giovedì 25 gennaio 2018

Fabri Fibra, Fenomeno


Pur non essendo appassionato di rap/hip hop, mi è sempre piaciuto concedermi occasionalmente delle puntatine in questo genere, con uno sguardo particolare alla scena italiana. Se in generale, nella musica che possiamo per semplicità definire leggera, il difficile sta nel mantenere la posizione acquisita più che nell'emergere, nel rap questo concetto è ancora maggiormente amplificato, sarà per la ripetitività del canone, perchè gli artisti nei primi due album sputano fuori tutto il veleno a disposizione o perchè dopo qualche anno i bluff si rivelano per ciò che realmente sono, in ogni caso, da Eminem a Marracash, la parabola dell'ispirazione è costantemente in discesa.
Personalmente ritengo che Fabri Fibra sia, quale sontuosa eccezione a questa regola, quello che è riuscito a mantenere il livello del suo flow e dei suoi testi più costantemente alto, album dopo album (che, limitandoci a quelli professionali e da solista, sono nove in quindici anni). Il Tarducci non è uno che resta particolarmente impresso per il look, l'outfit, i tatuaggi o i denti d'oro sfoggiati a favore di fotografo, a parlare è la sua musica e probabilmente (anche) per questo, da nerd quale sono, l'ho sempre apprezzato.

L'attenzione verso le canzoni e la struttura dei brani emergono prepotentemente anche in questo ultimo Fenomeno, nel quale Fibra riesce come di consueto a coniugare sapientemente divertimento e riflessioni intimiste, casino e disanima sociale, a petto orgogliosamente in fuori ma con autoironia, rinunciando quasi completamente al dissing, ingrediente base di tutte le ricette degli altri colleghi di genere.
Quando uno riesce, dentro un solo disco, a piazzare almeno quattro tormentoni micidiali quali Red carpet, Fenomeno, Pamplona e Stavo pensando a te, e in aggiunta a farti divertire, sorridere, emozionare, pensare (non male in questo senso la traccia numero otto, uno skit di Saviano), istigarti in auto a comportamenti tipicamente tamarri  (volume a palla e gomito fuori dal finestrino), per poi, a bruciapelo, trafiggerti con due tracce finali glaciali, tesissime e affilate come Nessun aiuto (rivolta al fratello, il cantante Nesli) e, soprattutto, Ringrazio (un j'accuse angosciante alla madre che è un bombardamento al napalm sulle ipocrisie dell'Istituzione Famiglia) vuol dire che lo specifico genere musicale passa in secondo piano, in presenza del talento autentico. 

Un disco lo può indovinare chiunque, stare vent'anni a questi livelli è per pochissimi. Soprattutto nel rap.

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