venerdì 31 ottobre 2008

Deja vu

Avete visto Annozero?
Io ho girato solo per pochi minuti. Hanno mandato una registrazione in cui un tizio del gruppo di destra Blocco Studentesco, che menava bastonate ai ragazzi in manifestazione usando mazze ammantate del tricolore insieme ad altri degni compari, veniva chiamato per nome da un celerino: - Francesco vai via! -.
Detto fascista ordinava alle forze dell'ordine, venendo ascoltato, di non intervenire su di un gruppo di ragazzi stesi a terra : - sono i miei ragazzi, lasciateli stare! - .

Finito il filmato Santoro non commentava e si passava ad altro argomento. Devo aver visto o interpretato male, data l'enorma stanchezza di ieri. Possibile che in Italia la Polizia lasci menare dei ragazzini indifesi da un gruppo di fascisti, e che addirittura intrattenga rapporti cordiali con il loro capo? Qualcuno potrebbe arrivare a pensare che siano infiltrati per rompere qualche testa e danneggiare il movimento. Quelli del Blocco tra l'altro, come riportavano ieri alcuni giornali, erano riusciti a condurre un furgone pieno di mazze fin dentro il percorso della manifestazione, si muovevano in tutta libertà su e giù dai cortei, davanti ai poliziotti indifferenti (che fermavano tutti gli altri, giornalisti compresi, come riporta Maltese in questo suo articolo), ed organizzavano le aggressioni seguendo strategie di tipo militare.

Non sarà che qualcuno ha preso alla lettera le sagge indicazioni dell'esperto Cossiga?

giovedì 30 ottobre 2008

The rat pack


Diciamo la verità. Ci dà enormemente fastidio ricevere suggerimenti sui libri da parte di quell’orda di lettrici e lettori della domenica. Quelli che divorano esclusivamente best sellers, comprati dopo aver rigorosamente consultato la top ten di vendita dei supermercati, dei megastore o delle grandi catene di vendita.

Spesso ci prendiamo, per la puttana, chi ha davvero bisogno di leggere l’ennesimo libro della Kinsella, di Wilbur Smith, di Grisham o di Manfredi?
Altre volte invece questo atteggiamento rischia di farci perdere delle letture interessanti e originali.
E’ il caso di Firmino, di Sam Savage (debuttante alla soglia dei settant’anni)che rientra a mio avviso nella seconda casistica. E’ un caso editoriale perché, pubblicato quasi anonimamente per un editore no profit e in pochissime copie, grazie al passaparola, seguito ovviamente da una massiccia strategia commerciale delle varie case editrici (in Italia Einaudi) che hanno nasato l'affare, ha trovato un vastissimo pubblico che ha amato il racconto.

La storia, nonostante veda protagonista un topo, e questo faccia immaginare una serie di situazioni divertenti, sulla falsariga dei vari sorci da cartoon come Jerry , Micky Mouse, Speedy Gonzales & co., che ci hanno allietato (?) l’infanzia, è invece perlopiù malinconica e nostalgica. Potrebbe essere una metafora di una persone che ha passato la vita ad osservare l’esistenza degli altri, senza mai trovare il coraggio di cambiare la propria, coltivando in solitudine sogni ed aspettative attraverso la lettura incessante dei capolavori letterari di ogni tempo .

Ma potrebbe anche solo essere quello che è: la storia di un ratto che diversamente dai suoi fratelli, rifuta un'esistenza già scritta, resta dove è nato, cioè in un grande negozio di libri, impara a leggere e cerca di elevare la sua condizione, sapendo che si tratta di un’impresa disperata.

Il libro di Sam Savage, al netto delle accuse di plagio per presunte analogie con un libro italiano del 2000 ( La bibliotecaria di Claudio Ciccarone), è una lettura particolare, non popolare nel senso più commerciale del termine, a tratti infatti la narrazione appare addirittura accademica, andando a trattare in alcuni casi libri sconosciuti mai tradotti in italia.

Firmino è anche struggente nostalgia del passato, dell’innocenza perduta, dei luoghi idealizzati della giovinezza, letteralmente spazzati via dall’avanzata inarrestabile del progresso.

Una lettura non imprescindibile ma dotata di un certo stile e fascino.

martedì 28 ottobre 2008

Vote for change


Ancora non riesco a realizzare che, con molta probabilità, tra pochi giorni gli Stati Uniti d'America eleggeranno il primo presidente nero, pardon afroamericano, della storia.

Faccio fatica a credere che Barack Obama, nato a Honolulu il 4 agosto 1961, da un musulmano del Kenya e una ragazza bianca del Kansas, possa riuscirci nonostante l'odio che ancora nutrono per i neri , gli omosessuali e per i democratici, quelli della famigerata bible belt (la cintura di stati meridionali caratterizzati dalla forte presenza di congregazioni fondamentaliste) tutta casa, chiesa, american pie e pistole, determinante nell'ultima vittoria di Bush alle elezioni del 2004.

Oggi di nuovo notizie di arresti di neo nazisti pronti a sparare al candidato democratico. Conoscendo un pò (grazie DeLillo! grazie Ellroy!) i movimenti della Cia quando decide che un potenziale presidente non va (vedi omicidio John e sopratutto Robert Kennedy), non mi fanno paura quattro sfigati che girano un video su you tube prima di imbracciare il loro uzi, ma quello che veicolano, il clima di assedio a Barack, che sembra voler creare le condizioni per qualcosa di terribile, e farlo apparire inevitabile.

Sì, perchè l'America non è solo New York, Boston, Chicago o San Francisco, città molto vicine alla cultura democratica europea, ma anche, e sopratutto, enormi fasce geografiche di scarsa cultura, povertà e violenza. Posti (l'intera bilble belt su tutti) in cui domina l'avversione per i negri. In cui mai vorrebbero avere come comandante supremo delle forze armate un cazzo di africano con il nome che ricorda quello di un terrorista. Posti in cui, i subdoli strateghi repubblicani, per assicurarsi che la gente andasse a votare per daboliù, hanno aggiunto nel 2004 una sorta di referendum sull'introduzione dei matrimoni gay (facendolo passare come una istanza dei democratici) ottenendo una risposta oceanica di no e altrettanti voti per the defender of the faith, mister worst president, ever.

Mi rendo conto che tutto questo ragionamento è sbilanciato su temi che possono sembrare di contorno rispetto agli argomenti e al programma di Barack Obama, del quale in effetti non ho scritto una parola. Ebbene, non mi aspetto qualcosa nemmeno vagamente di sinistra da lui, di certo farebbe meglio di Bush jr, ma è cosa davvero facile. E' giovane ha una cultura diversa, forse il momento anche in America è propizio per un'inversione di tendenza sulla pena di morte. Non credo che farà niente per implementare la sanità pubblica a dispetto di quella privata (40 milioni di americani ne sono privi) e subirà come tutti pressioni dalle lobbies.
Però la sua ascesa ha creato curiosità, interesse. E' indubbiamente carismatico, scatena passione, sogni, aspettative. Ha riportato le masse fuori di casa, lontano dalla stramaledetta tv, ai suoi comizi. Sono d'accordo con chi vede in lui il JFK degli anni duemila, per come parla alla gente, per come si pone, per la novità che rappresenta.

Spero che le analogie con i Kennedy si fermino a questo.

lunedì 27 ottobre 2008

I migliori della vita, 3


Big Country, Steeltown
Ai miei inizi, quando ho scoperto (grazie al film Streets of fire, ma questa è un'altra storia) il rocherroll, cominciavo a cercare artisti che suonassero quella roba lì, operazione non semplice, visto che si era in pieni anni ottanta, e temo che andasse molto qualcosa che chiamavano new romantic, il pop elettronico e dj television.

Non avendo internet, e potendomi permettere al massimo un disco al mese, cercavo sulle riviste musicali ( tra le prime acquistate Tutto e Rockstar) consigli e inidicazioni che m'ispirassero. Tra le mie amicizie, l'unico che avertisse l'insorgere di questa malattia, era il Ronda, che però, già da prima dell'impazzimento delle ragazzine, aveva individuato nei Duran Duran i suoi preferiti.


Io ricordo che andavo per tentativi, senza riuscire a trovare ciò che mi soddisfasse. Sarebbe bastato che qualcuno mi parlasse dei Blasters, e probabilmente sarei stato a posto anni, visto che quello era esattamente il sound che volevo ascoltare. Invece, vabbeh, vagavo confuso tra il Bowie appannato di Tonight e i Toto strafatti di Isolation,senza trovare soddisfazione.


Steeltown, secondo lavoro degli scozzesi Big Country, che avevano debuttato l'anno prima con l'ottimo The crossing, è stato disco del mese di Rockstar, ad un certo punto dell'84. Non ricordo granchè di quella recensione, la mia attenzione era concentrata sulla copertina, ne ero letteralmente affascinato, e lo sono tutt'ora. Inutile dire che il mio unico acquisto di quel mese è stato proprio quello.


Anche il primo impatto con la musica è stato travolgente. Il loro rock cercava di coniugare la tradizione anglosassone con un certo spirito punk, cosa che ormai si stava sviluppando nel regno unito anche attraverso altri gruppi, ma , a differenza degli altri, loro non usavano gli strumenti tradizionali (cornamuse, flauti, violini), ma replicavano quel suono utilizzando la chitarra elettrica.

Beh, mi rendo conto che detta così, oggi può sembrare tremendamente kitsch, invece il loro sound era potente e drammatico e i testi, spesso incentrati su tematiche sociali (erano gli anni della stramaledetta Thatcher), efficaci ed intensi.


Il lato A del disco conteneva almeno tre capolavori, Flame of the west, East of Eden e Where the rose is sown. A chiudere la facciata un'altro masterpiece: Come back to me una ballata anomala, che si sviluppa struggente sopra una batteria ossessiva che sembra una triste litania militare.


Il lato B è all'altezza delle gemme che lo precedono. Le ultime tre del lotto, Rain dance, Great divde e Just a shadow conducono la puntina a fine corsa lasciando una sensazione di stupore (almeno per me è stato così) nell'ascoltatore.


Il gruppo si era formato in Scozia, anche se a ben vedere, nessuno dei quattro membri (Stuart Adamson, voce, chitarre, tastiere; Bruce Watson, chitarre, mandolino, sitar; Toni Butler, basso; Mark Brzezicki, batteria e percussioni) era nato in quella terra.


I Big Country hanno ballato per poche stagioni.
Il loro sound, così caratteristico, è stato alla fine anche il loro limite, e quando hanno provato ad aggiornarlo, si sono inevitabilmente omologati a decine di altri gruppi, magari anche più originali, e si sono persi. Probabilmente oggi giustificherebbero la loro esistenza con incessanti tour, a suonare sempre le stesse 15-20 canzoni estratte sopratutto dai primi due-tre lavori, non fosse che a fine 2001, l'indiscusso leader della band, nonchè voce e chitarra solista, Stuart Adamson, ci avesse lasciato, in un contesto mai chiaritio ( suicidio o soffocamento accidentale indotto dall'abuso di alcol?) in un hotel a Honolulu.


Il consiglio, come sempre,e sapendo che non stiamo parlando di fuoriclasse definitivi ma di grandi gregari, è quello di dargli una chance, anche se postuma.


venerdì 24 ottobre 2008

Il welfare della destra

Efficace e corrosivo fondo del sempre ottimo Curzio Maltese sul Venerdì di Repubblica di oggi. Il tema è la riforma scolastica di Tremonti (e non della Gelmini, visto che parte da un taglio, di oltre 8 milardi, di natura economica). Ne ho trascritto un paio di stralci che ho trovato particolarmente stimolanti:

In un film di Truffaut, Gli anni in tasca, un maestro spiega ai suoi alunni che nessuno si cura dei loro diritti perché i bambini non votano. Aggiunge che tutti possono, anzi debbono, protestare. “Tutti i governi dicono: non cederemo alle minacce. Ma in realtà cedono solo a quelle”.
Nell’Italia di oggi un maestro come quello, magnifico, sarebbe processato.(...)

E’ curioso che su 8 miliardi di tagli imposte alle elementari, con 130mila esuberi fra docenti e precari, non un euro o un posto riguardino l’insegnamento della religione, dal costo di un miliardo l’anno, con un esercito di 24mila insegnanti di ruolo scelti una volta dai vescovi e assunti per la vita dallo Stato. Eppure, guardacaso, nessun Brunetta si scandalizza. (…)

Gatto & Volpe

Copio e incollo per esteso. Un pò lungo, ma molto lucido e condivisibile.

LA CRISI FINANZIARIA E I SOGNI SCONFITTI

di MICHELE SERRA

In questi giorni straniti e ansiogeni, moltissimo si è letto e imparato sulle ragioni tecniche della catastrofe finanziaria globale. Assai meno sulle sue ragioni sociali e antropologiche , che un luminoso intervento del sociologo Zygmunt Bauman (Repubblica di qualche giorno fa) fa risalire, in sintesi, alla fine del desiderio : e cioè, attraverso il doping del credito illimitato, alla trasformazione di ogni desiderio materiale in diritto, da ottenere a qualunque costo. Il diritto di avere tutto e subito , e non si sa se sia stato il neocapitalismo a parodiare il vecchio slogan estremista oppure viceversa... (è malizioso chiedersi se qualche giovane pescecane della finanza abbia fatto il Settantasette?). Ora, sarebbe insano che un rialzo di Borsa, per quanto vigoroso, bastasse a dimenticare che il motore fondamentale del tracollo, a monte di responsabilità truffaldine odi forzature patologiche, è stato il way of life , lo stile di vita delle società occidentali e specialmente degli americani.

Se ancora non ci si capacita che davvero esiste un limite (non morale: materiale) agli appetiti unrnni, alla ricorsa nevrotica a un companatico tanto ingente da far collassare anche il pane, forse è il caso di rileggersi Pinocchio. Laddove, nell'agguato finanziario teso dal Gatto e la Volpe (oggi sarebbero: Gatto &Volpe), il gioco si regge sulla credulità sconfinata di Pinocchio, che affida i suoi tre zecchini residui a chi gli promette di moltiplicarli a dismisura seminandoli nel Campo dei Miracoli, liniitrofo al paese di Acchiappacitrulli. La notte precedente la truffa, il burattino sogna piantagioni di alberi che grondano monete d'oro, come promessogli dai suoi due consulenti d'affari. Il moralismo ficcante e a volte atroce di Collodi si fondasu un buon senso radicatissimo fino a un paio di generazioni fa. Per molti dei nostri padri, bisognava spendere solo quello che si aveva in tasca, e anche fare un mutuo per la casa, pure se garantito dal proprio sudore futuro, aveva qualcosa di losco e di avventato. Per noi contemporanei il credito ha avuto, per contro, anche un'evidente funzione democratica: concedeva anche a chi partiva senza risorse una chance in pi per comperare casa, per accedere albenessere, per migliorare ilproprio status. E dunque, dio ci guardi dalla tentazione di rimpiangere un mondo nel quale partenza e traguardo spesso coincidevano, in ragione di una divisione di classe, e di una rigidità sociale, infinitamente maggiori di adesso. Il problema, alla luce dei recenti sconquassi, non è dunque maledire le ambizioni individuali.

E' domandarsi se queste ambizioni, nel vertiginoso moltiplicarsi dei bisogni e dunque dei debiti, sono ancora oggetto di discernimento da parte di chi ambisce. Se cioè esista una graduatoria logica dei bisogni, un igiene dell'avere, secondo la quale la prima casa peresempio meritail sacrificio di un mutuo, ma le vacanze di lusso (che gli analisti indicano come una delle tante ragioni del mostruoso indebitamento americano) invece no. Perché un conto è il decoro sociale, altro conto è l'imitazione ottusa e servile di modelli patinati. Che cosa ci serve per vivere bene? Ce lo domandiamo ancora? Siamo padroni dei nostri bisogni o ne siamo vittime? Non era forse questa la domanda modernissima, come si vede che la sinistra voleva e doveva porsi una volta accertato che la società di mercato è comunque più vivibile e libera, più speranzosa e dinamica? E soprattutto, di quale smodato potere ahhiamo investito i nostri tutori politici, istituzionali, finanziari, cheavrebberoavutoil compito di tenere sotto stretto controllo il rapporto tra lavoro e denaro, tra economia materiale e giochi speculativi, insomma tra realtà e ossessione, e inve ce quasi ovunque si sono trasformati in suadenti suggeritori di sogni, complici di Gatto & Volpe e in molti casi Gatto & Volpe essi stessi, predicatori di sviluppi illimitati, di consumi infiniti, di godurieobbligatorie? Non è precisamente il Paese dei Balocchi quello in cui non solamente la pubblicità, ma anche i governanti (di destra e di sinistra) con entrambi gli occhi fissi sul Pil e zero sguardo su tutto il resto, ci hanno fatto credere di vivere, purtroppo contando sulla resa incondizionata del nostro spirito critico?

La grande prevalenza di spiegazioni tecniche , nel corso di questa crisi, fa capire meglio di ogni altra considerazione che cosa significhi pensiero unico . Significa che nessun dubbio strutturale, nessuna domanda radicale ha pi spazio nel nostro mondo, al di fuori del catastrofismo gongolante di chi spera nel tracollo mondiale per poter dire avevo ragione io , o peggio perriproporre levecchie ingessature del collettivismo di regime. Rifare ordine nei hisogni, nelle priorità, nei consumi, apparequasi impossibile nel caos allucinato di una civiltà che ha seriamente rischiato di esplodere perché un impiegato voleva fare le stesse vacanze, guidare la stessa automobile, indossare gli stessi abiti del suo padrone. Un'apparente pulsione democratica che nasconde nella pancia il veleno tremendo del conformismo, dell'appiattimento sociale eculturale, perché quanto a collettivismo sarebbe ora di accorgerci che non teme rivali un mondo nel quale tutti ambiscono a fare la stessa identica vita. Se centinaia di milioni di persone hanno fatto lo stesso medesimo errore, indotte da persuasori molteplici (pubblicità, televisione, banche, politici) a sognare lo stesso sogno, non è forse il segno di un'epoca monocorde, mnorhidamente totalitaria (vedi il bel saggio di Raffaele Simone "Il mostro mite" ), che declassa le differenze a devianze, che diffida non pi della povertà, ma della sobrietà come di una debolezza sovversiva?

Se la sinistra volesse ripartire da qui, da questo fermo-immagine di una società terrorizzata dalla propria stessa ingordigia, prigioniera dei sogni piuttosto che libera dai bisogni, e riuscisse a dire un paio di cose convincenti sulla differenza tra l'agio e l'avidità, tra la soddisfazione e la crapula, tra il limite e la smodatezza, forse riuscirebbe in tempi brevi a ripartire davvero, dall'oggi e non più dallo ieri, con un vocabolario rinnovato, uno sguardo pi limpido e vivace, e la voglia di tornare a capire che dentro una ricchezza simulata c'è molta pi simulazione che ricchezza. Molta più angoscia che serenità. Molta più sconfitta che vittoria.

giovedì 23 ottobre 2008

Post inutile

A Milano celle di 3 metri per 2 con 6 detenuti. A Monza si dorme su materassi in terra

«Carceri disumane. E fuorilegge»

Rapporto choc dell'Asl su San Vittore e Monza. Il giudice del tribunale di sorveglianza: la pena non si fa espiare così

Almeno in alcuni reparti del carcere di San Vittore a Milano e della casa circondariale di Monza «le condizioni igieniche e di vivibilità», documentate da due rapporti riservati dell'Asl, «sono pessime» al punto tale da violare «l'articolo 32 della Costituzione che tutela la salute come diritto fondamentale dell'individuo e interesse della collettività», e l'articolo 27 per il quale «in nessun caso» la legge può determinare come pene «trattamenti contrari al senso di umanità». E poiché queste condizioni di invivibilità sono «non rimediabili con l'indiscusso impegno del personale», il neopresidente del Tribunale di Sorveglianza di Milano, Pasquale Nobile De Santis, ricorre a una norma dell'ordinamento penitenziario del 1975, e cioè all'articolo 69, per rappresentare per iscritto e direttamente al Guardasigilli Angelino Alfano una necessità da ultima spiaggia: «Assoluta l'esigenza che vengano a cessare le suddette modalità di esecuzione della pena e di custodia dei detenuti». Come dire: che vi sia da dare finalmente corso alle ristrutturazioni di padiglioni in attesa di lavori finanziati o da sgomberare questo o quel raggio trasferendo altrove i detenuti che vi sono pigiati, almeno in alcuni reparti di queste due carceri la legge è violata, non si può continuare a far finta di non vedere che sia così, e soprattutto non si può continuare a far espiare in questo modo la pena.

continua qui

Non che ce ne fosse bisogno, ma questi sopralluoghi dimostrano come l'approccio al problema "indulto" fosse strumentale. Quel provvedimento doveva essere un'iniziativa-ponte, che doveva concedere del tempo per allestire un progetto di riforma carceraria. Nuove regole, rispetto dei diritti dei detenuti, nuove strutture. Niente di tutto questo è mai stato fatto, siamo punto a capo. Non è una priorità per questo governo. In tutta onestà non lo è stato nemmeno per quello precedente e per quelli prima.

MFT, ottobre 2008


ALBUM

Girl Talk - Feed the animals
Hank III -Damn right, rebel proud
Hayes Carll - Trouble in mind
AC/DC - Black ice
John Mellencamp - Life, death, love and freedom
Kings of leon - Only by the night
Bruce Willis - Classics
Black stone cherry - Folklore & superstition
Metallica - Death magnetic
Marvin Gaye - Let's get it on
Lynyrd Skynyrd - One more from the road
The Boxmasters - omonimo
The gaslight anthem - The '59 sound







(METAL) TRACKS

1. world of domination - fatal smile
2. the time to kill is now - cannibal corpse
3. love is live - joe lynn turner
4. nothing else remain - poisonblack
5. kirisute gomen - trivium
6. piccolo uccello bianco - strana officina
7. please come - black stone cherry
8. gilded cunt - cradle of filth
9. the perfect crime - metal church
10. lepers among us - dimmu borgir
11. fuck off and die - backyard babies
12. psychosocial - slipknot
13. c-lebrity - queen + paul rodgers
14. autostrada dei sogni - strana officina

LETTURE

Joe R. Lansdale - Maneggiare con cura
Sam Savage - Firmino

VISIONI

The Shield, season 6





mercoledì 22 ottobre 2008

Stavolta il dito medio è francese

PARIGI - Il presidente francese Nicolas Sarkozy alza il tono dello scontro con l'Italia sulla lotta ai cambiamenti climatici. "Abbandonare il pacchetto dell'Unione Europea è irresponsabile e drammatico", ha detto Sarkozy, presidente di turno dell'Unione europea. "La situazione ambientale del mondo - ha aggiunto il capo dell'Eliseo - non è migliorata in conseguenza della crisi finanziaria. Il pacchetto è fondato sulla convinzione che il mondo va incontro alla catastrofe se continua a produrre nelle stesse condizioni. Non vedo alcuna argomentazione che mi dica che il mondo va meglio dal punto di vista ambientale solo perché c'è la crisi economica".

Questo qui come mette il piede fuori dall'Italia sfascia qualcosa. In Europa non subiscono il fascino del suo talento, della sua personalità, delle sue fini battute. Meglio gli andava in USA (ancora per pochissimo, spero) e in Russia. Come notava intelligentemente qualcuno: ora darà del comunista anche a Sarkozy?


martedì 21 ottobre 2008

Vittorio


Roma, 20 ottobre - Si è spento, all’età di 98 anni, il compagno Vittorio Foa. La Segreteria della Cgil esprime profondo cordoglio ai suoi cari e lo ricorda, in particolare, per il periodo della sua vita, tra il 1948 e il 1970, in cui svolse con passione e impegno il ruolo di Segretario confederale nella Cgil e, per un periodo, nella Fiom.
Vittorio Foa è stato anche una figura rilevante della storia politica e democratica di questo Paese: prima, da antifascista perseguitato e incarcerato, poi da dirigente del Cln e, ancora, da membro dell’Assemblea costituente dopo l’esperienza nel Sindacato, da dirigente politico nazionale e da parlamentare.
Con i suoi scritti e le sue riflessioni, Vittorio ci ha sempre accompagnati con un grande contributo di idee e di proposte e la rara capacità di guardare al futuro, leggendo la memoria del nostro passato: rappresentando, quindi, per tutti noi, un riferimento prezioso.


Questo non è un banale "coccodrillo". Vittorio è stato veramente una persona eccezionale, una mente lucidissima anche nei momenti e nelle situazioni più drammatiche. Schivo, sempre lontano dai riflettori mediatici, letteralmente adorato da molti studenti e da buona parte degli attivisti della CGIL. Capace di una saggezza leggera e affascinante, leader di un pensiero che, a 98 anni suonati, coinvolgeva ed entusiasmava i suoi interlocutori. Dedicate un pò di tempo ad almeno uno dei suoi libri, io consiglio Questo Novecento e Lettere dalle giovinezza (sulla sua detenzione durante il fascismo), sarà banale, ma è sempre il modo migliore per ricordare un grande del pensiero del novecento.




domenica 19 ottobre 2008

No Girl Talk, no party


Non posso usare altre premessa che: non è il mio genere. In effetti sono poco a mio agio con questa roba che non so se chiamare dj sets o dance, in genere mi fermo all’hip hop.
Però, come dico sempre, se un disco è buono, dovrebbe travalicare i gusti.

Feed the animals, di Girl Talk (nome d’arte di Greg Gillis, americano, classe 1981), genietto della consolle specializzato nello
mash up style remixes, che consiste sommariamente nel tagliare e cucire insieme decine di canzoni per crearne una nuova, è un compendio di citazioni e riferimenti che abbraccia quasi mezzo secolo di rock n' roll, pop, soul, rhythm n' blues, soul, dance, e rap.

In questo disco le citazioni, usate quasi sempre come basi per tirate rap, sono infinite, ognuna di loro, c’è da scommetterci, rigorosamente non autorizzate.
C’è un comun denominatore che a volte unisce i rocchettari convinti, quelli che vanno solo a Fender e Marshall, agli smanettoni del mixer e dei campionamenti: la passione sfrenata per la musica, tutta la musica.
Mi piace immaginare questo ragazzo,nella sua stanzetta stracolma di ellepì, a destreggiarsi tra riff dei Nirvana, rime di Ice Cube, ritornelli di M.I.A., lenti dei RHCP, fraseggi di chitarra dei Cure.

Impossibile riconoscere tutte i riferimenti contenuti in ogni singola traccia di questo lavoro, alcuni cut durano davvero solo il tempo di un sospiro, io ho individuato: Gimme some lovin’; We’re not gonna take it (i Twisted Sisters!!!); Nothin’ compares to you; Whiter shade of pale; The weight ; Land of 10.000 dances; Bohemian rapsody; C’mon on Eileen; You’ve got it (Roy Orbison!); Purple Haze; I can’t wait; Back to life, e, incredibilmente, durante la traccia nove (Hands in the air), un inconfondibile assolo di chitarra/cornamusa dei miei adorati Big Country!

Un album che trovo estremamente divertente, e forse proprio perché così lontano dai miei gusti abituali, si sta facendo strada a gomitate nella mia playlist di questo periodo. Penso possa piacere molto a Filippo, vista la sua abilità nel far girare i dischi. Comunque sia lui che tutti i Bravi Ragazzi curiosi sanno perfettamente dove possono trovarlo.

sabato 18 ottobre 2008

wall-e


In un futuro lontano secoli, la terra, arida e sommersa dalla spazzatura, è abbandonata dagli uomini, che sopravvivono nello spazio su di un'astronave che sembra una nave da crociera a cinque stella. Wall-e, un piccolo robot smaltitore di rifiuti, è l'unico abitante di un'enorme città americana, nella quale, dopo secoli di compressione dei rifiuti in piccoli cubi, ha costruito numerosi grattacieli di spazzatura. Nel tempo wall-e ha acquisito sensibilità e senso critico, si emoziona a guardare vecchi musical, conserva alcuni oggetti trovati dall'enorme discarica a cielo aperto che è la terra, diventa inseparabile amico di un'enorme blatta. Tutto scorre così, giorno dopo giorno, fino a che una navicella spaziale lascia sulla terra, per una misteriosa missione la scintillante robottina Eve. E l'esistenza di wall-e, un pò E.t., un pò Charlie Chaplin, non sarà più la stessa.

Quelli della Pixar hanno tirato fuori un altro piccolo capolavoro d'animazione digitale: caldo, delicato, emozionante. Ormai questi lungometraggi di freddo hanno solo i vari nomi delle tecnologie sofisticate che adottano, perchè il risultato finale, da un punto di vista visivo, è stupefacente.
Una commovente storia d'amore, tra panorami desolati, volte stellate, enormi astronavi, robot ribelli ed umani sovrappeso.

Non so quanto sia adatto per bambini piccoli (per una buona parte il film è senza dialoghi e l'unico protagonista è il robot e uno scarafaggio ) anche se Stefano non ha praticamento mosso un muscolo per tutta la proiezione, ed è la prima volta che succede.

Voto: 7,5

Jesus on tv

Nuovo video di Hayes Carll per una delle mie canzoni preferite da Trouble in mind. La storia del video è una parodia di quei reality americani in cui lo sfigato di turno segue con una troupe la sua compagna che se la spassa con un altro, e la coglie in castagna. In questo caso l'altro di turno è Gesù.
Grazie a Filippo per avermelo segnalato.


venerdì 17 ottobre 2008

Il decalogo del blogger devoto

L'alleanza evangelica, la più importante associazione evangelica inglese, ha stilato le dieci regole per orientare la gestione dei blog dei devoti, ed evitare quindi lo spazio in rete diventi un rifugio peccatorum.
Alcune regole sono davvero esilaranti, altre le violo constantemente, sulla 5 direi che ci siamo.

1) Non anteporre il blog alla tua integrità
2) Non fare del tuo blog un idolo
3) Non fare cattivo uso del tuo nickname sfruttando l'anonimato per peccare
4) Ricorda di santificare le feste: non aggiornare il blog nel giorno di riposo
5) Onora i tuoi compagni blogger prima di te stesso e nondare eccessivo significato ai loro errori
6) Non ledere l'onore, la reputazione e i sentimenti di un altro blogger
7) Non usare il web per commettere peccato o per pensare di commettere adulterio
8) Non rubare i contenuti altrui
9) Non dare falsa testimonianza nei confronti di un altro blogger
10) Non desiderare il ranking degli altri blog. Accontentati del tuo

Invidiosi dell'iniziativa della chiesa evangelica inglese, anche papa Ratzinger e David Letterman hanno annunciato che enunceranno le loro dieci regole per il vero bloggista.

giovedì 16 ottobre 2008

Hayes Carll live in Casnigo

Mi incuriosiscono sempre un po’ taluni ingranaggi organizzativi di eventi musicali, che portano ad esibirsi in Italia artisti stranieri – spesso americani – in amene località isolate dal mondo civile ed estranee a qualunque circuito o scena artistica. Qualche tempo fa, Chiari (BS) ha avuto un ruolo di un certo rilievo per la musica folk-rock d’estrazione “Buscaderiana”, con l’assessorato allo spettacolo ad organizzare numerosi concerti con molti artisti di casa sulla rivista varesina (io ad esempio ci ho visto Steve Earle, Joe Ely, The Molly’s). In queste occasioni gli organizzatori “precettano” la popolazione locale per garantirsi dall’eventuale flop, e quindi è normale vedere gente di mezz’età, con il vestito della domenica, a presenziare “l’evento”, totalmente all’oscuro di cosa andrà a vedere ed ascoltare. Casnigo non fa eccezione, a fronte di qualche (più o meno) giovane in jeans, la maggioranza è in tiro e over 50. Altra anomalia, rispetto alla liturgia classica dei concerti, l’esibizione è prevista per le 17, e quando, dopo aver sbagliato diverse volte la strada, arrivo sul posto, scopro che, alla modica cifra di euro 10, al termine dello show sarà offerto un rinfresco. La location è un circolo ricreativo (“Della Fratellanza”), si entra da un portone anonimo che conduce in un cortile ai cui estremi si trovano bar e teatro.

Davanti alla porta chiusa del teatro una manciata di persone che chiacchiera.Uno di loro si intuisce essere l’organizzatore dell’evento, si lamenta della scarsa partecipazione, difendendo con orgoglio la sua intuizione di portare aies carl in mezzo alle valli (- Uhè, dico, l’ultimo disco ha preso quattro stelle sul Buscadero, neh. Quattro stelle!-) e lamentandosi della difficoltà di “aprire le menti” dei suoi compaesani a musica differente da quella che gira oggi nelle radio, soprattutto senza traini di alcun genere. Il suo è praticamente un monologo, anche molto appassionato, io lo capisco, poverino. Entro nel bar annesso e mi faccio strada tra tavoli da briscola e da biliardo, ordino un caffè corretto sambuca, che da queste parti normale non si prendono nemmeno il disturbo di fartelo,mi giro, lo sorseggio mentre studio la clientela. Noto proprio dietro di me una coppia che gioca a carte, ma a differenza del resto dei presenti,i due parlano inglese. Lui mi sembra di conoscerlo. Scazzato come può esserlo solo un texano trascinato da chissà chi in val seriana, Haeys Carll si sta facendo una scala con un’accompagnatrice italiana. Lì guardo un pò sorpreso, sono perfettamente a loro agio, il clima è disteso e rustico. Nel frattempo hanno aperto il portone del teatro, faccio il biglietto , dò un’occhiata alla sala dove si svolgerà il concerto. E’ un delizioso vecchio teatrino da un centinaio di posti, meravigliosamente ristrutturato. Pregusto un’acustica grandiosa. Piazzo il giubbotto sulla sedia in prima fila ed esco in camicia (me ne pentirò). Hayes si è avvicinato al foyer, sembra un po’ spaesato (e te credo), suppongo che non in molti lo conoscano, per cui vaga indisturbato, e probabilmente un po’ annoiato, di punto in punto.

Vinco ritrosia e timidezza, faccio un veloce ripasso mentale d’inglese e avvicino Hayes. Gli dico che ho già ascoltato il suo ultimo lavoro, Trouble in mind, e che lo trovo, pezzo per pezzo, splendido. Gli chiedo se per caso ha con se dei ciddì, visto che negli stores italiani non è semplice trovarli. Sorride quasi imbarazzato, ringrazia e chiede al suo chitarrista di portarli. Sono due dei tre che ha inciso, io ovviamente li compro entrambi (€10 each) lui me li firma. Siparietto esilarante quando una sciura locale si fa fare l’autografo sul ciddì, e cerca di fare lo spelling del proprio nome (g-i-u-s-y) pronunciando le vocali in italiano e non in inglese, con Carll smarrito che scrive, poi corregge più volte, e infine le consegna una dedica personale con il nome talmente scarabocchiato da risultare illeggibile. Non in molti seguono il nostro esempio, e le due torri di compact disc restano impilate in ordine sul banchetto nel foyer. Si comincia, il posto è pieno per metà, da come buttava temevo potesse andare anche anche peggio, sul palco sono in due con la chitarra, Brad Jones, simpatico guascone con coppola irlandese, alterna la sei corde al mandolino. Ad aprire il set, la delicata Beaumont, seguita dal vibrante folk blues di I got a gig e Wild as a turkey, gli applausi arrivano puntuali, ma un po’ formali, c’è poco entusiasmo. Haynes sembra non riuscire a “rompere il fiato”, biascica qualcosa di incomprensibile rivolto al pubblico (immagino una richiesta) ma nessuno risponde e lui imbarazzato replica con un “ah, ok”. Con il vigoroso southern di Little Rock, piazzato quasi a metà spettacolo la gente si scalda davvero, e comincia a battere le mani, e a volte i piedi, a tempo. Tutti, eccetto il sapientone seduto dietro me, che continua a ripetere alla sua accompagnatrice, probabilmente rea di divertirsi troppo, che , alla fine: - si, vabbeh, usano sempre i soliti 2,3 accordi - . Chiude il set, prima dei bis, un’evocativa e lentissima versione di Bad liver and a broken heart, che fa da perfetto contraltare all’originale su disco,dove è la più potente del lotto.

Hayes e Brad ringraziano e salutano il pubblico. Questa liturgia classica dei live, i saluti e il rientro sul palco per gli encore, nel minuscolo teatrino di Casnigo diventa un po’ ridicola, visto che dal palco i due scendono frontalmente, passano davanti agli spettatori raggiungono il fondo della sala. A questo punto l’organizzatore, che era lì ad attenderli, li rispedisce tosto a suonare. Tra i saluti e il loro ritorno sul palco non è passato nemmeno un minuto. I casnaghesi (?) adesso però sono caldi ed entusiasti, e questo vigore sembra arrivare ai due, belli gasati pure loro. Quando ringraziano e chiedono “Any request?” e capisco che è arrivato il mio momento: sono l’unico in sala che può soddisfare questo classico passaggio dello spettacolo, e butto lì - She left me for jesus!!! -. Questa canzone chiude l’ultimo disco, e racconta di un tizio che viene abbandonato dalla sua bella perché lei ha visto la luce, ha trovato Gesù. E' un gran bel pezzo, ironico e irriverente, in odore di blasfemia, oltre ad avere un ritmo trascinante. Ma l’aspetto migliore della questione è che in quella cattolicissima zona, due texani potessero cantare: "SHE LEFT ME FOR JESUS AND THAT JUST AINT FAIR/ SHE SAYS THAT HES PERFECT HOW COULD I COMPARE /SHE SAYS I SHOULD FIND HIM / AND ILL KNOW PEACE AT LAST / IF I EVER FIND JESUS IM KICKIN HIS ASS". Così è andata ed è stato meraviglioso essere l’unico a cantare questi versi, mentre il resto dei presenti, ignari, si spellava le mani.


A fine concerto non senza una certa soddisfazione,osservo il banchetto dei ciddì di Hayes preso d’assalto dagli indigeni del posto (alla fine i dischi saranno tutti venduti). Visto che ormai io e mr. Carll siamo amiconi, non mi faccio ovviamente mancare la foto ricordo, e il brindisi finale a Valcalepio, pane e salame. Nonostante fossi solo, me ne sono andato a fatica, tra gli ultimi ritardatari. Il viaggio verso casa di Hayes Carll from Houston sarà stato lungo e noioso. Per lui, avvezzo a suonare in posti pieni di strafattoni, con la rete da pollaio a protezione del palco, è stata probabilmente una serata bizzarra. Io ho vissuto invece una bella esperienza, a base di buona musica elargita lontano da ogni tipo di consuetudine del music business e dello star system. Persino il ritorno , in una serata senza luna che rende ancora più suggestivo il panorama delle case illuminate nella valle, sembra speciale.

mercoledì 15 ottobre 2008

Rock n' roll train

Ieri trasferta in treno a Roma per lavoro. Ultimamente tendo a preferire sempre più questo mezzo di trasporto, rispetto all'aereo, un pò per scelta un pò per obbligo, visto che non sono autorizzato ad usare il mezzo di trasporto con le ali. Riuscendo a prendere l'eurostar o l'alta velocità al massimo in quattro ore e mezzo sei nella capitale, e hai tempo di ascoltare musica, leggere, scrivere, se la compagnia è buona scambiare quattro chiacchere.
Ieri i compagni di viaggio erano, all'andata assenti, al ritorno incuffiati con notebook, per cui ne ho approfittato per finire un libro di racconti di Lansdale, scrivere qualcosa (che potrebbe finire sul blog o far parte di un racconto), terminare la recensione del concerto di Carll, in sospeso da quasi tre settimane, leggere con passione adolescenziale una rivista di hard rock (Rock Hard appunto), genere di pubblicazione che non mi capitava di comprare da quando in copertina c'era immancabilmente un gruppo di hair metal.
Soundtrack del viaggio: Hayes Carll, AC/DC, Kings of Leon e John Mellencamp. La prossima volta però devo evitare le cuffiette tipo auricolare perchè dopo un pò mi fanno male le orecchie.
Se mi sono dilungato sul viaggio e non ho scritto nulla su come è andata a Roma non è nè un caso nè una dimenticanza.

lunedì 13 ottobre 2008

Il compagno Batman


Subdolo tentativo delle infide forze comuniste di suggestionare l'innocenza dei bambini, attraverso messaggi trasmessi dai giocattoli regalati nella scatole di cereali. In questo esclusivo documento fotografico un famoso personaggio di fumetti e film si esibisce nel noto e odioso saluto comunista.

Rimessaggio annuale


Sotto l'attenta supervisione di Stefano, anche quest'anno si è svolto il consueto lavaggio e remissaggio di tutte le sue preziose proprietà con le ruote. - Però fatele asciugare bene, non come l'altra volta che usciva l'acqua! - è stata l'unica raccomandazione espressa dall'armatore.

sabato 11 ottobre 2008

Take a chance, while you still got the choice

Ho appena speso più di settanta euro per vedere il concerto di una band che ha nei suoi elementi di punta un chitarrista ultracinquantenne che sfiora il patetico con il suo completino da scolaretto composto da giacca e shorts, e un cantante scoppiato, che, arrivato al fondo del barile, sta scavando.


Ma che ci volete fare, sono un sentimentale.

venerdì 10 ottobre 2008

Lentamente, una vite per volta

Montanelli una volta ebbe a dire, riguardo Berlusconi, che la cura migliore per guarire dal suo virus sarebbe stata quella di ammalarsi, in modo da sviluppare degli anticorpi.
Onestamente non ci ho mai creduto. Troppo forte la presa di B. sugli italiani, troppo sproprzionata la sua forza mediatica rispetto alle altre forze politiche, troppo negativa la fase storica, troppo debole e confusa l'opposizione.

A rafforzare questa mia convinzione la nuova strategia della coalizione di governo. L'hanno capita che attaccare frontalmente i diritti acquisiti delle persone (pensioni nel 1994, l'art. 18 nel 2002) è controproducente, e pertanto hanno imparato ad agire con cautela, muovendosi nell'ombra, ma con la tenacia di un ladro che smonta una cassaforte vite per vite, bullone per bullone, sapendo di avere tutto il tempo di questo mondo.

