Flogging Molly
Speed of darkness, 2011 (Borstal Beat Records)
Mi è venuto un mezzo coccolone quando ho sentito Don't shut 'em down, il singolo che ha anticipato il nuovo lavoro dei Flogging Molly. Dell'irish-punk che ha contraddistinto la storia della band non c'era traccia. Al suo posto un west coast punk moderno, rieccheggiante in modo pericoloso i Green Day.
Poi è arrivato l'album e mi sono ricreduto. Anzi, l'ho fatto solo in parte. Perchè Speed of darkness effettivamente continua nell'operazione iniziata con il precedente Float, nel quale chitarra elettrica/basso/batteria avevano cominciato a relegare in secondo piano banjo/violino/flauto che fino ad allora tiravano il sound degli irlandesi-californiani (si pensi a quel delirio di Drunken lullabies, canzone e album).
La band di Dave King in realtà non ha eliminato quegli strumenti, li ha solo nascosti, annacquati nella caciara elettrica,diluiti come si fa con l'acqua in un whiskey troppo forte, allo scopo farlo bere anche ai fighetti, cambiato le proporzioni del cocktail. Nell'obiettivo di allargare il proprio pubblico, diversificare.
La band di Dave King in realtà non ha eliminato quegli strumenti, li ha solo nascosti, annacquati nella caciara elettrica,diluiti come si fa con l'acqua in un whiskey troppo forte, allo scopo farlo bere anche ai fighetti, cambiato le proporzioni del cocktail. Nell'obiettivo di allargare il proprio pubblico, diversificare.
I primi quattro brani del disco (in particolare la title track, Revolution e il già citato Don't shoot 'em down)) sono quindi per loro, gli ipotetici nuovi fans. E, al netto della premessa, non sono neanche male, intendiamoci. Ma è con The power's out, traccia numero cinque, che comincio a scaldarmi. Anzi, a dir la verità mi eccito proprio di brutto. Eccola qui la semplice grandezza che ricordavo. Un pezzo costruito sui tempi di una solenne marcia, con un giro di cornamusa che si alterna al cantato e ti spinge a maldestre esibizioni di giga irlandese. Estasi.
L'accordatura del violino cambia in Saints and sinners, è inconfondibile il mood tzigano (in chiave Gogol Bordello) del refrain. Convincente anche So sail on, la prima delle ballate del disco. In tema di pezzi lenti il meglio è sicuramente rappresentato da The cradle of human kind, per buona parte strutturata solo su voce, pianoforte e violino, anche se la ballata country a due voci A prayer for me in silence, con le sue suggestioni da grandi spazi verdi, si difende bene.
Superate le diffidenze iniziali, alla fine il giudizio complessivo è ampiamente positivo, al saldo, da una parte, di una manciata di pezzi superlativi (The power's out su tutti) e dall'altra di qualche concessione al mainstream. Peccato non riuscire a vederli (sarebbe stata la terza volta - qui e qui le precedenti - ) domani al rock in Idro.
L'accordatura del violino cambia in Saints and sinners, è inconfondibile il mood tzigano (in chiave Gogol Bordello) del refrain. Convincente anche So sail on, la prima delle ballate del disco. In tema di pezzi lenti il meglio è sicuramente rappresentato da The cradle of human kind, per buona parte strutturata solo su voce, pianoforte e violino, anche se la ballata country a due voci A prayer for me in silence, con le sue suggestioni da grandi spazi verdi, si difende bene.
Superate le diffidenze iniziali, alla fine il giudizio complessivo è ampiamente positivo, al saldo, da una parte, di una manciata di pezzi superlativi (The power's out su tutti) e dall'altra di qualche concessione al mainstream. Peccato non riuscire a vederli (sarebbe stata la terza volta - qui e qui le precedenti - ) domani al rock in Idro.
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