giovedì 15 luglio 2021

La notte del giudizio per sempre (2021)


Otto anni dopo la sconfitta alle presidenziali, i Nuovi Padri Fondatori tornano a vincere le elezioni ed immediatamente ristabiliscono la "giornata nazionale dello sfogo", nell'ambito della quale, per dodici ore, dalle 7 p.m. alle 7 a.m. è possibile compiere qualunque atto criminale, omicidio incluso, senza essere perseguiti dalla legge. Stavolta il riflettore della carneficina legalizzata è concentrato nel Texas del sud, dove molti migranti messicani lavorano per facoltose famiglie americane e dove l'odio razziale è diventato letteralmente incontenibile. Al punto che le dodici ore di sfogo non bastano più.

Probabilmente il franchise targato Blumhouse de PurgeLa notte del giudizio (qui le recensioni dei capitoli uno e due) è, attualmente, la produzione che più riesce a tenere vivo il binomio intrattenimento/sottotesto politico tipico del miglior cinema di genere americano (quello nato tra i settanta e gli ottanta). 
Arrivati al quinto capitolo (di cui un prequel) ed essendo il film sempre stato caratterizzato da dinamiche western, cosa di meglio che spostarsi nei luoghi del vecchio west, con il noto assortimento di magnifiche bellezze e terribili storture? Su soggetto e sceneggiatura del deus ex machina James DeMonaco il regista Everardo Gout, fin qui una solida carriera per le serie tv, mette in scena un film che dubito piacerà ai tanti fans di Trump sparsi per gli States. 
Dentro un plot tutt'altro che privo di difetti, si consuma infatti la rivincita degli sfruttati di sempre, nativi americani e messicani, che fanno il culo a rozzi suprematisti bianchi e nazistoidi vari intenzionati a "restituire l'America agli americani". Dannatamente realistiche molte delle sequenze che mostrano le città prima dello scoccare dell'ora dello sfogo (lo sconto del 40% su tutte le armi), i dibattiti televisivi, i luoghi comuni sugli immigrati, meno efficaci alcune dinamiche relazionali tra i protagonisti (il razzista light si capisce subito che si ravvedrà) e poco coraggio nel gestire i personaggi principali (con il boss dei villain che arriva troppo tardi e dura troppo poco). 

SPOILER 
Carica di sottotesti anche la conclusione, con il Messico che apre le sue frontiere accogliendo caritatevolmente migliaia di texani in fuga dai massacri e il figlio di uno dei protagonisti americani che nasce in terra messicana, libero dal retaggio di morte e massacri dei suoi antenati.
Vista la conclusione distopica del film e in previsione del decennale del primo capitolo della saga, chissà che DeMonaco non accarezzi l'ennesimo sequel sul modello di 1997 Fuga da New York...

2 commenti: