lunedì 17 aprile 2023

Francesco Guccini, Canzoni da intorto (2022)

Vero è che Francesco Guccini (83 anni tra poche settimane) aveva annunciato il suo ritiro dalle scene (dischi e concerti), dovuto principalmente al suo precario stato di salute, a seguito de L'ultima thule del 2012, tuttavia non mi sento di inserire il Maestro nel calderone di tutte le rockstar/artistucoli che usano questa dichiarazione perentoria per cercare un ultimo alito di successo e visibilità, visto che effettivamente Guccini non ha più inciso una nota nè calcato alcun palco da quell'impegno assunto, limitando la sua vena artistica alla letteratura (sono una decina, tra racconti e romanzi, le opere rilasciate negli ultimi dieci anni).

E infatti Canzoni da intorto (termine con il quale si indica l'arte oratoria di sedurre l'altrui sesso) è un'operazione davvero particolare e solo superficialmente un banale disco di cover, anche perchè, quando si parla di francescoguccini, di scontato non c'è mai nulla. Provare per credere. Le undici tracce più una ghost track contenute nell'album vanno infatti a pescare tra composizioni del passato che arrivano indietro fino al sedicesimo secolo, e che non disdegnano, oltre alla lingua italiana, il dialetto milanese, piemontese, l'inglese e perfino l'ucraino.

Da segnalare come, a differenza dell'opprimente  malinconia che ammantava L'ultima thule, qui gli arrangiamenti dei brani, che pur non hanno quasi mai contenuti leggiadri, siano più improntati ad un suono pieno molto legato alle tradizioni italiane di paese, con qualche sorprendente richiamo a Capossela o al progressive folk. La canzone che apre il lavoro è una delle mie personali (e nostalgiche) top three dei viaggi in macchina verso il sud che facevo da bambino con la famiglia, quando la playlist di mio padre era racchiusa nella cassetta dei canti di protesta, da cui non mancava mai Per i morti di Reggio Emilia. La versione di Guccini è spiazzante per il contesto musicale proposto (di cui ho accennato sopra) e un pò mette tristezza per le condizioni della voce del cantautore, che mostra tutta la fatica dell'età e della salute incerta. Resta comunque un grande pezzo, così come Addio a Lugano, altra composizione immancabile in quei miei lunghi viaggi. 

Canzoni da intorto è un disco dalla forte connotazione politica, che costruisce un ponte tra liriche antiche che ancora fanno sentire la loro eco ai giorni nostri (Sei minuti all'alba di Jannacci, la nostra 25 minutes to go), che sfidano convenzioni e consumismo nella disperata ricerca di un barlume d'amore (Quella cosa in Lombardia) o che, infine, per ammissione dello stesso Guccini, sono state fonte di ispirazione per capolavori del passato (Nel fosco fin del secolo morente, La locomotiva).
Non posso poi evitare di soffermarmi sulla più nota canzone della mala milanese, quella Ma mi scritta da Strelher per la (allora) musa Vanoni, resa in maniera convincente (anche nell'uso di un dialetto non suo), da Guccini. 

E allora Canzoni da intorto va preso per quello che è: un inaspettato regalo da parte di uno dei più grandi poeti/cantautori della storia, che di certo deve aver provato un enorme piacere a registrarlo.

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