Un esempio che pochissimi conoscono, ma che Confindustria ha subito chiesto - e ottenuto - dai berluscones, è la sopressione della regola sulle dimissioni introdotta dal precedente governo. Questa norma prevedeva che, per formalizzare una lettera di dimissioni non bastava più scrivere una lettera e firmarla, ma bisogna recarsi in un centro per il primo impiego (ex collocamento) e ritirare un modulo protocollato di cui restava copia agli atti, che era l'unico documento legalmente valido per lasciare l'azienda. Ora, questa iniziativa poteva sembrare una perdita di tempo per lavoratori normali che possono accedere a tutti i diritti contrattuali e di legge, in realtà era una manna per quelli stranieri, e in generale per tutti quelli privi di potere contrattuale, ai quali i padroni estorcevano dimissioni in bianco all'atto dell'assunzione, così da poterli licenziare senza obblighi di riassunzione o risarcimenti.
Giustificazione di Sacconi: - l'ho fatto per rendere più semplice la vita ai lavoratori- .

L'articolo 18 dello statuto dei lavoratori (quello sul diritto del lavoratore ad essere reintegrato in caso di licenziamento senza giusta causa) è di nuovo, stavolta subdolamente, attaccato in una norma contenuta nel DDL 1441-quater, art. 65. E' previsto infatti che in determinate situazioni, nell'amministrazione pubblica, il giudice non sia più obbligato a riassumere il lavoratore ingiustamente silurato, ma debba tenere conto degli elementi e dei parametri fissati dai vari contratti (anche individuali), delle dimensioni e delle condizioni dell'attivita' esercitata dal datore di lavoro, dell'anzianita' e delle condizioni del lavoratore, nonché del comportamento delle parti anche prima del licenziamento.

Nel settore pubblico ogni scelta di governo inizia con i tagli. Solo dopo viene assemblata una strategia comunicativa per sostenerli. E' il caso della scuola pubblica, dove, attraverso una comunicazione che si basa sul ritorno alla tradizione (maestro unico, grembiulini) si tenta di far passare una colossale riduzione della spesa pubblica come una strategia di rinnovamento.

Poi toccherà alla sanità. Nel libro verde (una pubblicazione di indirizzo) sono previsti pesanti tagli alla sanità pubblica, e l'introduzione di forme di assicurazione private, non si sa ancora se integrative o obbligatorie. Precedentemente è stata cancellata una disposizione del governo Prodi che estendeva i livelli essenziali di assistenza ( i Lea) a nuovi servizi e categorie: dal dentista per gli indigenti alla fornitura di apparecchi per la mobilità, al parto indolore. Il decreto garantiva anche una maggiore assistenza ai malati cronici, a cominciare dall'Alzheimer; forniva gli apparecchi a chi non riesce più a parlare e a sentire; riconosceva 109 malattie rare, ampliava i servizi di protesi con l'introduzione di nuovi ausili informatici e rafforzava l'assistenza a domicilio ai malati terminali.

Tutto questo non esiste più, e siamo solo all'inizio. La popolarità del governo è alle stelle, si preparano scioperi e manifestazioni, siamo nel pieno di una crisi finanziaria globale, il premier minaccia chi parteciperà a manifestazioni di piazza, siano essi partiti o privati cittadini, e annuncia tolleranza zero contro le occupazioni delle università.

martedì 7 ottobre 2008

Corretto e poche storie (cit)

Ha cominciato a ronzarmi in testa un ragionamento sul tema del "politically correct", ricordavo che il termine proveniva dagli USA, ma non estattamente il periodo in cui è stato coniato. Mi è venuta incontro come spesso accade wikipedia, che riporta la nascita della definizione agli inizi degli ottanta: l'espressione politicamente corretto (traduzione letterale dell'inglese politically correct) designa una linea di opinione e un atteggiamento sociale di estrema attenzione al rispetto generale, soprattutto nel rifuggire l'offesa verso determinate categorie di persone. Qualsiasi idea o condotta in deroga più o meno aperta a tale indirizzo appare quindi, per contro, politicamente scorretta (politically incorrect): cioè, alla stregua di questa visione, inaccettabile e sbagliata. (...) Politically Correct è anche il successivo movimento di idee d'ispirazione liberal e radical delle università americane (in particolare nella University of Michigan ad Ann Arbor, Michigan) che alla fine degli anni ottanta si proponeva, nel riconoscimento del multiculturalismo, la riduzione di alcune consuetudini linguistiche giudicate come discriminatorie ed offensive nei confronti di qualsiasi minoranza per cui: afro-americans (afro-americani) sostituisce blacks, niggers e negros (negri), gay sostituisce i molti appellativi riservati agli omosessuali, diversamente abile sostituisce varie espressioni che erano politicamente corrette in passato (minorato, l'anglicismo handicappato, poi portatore di handicap,disabile), disoccupato sostituisce nullafacente.
Il movimento nacque in risposta al rapido aumento di episodi di
razzismo tra gli studenti; furono approntati ed imposti dei codici di condotta verbale (speech codes) con i quali si voleva scoraggiare l'uso di epiteti offensivi: il ripetuto mancato rispetto di questi codici veniva sanzionato con richiami ufficiali che avrebbero potuto influire negativamente sulla carriera accademica.
In un mondo, quello americano, fatto anche di sopraffazione del più debole e violenza, l'introduzione di una regola, seppur formale, di rispetto nei riguardi dei "diversi"era stata vista come un fatto estremamente positiva, e recepita in seguito, come spesso accade con le iniziative che partono dall'America, anche da noiartri.

La premessa mi serve per dire che, nel tempo, il valore di questa definizione è stato fortemente ridimensionato, (sempre da wikipedia: il politically correct viene spesso accusato di essere una sorta di pensiero unico oltrechè una forma di
ipocrisia, istituzionale, che si limita a cambiare la "forma", cioè le parole, senza intervenire sostanzialmente sul problema. Un modo per rimuovere le parole ma non (necessariamente) i problemi: chiamare afroamericani e diversamente abili gli ex negri e gli ex handicappati infatti è ben altra cosa dal rimuovere il razzismo e le barriere architettoniche.) fino a costituire un ostacolo nelle forme di espressione che raccontano la vita quotidiana.
Non a caso, quando si vuole elogiare un film, spesso si dice che è politicamente scorretto, come fosse un valore, e non in qualche modo una mancanza di rispetto per le vittime della "scorrettezza".

Non so bene cosa pensare a riguardo, ma ricordo qualche film demenziale, tipo "Tutti pazzi per Mary", in cui si prendevano in giro dei disabili fisici e mentali con risultati esilaranti da parte di tutto il pubblico in sala, o altri casi in cui le vittimi della satira erano negri ignoranti e volgari che si nutrivano esclusivamente di pollo fritto, oppure omosessuali parodisticamente effemminati, oppure nani perfidi, e avanti di questo passo.

Quella che inizialmente sembrava essere una piccola conquista del mondo civile è diventata una sorta di patetico paravento dietro al quale non vuole più celarsi nessuno, ma io non credo che la filosofia dietro la sua introduzione fosse sbagliata, forse sbagliato è l'uso forzato che se ne è fatto, in periodi in cui se sbagliavi ad usare un termine, utilizzandone uno non p.c. eri fustigato, magari giusto un attimo prima che un film non p.c. esaltasse la critica e le masse.

venerdì 3 ottobre 2008

Amarcord

Certe volte, tutto preso da nuovi ed effimeri strimpellatori, dimentichi quanto sono belle alcune vecchie ed abusate canzoni.

