lunedì 29 gennaio 2018

Logan (2017)


Il manifesto di Logan nelle sale cinematografiche mi aveva colpito molto per l'ostentazione del divieto ai minori di quattordici anni, perchè in passato, benchè i contenuti l'avrebbero consigliato (si veda l'ottimo ma volgarissimo Deadpool), mai era stata data una tale attenzione al target d'età degli spettatori, non foss'altro per un tema di incassi.
Oggi, dopo che finalmente sono riuscito a vedere il film, tutto mi è parso chiaro.
Il regista James Mangold, autore anche di storia e co-autore di sceneggiatura e soggetto (completato da tre fra i migliori autori di Marvel comics: Len Wein, Romita Jr e Roy Thomas), realizza infatti un'opera cruda ed esplicita, con esplosioni di violenza dalle parti dello splatter, dove non c'è spazio per calzamaglie colorate, e dove di canonicamente supereroistico c'è solo la (lontana) origine fumettistica dei characters.

Siamo nel 2029, in un futuro (ipotetico? alternativo?) nel quale i mutanti sono spariti dalla faccia della terra e un invecchiato, sofferente, cinico Wolverine si guadagna da vivere facendosi affittare come autista di vettura di lusso. La prima sequenza ci fa capire subito che l'eroe canadese è in disarmo fisico, nel momento in cui è messo in seria difficoltà da un gruppo di normali teppisti. Con il prosieguo della storia s'intuisce che Logan sta perdendo il suo famoso fattore rigenerante e, aspetto ancora più grave, l'adamantio, metallo usato per ricoprire il suo scheletro e dotarlo di artigli, lo sta avvelenando a morte.
L'obiettivo dell'ex X-Man (passatemi il bisticcio) è quello di accantonare la cifra necessaria a potersi permettere uno yatch con il quale vivere lontano da chiunque. Questo suo progetto di vita include la presenza di un ormai novantenne professor Xavier che, a causa di una malattia mentale degenerativa (che s'intuisce essere una comunissima demenza senile), combinata con il suo enorme potere telepatico, suo malgrado è diventato una minaccia per il mondo, oltre ad aver già causato la morte degli ultimi X-Men. Il progetto di Wolverine si scontra però con la richiesta di aiuto che gli arriva da una donna messicana che gli chiede di proteggere una bambina fuggita da una struttura scientifica segreta e ora inseguita da un gruppo paramilitare armato fino ai denti che la vuole riportare indietro. Logan non ne vuole sapere di tornare a vestire i panni del super eroe, ma le circostanze lo obbligheranno a prendere una decisione diversa.

James Mangold, regista discontinuo, ma che nei novanta e negli zero aveva a mio avviso piazzato almeno un grande film per decennio (Copland e Quando l'amore brucia l'anima), non solo lascia il segno anche su questa decade, ma firma con ogni probabilità il più maturo comic movie di sempre, superiore in questo aspetto, parere personale per il quale metto in conto opinioni discordanti, anche alla saga di Batman di Nolan. 
Hugh Jackman, dal canto suo, ci restituisce un Wolverine alcolizzato, stanco, claudicante, che ha perso tutto, compresa la voglia di vivere, al punto da andarsene in giro con una pallottola di adamantio (unico metallo che può penetrare la sua scatola cranica) in tasca, cercando il momento buono per farla finita. Ha il corpo ricoperto di spaventose cicatrici, lo sguardo spento e il passo incerto. Non vuole davvero più saperne di atti eroici e infatti all'inizio non si fa scrupoli ad abbandonare una bambina nella mani di terribili mercenari al soldo di scienziati senza scrupoli. 
Gli altri personaggi non sono da meno. Il Professor X (Partick Stewart), vecchio e malato, dà vita a dei dialoghi spettacolari con Logan, passando nelle sue elucubrazioni da vecchio saggio a nonagenario petulante, ad attimi nei quali lascia emergere la sua mente superiore. Un binomio, quello portato in scena dai due, inedito e di grande impatto, autentica forza motrice della storia, che gioca non solo sul rapporto mentore/studente, ma anche e soprattutto, in maniera non banale, su quello padre/figlio. La ragazzina, infine. La debuttante Dafne Keen fornisce con la sua interpretazione di Laura Kinney (nome in codice X-23), una prestazione semplicemente sconquassante. Per metà film recita solo con la fisicità e le espressioni del viso, e le sue scene d'azione battono per efficacia, realismo e ferocia quelle del protagonista. La sequenza in cui incontra gli sgherri degli scienziati all'interno del rifugio di Xavier, prima che vengano spiegati i suoi poteri, è una squisita scena da film horror. 
La mano di Mangold nella messa in scena è impeccabile, le scene d'azione sono credibili e cattive, la storia avvincente e per la prima volta dopo tanto tempo ci si sorprende a trattenere il fiato per la sorte dei protagonisti, perchè è chiaro che il film rompe qualunque schema, compreso quello del canonico lieto fine.

Questo atipico road movie nel quale tre generazioni di X-men attraversano in auto gli States avvince, diverte e commuove (sì, commuove) al punto che fa rabbia pensare allo scontato reboot che la Marvel senza dubbio farà del personaggio Wolverine (con un attore diverso da Hugh Jackman) invece di far sedimentare a lungo nel pubblico la memoria di questo film definitivo. 

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