lunedì 25 luglio 2011

Le dimensioni (della chitarra) non contano






Eddie Vedder

Ukulele songs (Universal, 2011)



Non lo so perchè ho pensato ad Elvis Presley quando ho saputo dell'intenzione di Eddie Vedder di pubblicare un album di canzoni nel quale si sarebbe accompagnato solo con l'ukulele. Forse per il collegamento alle Hawaii e quindi al film e all'album Blue Hawaii. O forse perchè the King, al massimo della sua popolarità pubblicava dischi in pressochè ogni stile musicale americano Elvis sings the country, Elvis sings the blues eccetera. Forse l'improprio collegamento è scattato perchè già mi vedevo, dopo il disco con l'ukulele, una sfilza di titoli tipo Eddie Vedder plays the banjo e chissa cos'altro ancora.


Ma lasciando da parte le mie illogiche sinapsi mentali, ho messo su questo disco con molta curiosità, perchè sono un estimatore sia della voce di Vedder che degli strumenti a corda meno tradizionali. Nonostante questo, beh, il primo impatto è stato davvero scoraggiante. Dopo due-tre pezzi sono scappato a gambe levate per via di quello che mi è parso un canone di una monotonia insopportabile. In effetti lo strumento da solo non permette molte variazioni e sia le parti arpeggiate che quelle "grattate" dopo un pò sembrano tutte uguali.


Mi ci è voluto un pò perchè mi tornasse la voglia di ascoltarlo e devo dire che con un pò di pazienza l'anima del progetto viene fuori e con lei la bellezza di alcune composizioni. Can't keep (da Riot Act) stupisce per come, in questa scarna veste, riesca comunque a far emergere una sorta di tensione trattenuta, così come avveniva nella versione originale, che poteva però contare sul supporto del resto dei Pearl Jam con la spina attaccata. Suggestiva anche la successiva Sleeping by myself mentre con la romantica Broken Heart si tocca uno dei picchi del disco, così come con Longin to belong, del resto. Mentre Sleepless night, guarda un pò, sarebbe stata perfetta per la voce al caramello di Elvis Presley. Almeno questo link con The King concedetemelo.





Difficile dare un giudizio definitivo ad un lavoro così particolare. In alcuni punti sembra volare alto, in altri è difficile resistere alla tentazione di skippare le tracce. Certo, alla lunga ha una sua coesione, un suo perchè, un suo personalissimo fascino. Avessi dato un voto al primo ascolto sarebbero state al massimo un paio di palle, che all'apice della mia empatia con il disco sarebbero salite a quattro. Facciamo che tiro una media matematica e la chiudiamo qui.





2 commenti:

Anonimo ha detto...

Forse avrei preferito Eddie plays the banjo...Però qualche canzone l'ho sentita per radio, è carina...diciamo che per fare un disco del genere bisogna credere molto nella propria voce

Anonimo ha detto...

Forse avrei preferito Eddie plays the banjo...Però qualche canzone l'ho sentita per radio, è carina...diciamo che per fare un disco del genere bisogna credere molto nella propria voce