When I'm lyin' in my bed at night
I don't wanna grow up
Nothin' ever seems to turn out right
I don't wanna grow up
How do you move in a world of fog
That's always changing things
Makes me wish that I could be a dog
When I see the price that you pay
I don't wanna grow up
I don't ever wanna be that way
I don't wanna grow up

Seems like folks turn into things
That they'd never want
The only thing to live for Is today
I'm gonna put a hole in my TV set
I don't wanna grow up
Open up the medicine chest
And I don't wanna grow up
I don't wnna have to shout it out
I don't want my hair to fall out
I don't wanna be filled with doubt
I don't wanna be a good boy scout
I don't wanna have to learn to count
I don't wanna have the biggest amount
I don't wanna grow up

Well when I see my parents fight
I don't wanna grow up
They all go out and drinking all night
And I don't wanna grow up
I'd rather stay here in my room
Nothin' out there but sad and gloom
I don't wanna live in a big old Tomb On Grand Street

When I see the 5 o'clock news
I don't wanna grow up
Comb their hair and shine their shoes
I don't wanna grow up
Stay around in my old hometown
I don't wanna put no money down
I don't wanna get me a big old loan
Work them fingers to the bone
I don't wanna float a broom
Fall in and get married then boom
How the hell did I get here so soon
I don't wanna grow up

mercoledì 1 ottobre 2008

Music profiler

Dai gusti musicali si può capire gli elementi base della personalità di ognuno. Lo sostiene lo psicologo scozzese Adrian North della Herriot – Watt University, che ha intervistato, grazie al sito www.peopleintomusic.com, 36mila persone in tutto il mondo per studiare il legame musica-personalità. Gli estimatori della classica, secondo North, sono in genere uomini e donne introversi e creativi. Per niente timidi invece gli amanti del pop, rap dance, o canzoni indiane in stile Bollywood. Il reggae spopolerebbe tra poi tra gli “sfaticati” , mentre chi è un “ gran lavoratore “ preferisce la musica country e il rock. Con qualche sorpresa: i fan di Bach e quelli dell’heavy metal hanno un profilo identico: gentili, creativi e timidi.
da Vanity Fair

Back in black

Ricordo uno scambio di battute con Ale, non molto tempo fa, in cui alla mia domanda sugli orientamenti politici delle curve italiane, lui rispondeva che ormai erano quasi tutte di destra. Dopo le dicharazioni di Abbiati sul fascismo, c'è aria di sdoganamento definitivo del ventennio da parte degli illustri pallonari. Questo articolo da Repubblica di oggi è davvero inquietante, l'ultima parte, con le dichiarazioni di Balotelli è spaventosa, considerato che si tratta di ragazzini.

Quel fascino per la camicia nera che cresce nel mondo del calcio
di CORRADO ZUNINO

L'outing di Christian Abbiati, portiere del Milan fascista nel privato e ora anche in pubblico, ha allargato praterie di potenziali rivelazioni nel mondo del calcio italiano, da sempre silenziosamente a destra. Quelle parole rimbalzate in tutta Europa - "del fascismo condivido ideali come la patria, i valori della religione cattolica e la capacità di assicurare l'ordine" - sono sottoscritte, oggi, da una crescente platea di calciatori e dirigenti italiani. La forza delle frasi rivelatrici di un portiere che è abituale frequentatore dei leader di Cuore nero, succursale dell'estremismo nero milanese e luogo di riferimento per gli ultrà dell'Inter, più che nell'indicare il solito revisionismo pret a' porter italiano che vuole un fascismo buono prima del '38 ("rifiuto le leggi razziali, l'alleanza con Hitler e l'ingresso in guerra", ha detto Abbiati) segnala come anche i calciatori, notoriamente pavidi nelle dichiarazioni, oggi comprendono che queste "verità" si possono finalmente dire: il vento del 2008 non le rende più pericolose per le loro carriere.

Sono diversi i campioni italiani che indossano numeri sinistri e sventolano effigi del Ventennio per poi giustificarsi: "Non lo sapevo". Il portiere Gianluigi Buffon, figlio di famiglia cattolica e impegnata, è stato sorpreso in quattro atti scabrosi. La maglia con il numero 88 che rimandava al funesto "Heil Hitler" segnalata dalla comunità ebraica romana, poi la canottiera vergata di suo pugno con il "Boia chi molla". Nel 2006, durante le feste al Circo Massimo per la vittoria del mondiale, si schierò - mani larghe su una balaustra - davanti allo striscione "Fieri di essere italiani", croce celtica in basso a destra. E i suoi tifosi, gli Arditi della Juventus, un mese fa a Bratislava gli hanno ritmato "Camerata Buffon" ottenendo dal portiere un naturale saluto. Quattro indizi, a questo punto, somigliano a una prova.

E' da annoverare tra i fascisti per caso il Fabio Cannavaro capitano della nazionale che a Madrid sventolò un tricolore con un fascio littorio al centro: "Non sono un nostalgico, ma non sono di sinistra", giura adesso. Nel 1997, però, pubblicizzò in radio le prime colonie estive Evita Peron, campi per adolescenti gestiti dalla destra radicale. Il suo procuratore, Gaetano Fedele, assicura: "Un calciatore può essere strumentalizzato inconsapevolmente". Nella capitale si sta consumando un pericoloso contagio tra la curva della Roma, egemonizzata dalla destra neofascista, e i giovani calciatori romani. Daniele De Rossi, capitan futuro destinato a sostituire Totti, è un simpatizzante di Forza Nuova. E l'altro romanista da nazionale, Alberto Aquilani, colleziona busti del duce - li regala uno zio - mostrando opinioni chiare sugli immigrati in Italia: "Sono solo un problema".

Molti portieri la pensano come Abbiati, poi. L'ex Stefano Tacconi fu coordinatore per la Lombardia del Nuovo Msi-Destra nazionale ed è stato condannato per aver usato tesserini contraffatti giratigli dal faccendiere nero Riccardo Sindoca. Matteo Sereni, figlio della destrissima scuola Lazio, oggi che è portiere del Torino continua a dormire con il busto di Mussolini sulla testiera del letto.

Il problema è che i calciatori navigano dentro un mare di ipocrisia che consente di tenere "Faccetta nera" nella suoneria del cellulare senza provare sensi di colpa. Questione di maestri. L'ex allenatore della Lazio Papadopulo non si è mai preoccupato delle svastiche in curva "perché in campo non vedo oltre la traversa". Spiega Gianluca Falsini, difensore oggi al Padova: "Giocatori di sinistra ce ne sono pochi e la nostalgia per il Ventennio ti viene per colpa dei politici contemporanei". Già. Nel campionato 2007-2008 in campo sono raddoppiati gli episodi di razzismo: sono stati sei. Mario Balotelli, stella emergente dell'Inter, italiano di origini ghanesi, così racconta l'ultima partita contro la Primavera dell'Ascoli: "Dall'inizio alla fine mi hanno detto: "Non esistono neri italiani". Era lo slogan dei fascisti, volevo uscire dal campo".