lunedì 12 luglio 2021

Helloween, Helloween

Gli Helloween, e il power metal in generale, non sono mai stati la mia tazze di tè. Nemmeno quando (ere geologiche fa) ascoltavo solo hard & heavy. Poi, siccome sono rimasto un tipo curioso e, se congruamente stimolato, aperto ad ogni esperienza musicale, qualcosa col passare degli anni ho recuperato anche di loro (e del power), senza particolare esaltazione ma con qualche contenuto apprezzamento random. 

Ora, al gruppo tedesco è universalmente riconosciuto il merito di aver inventato uno stile e di aver prodotto, tra la metà e la fine degli ottanta tre album seminali per quello specifico sotto genere metal (i titoli sono noti: Walls of Jericho e le due parti di Keeper of the seventh keys). Dopo quella fase la crisi, album pasticciati, il tentativo di tornare alla comfort zone stilistica e, soprattutto, tra l'inizio e la fine degli ottanta e l'inizio del primo lustro dei novanta, gli addii "pesanti" di Michael Kiske, il cantante dei due Keeper, e di Kai Hansen, chitarra e voce co-fondatore della band. Un allontanamento che è durato circa un quarto di secolo e che si è interrotto qualche anno fa con una reunion certificata da un tour di successo e dalla consapevolezza che, in una fase di solida retromania, forse era il caso di accantonare i dissapori e passare all'incasso. Perciò, incoraggiati dall'esito del Pumpkin United Tour, il passo successivo non poteva che essere la pubblicazione di un nuovo disco che mettesse assieme il nucleo superstite della band (che conta i soli Maichel Weikath -  chitarra - e Marcus Grosskopf - basso - quali membri fondatori) assieme ai due transfughi.

Insomma il combo germanico punta tutto sull'effetto nostalgia, e c'è da dire che a sprazzi l'operazione funziona grazie in particolare ad alcune tracce che, pur carezzando subdolamente la pancia dei vecchi fans, risultano decisamente convincenti (Out for the glory; Fear of the fallen; Best time; Down in the dumps), così come sono comunque efficaci i passaggi più orientati all'heavy classico (Mass pollution; Robot king), giù giù fino all'attesa suite finale, unico brano composto da Hansen (Skyfall) che oscilla tra luci ed ombre. Un'operazione che, per quanto studiata a tavolino, risulta abbastanza riuscita considerando come non sia mai semplice autocitarsi restando credibili.

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