LA CRISI FINANZIARIA E I SOGNI SCONFITTI
di MICHELE SERRA
In questi giorni straniti e ansiogeni, moltissimo si è letto e imparato sulle ragioni tecniche della catastrofe finanziaria globale. Assai meno sulle sue ragioni sociali e antropologiche , che un luminoso intervento del sociologo Zygmunt Bauman (Repubblica di qualche giorno fa) fa risalire, in sintesi, alla fine del desiderio : e cioè, attraverso il doping del credito illimitato, alla trasformazione di ogni desiderio materiale in diritto, da ottenere a qualunque costo. Il diritto di avere tutto e subito , e non si sa se sia stato il neocapitalismo a parodiare il vecchio slogan estremista oppure viceversa... (è malizioso chiedersi se qualche giovane pescecane della finanza abbia fatto il Settantasette?). Ora, sarebbe insano che un rialzo di Borsa, per quanto vigoroso, bastasse a dimenticare che il motore fondamentale del tracollo, a monte di responsabilità truffaldine odi forzature patologiche, è stato il way of life , lo stile di vita delle società occidentali e specialmente degli americani.
Se ancora non ci si capacita che davvero esiste un limite (non morale: materiale) agli appetiti unrnni, alla ricorsa nevrotica a un companatico tanto ingente da far collassare anche il pane, forse è il caso di rileggersi Pinocchio. Laddove, nell'agguato finanziario teso dal Gatto e la Volpe (oggi sarebbero: Gatto &Volpe), il gioco si regge sulla credulità sconfinata di Pinocchio, che affida i suoi tre zecchini residui a chi gli promette di moltiplicarli a dismisura seminandoli nel Campo dei Miracoli, liniitrofo al paese di Acchiappacitrulli. La notte precedente la truffa, il burattino sogna piantagioni di alberi che grondano monete d'oro, come promessogli dai suoi due consulenti d'affari. Il moralismo ficcante e a volte atroce di Collodi si fondasu un buon senso radicatissimo fino a un paio di generazioni fa. Per molti dei nostri padri, bisognava spendere solo quello che si aveva in tasca, e anche fare un mutuo per la casa, pure se garantito dal proprio sudore futuro, aveva qualcosa di losco e di avventato. Per noi contemporanei il credito ha avuto, per contro, anche un'evidente funzione democratica: concedeva anche a chi partiva senza risorse una chance in pi per comperare casa, per accedere albenessere, per migliorare ilproprio status. E dunque, dio ci guardi dalla tentazione di rimpiangere un mondo nel quale partenza e traguardo spesso coincidevano, in ragione di una divisione di classe, e di una rigidità sociale, infinitamente maggiori di adesso. Il problema, alla luce dei recenti sconquassi, non è dunque maledire le ambizioni individuali.
E' domandarsi se queste ambizioni, nel vertiginoso moltiplicarsi dei bisogni e dunque dei debiti, sono ancora oggetto di discernimento da parte di chi ambisce. Se cioè esista una graduatoria logica dei bisogni, un igiene dell'avere, secondo la quale la prima casa peresempio meritail sacrificio di un mutuo, ma le vacanze di lusso (che gli analisti indicano come una delle tante ragioni del mostruoso indebitamento americano) invece no. Perché un conto è il decoro sociale, altro conto è l'imitazione ottusa e servile di modelli patinati. Che cosa ci serve per vivere bene? Ce lo domandiamo ancora? Siamo padroni dei nostri bisogni o ne siamo vittime? Non era forse questa la domanda modernissima, come si vede che la sinistra voleva e doveva porsi una volta accertato che la società di mercato è comunque più vivibile e libera, più speranzosa e dinamica? E soprattutto, di quale smodato potere ahhiamo investito i nostri tutori politici, istituzionali, finanziari, cheavrebberoavutoil compito di tenere sotto stretto controllo il rapporto tra lavoro e denaro, tra economia materiale e giochi speculativi, insomma tra realtà e ossessione, e inve ce quasi ovunque si sono trasformati in suadenti suggeritori di sogni, complici di Gatto & Volpe e in molti casi Gatto & Volpe essi stessi, predicatori di sviluppi illimitati, di consumi infiniti, di godurieobbligatorie? Non è precisamente il Paese dei Balocchi quello in cui non solamente la pubblicità, ma anche i governanti (di destra e di sinistra) con entrambi gli occhi fissi sul Pil e zero sguardo su tutto il resto, ci hanno fatto credere di vivere, purtroppo contando sulla resa incondizionata del nostro spirito critico?
La grande prevalenza di spiegazioni tecniche , nel corso di questa crisi, fa capire meglio di ogni altra considerazione che cosa significhi pensiero unico . Significa che nessun dubbio strutturale, nessuna domanda radicale ha pi spazio nel nostro mondo, al di fuori del catastrofismo gongolante di chi spera nel tracollo mondiale per poter dire avevo ragione io , o peggio perriproporre levecchie ingessature del collettivismo di regime. Rifare ordine nei hisogni, nelle priorità, nei consumi, apparequasi impossibile nel caos allucinato di una civiltà che ha seriamente rischiato di esplodere perché un impiegato voleva fare le stesse vacanze, guidare la stessa automobile, indossare gli stessi abiti del suo padrone. Un'apparente pulsione democratica che nasconde nella pancia il veleno tremendo del conformismo, dell'appiattimento sociale eculturale, perché quanto a collettivismo sarebbe ora di accorgerci che non teme rivali un mondo nel quale tutti ambiscono a fare la stessa identica vita. Se centinaia di milioni di persone hanno fatto lo stesso medesimo errore, indotte da persuasori molteplici (pubblicità, televisione, banche, politici) a sognare lo stesso sogno, non è forse il segno di un'epoca monocorde, mnorhidamente totalitaria (vedi il bel saggio di Raffaele Simone "Il mostro mite" ), che declassa le differenze a devianze, che diffida non pi della povertà, ma della sobrietà come di una debolezza sovversiva?
Se la sinistra volesse ripartire da qui, da questo fermo-immagine di una società terrorizzata dalla propria stessa ingordigia, prigioniera dei sogni piuttosto che libera dai bisogni, e riuscisse a dire un paio di cose convincenti sulla differenza tra l'agio e l'avidità, tra la soddisfazione e la crapula, tra il limite e la smodatezza, forse riuscirebbe in tempi brevi a ripartire davvero, dall'oggi e non più dallo ieri, con un vocabolario rinnovato, uno sguardo pi limpido e vivace, e la voglia di tornare a capire che dentro una ricchezza simulata c'è molta pi simulazione che ricchezza. Molta più angoscia che serenità. Molta più sconfitta che vittoria.
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