giovedì 12 ottobre 2017

Steve Earle and The Dukes, So you wannabe an outlaw


Per il suo diciottesimo album di studio, Steve Earle fa due cose: la prima è tornare ad accasarsi con una major, quella Warner per la quale non incideva dai tempi di El corazon (mio personale album da isola deserta, al quale vorrei dedicare prima o poi un post da I migliori della vita), nel 1996. La seconda è tornare al country, che appartiene da sempre alla sua cifra stilistica (credo non esistano dischi di Steve senza almeno un pezzo in questo stile), ma al quale non aveva mai dedicato un intero full lenght (The mountain, insieme alla Del McCoury Band, era più orientato al blugreass).

Personalmente trovo che fosse giunto il momento di uscire da quel perimetro da hobo che aveva caratterizzato i lavori di Steve degli anni dieci. Niente da rimproverare a quei dischi, confermo il valore più che positivo che avevo espresso nelle recensioni che trovate in archivio, ma uno degli elementi che mi ha fatto innamorare di Earle, oltre alla facilità impressionante che ha di scrivere testi spettacolari, è quello di sapere cambiare con disinvoltura registro, passando dall'introspezione più spessa al puro divertimento. 
Da questo punto di vista So you wannabe an outlaw torna decisamente alle origini. 
L'album, dedicato alla memoria di Waylon Jennings e a tutto il movimento country dei settanta denominato appunto outlaw per distinguersi in maniera inequivocabile dagli artisti che si rivolgevano ad un pubblico mainstream, si apre con la title track, nella quale compare uno dei superstiti del sottogenere di ribelli: Mr. Willie Nelson. