lunedì 26 ottobre 2020

Deep Purple, Whoosh

Illustrato da una copertina davvero suggestiva e "vinilica", è approdato ormai da qualche mese nei negozi il ventunesimo album dei Deep Purple, il quinto rilasciato dalla formazione Mark VIII (Gillan; Glover; Paice; Morse e Airey) che si fregia di una media d'età di settantadue anni (media abbassata da Steve Morse, unico nato nei cinquanta, a differenza dei sodali, tutti nei quaranta). Un nuovo disco quindi, a tre anni di distanza dal precedente InFinite. Ogni volta sembra si tratti dell'opera conclusiva di una carriera meravigliosa, iniziata nel 1968 (unico superstite il batterista Ian Paice), e ogni volta questi attempati musicisti ci spiazzano con altri pezzi inediti, soprattutto in questo ultimo decennio, dove i purples sembrano aver trovato nuova coesione e giovinezza.

Questo Whoosh (abbinate la parola onomatopeica alla copertina, con l'uomo che si dissolve, ed avrete il senso del titolo) gira sostanzialmente col motore automatico, sulle solide basi tessute dalle chitarre di Steve Morse, dalle tastiere di Don Airey e dalla voce, che non sale più sulle tonalità di Speed King ma che si è fatta calda e rotonda, di Ian Gillan. Tutte e tredici le composizioni si muovono su velocità di crociera mid-tempo, e trasmettono, come dire, una sorta di saggezza musicale, veicolata da chi si prende tutto il tempo necessario per raccontare il proprio progetto. Qualitativamente il disco è forse un passo indietro rispetto a InFinite, la tracklist sembra spaccata in due con una prima parte (Throw my bones; Drop the weapon; We're all the same in the dark; Nothing at at all; What the what) che, pur in assenza del pezzo killer, si imprime in testa, e la seconda più anonima, anche se sempre di gran classe. Whoosh insomma si ascolta volentieri, ma sembra che manchi di qualcosa, dell'intuizione che fa la differenza, del cambio di marcia, della sorpresa nascosta tra i titoli che emerge col tempo.

La classe c'è, come scrivevo poco sopra, ma quando si tratta dei Deep Purple la si dà per scontata, e quindi non può bastare da sola per raggiungere l'eccellenza.

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