nell'incipit dell'opener Go dig my grave la voce di Radie ci prende per mano conducendoci in luoghi dolcissimi e tenebrosi (come il l'irish folk insegna), per poi lasciare spazio a rumori ossessivi, lisergici, percussioni industriali e melodie dissonanti. 
Non è l'unica differenza con quanto fin qui registrato dalla band. Infatti la scelta dei Lankum (perchè di scelta presumo - spero - si tratti) è di produrre il disco sporcandone la resa audio con un sound compresso, dai volumi bassi, al punto che sembra stiano suonando in una country fair a chilometri di distanza e le note ti arrivino stremate alle finestre spalancate di casa, in una serata estiva resa umida e appiccicosa da una leggera e improvvisa pioggia. E no, non è un problema di cattiva resa dovuta alla scarsa compressione dei files sulle piattaforme, il CD, suonato su un impianto stereo, si comporta allo stesso modo.

Eppure devono averci creduto molto in questa soluzione, i Lankum, perchè il disco è riempito quasi al massimo delle sue capacità: settanta minuti per dodici tracce la cui media di durata viaggia sui sei minuti abbondanti con picchi di oltre otto fino alla conclusiva The turn che di minuti ne assomma tredici. 
Sì, sono struggimento e malinconia il filo rosso che collega le composizioni dell'album, ma trovano spazio le immancabili reel, la più divertente, paradossalmente, è dedicata all'oscuro esoterista Aleister Crowley (Master Crowley's) e il classic folk chitarristico irlandese (The New York trader).
Nel corso dell'intera tracklist le voci dei quattro membri si inseguono, si alternano, si intrecciano, si armonizzano (Lord abore and Mary Flynn) sempre in maniera evocativa e quasi sacrale, creando una sorta di spirale ascensionale che viaggia tra i Planxty e i Quicksilver Messenger Service. 

Disco incantevole con in più il merito di aver messo i quattro Lankum definitivamente sulla mappa delle band per cui vale la pena continuare ad ascoltare musica.

lunedì 3 giugno 2024

Javier Marìas, Domani nella battaglia pensa a me (1998)


Approfittando dell'assenza del marito, all'estero per lavoro, Maria accoglie in casa Victor per una cena preludio di una possibile scappatella extraconiugale. Con lei il figlio piccolo. Terminata la cena e giunta la coppia in camera da letto, Maria ha un malore e in breve, nello sconcerto di Victor, muore. Il quasi amante si trova di fronte ad un dilemma: chiamare qualcuno e danneggiare post mortem la reputazione di Maria o lasciare la casa e il piccolo rischiandone l'incolumità?


Senza averlo scientemente deciso, procede la mia operazione di recupero di romanzi che giacciono sulle mie librerie (nel senso che sono così vecchi da averne cambiate tre in altrettante case) da non meno di vent'anni/ un quarto di secolo. Dopo Educazione di una canaglia di Bunker è la volta di questo libro che all'epoca comprai, posso dire? attratto dal titolo e dalla breve sinossi, ma che lasciai dopo una ventina di pagine non riuscendo ad allinearmi con lo stile dello scrittore.

Sì perchè Marìas sceglie di esprimersi dentro una sorta di flusso di coscienza, sebbene non radicale in quanto intervallato qua e là da linee di dialogo, fitto di considerazioni filosofico esistenziali, rispetto alle quali serve un'attenzione nemica della lettura superficiale. Anche così, posto l'interesse per il pretesto narrativo, non posso onestamente parlare di scorrevolezza, tuttavia in più di una sezione il romanzo - tutta la prima parte in casa di Maria ad esempio - risulta al tempo stesso avvincente e profondo. Altri passaggi, come ad esempio la lunga sezione sul destino della ex-moglie, mi sono sembrati non indispensabili ai fini della narrazione. Ma è ovviamente una valutazione totalmente soggettiva.

Domani nella battaglia pensa a me è un romanzo che è diventato in breve un classico della letteratura spagnola. Posso capirne la ragione, per come si presta al dibattito e per l'approfondimento della psiche e dei comportamenti umani. In questo senso sarei rimasto su questo piano di lettura, evitando forse lo spiegone finale, che ho trovato troppo "basso" per come invece vola alto il resto della narrazione.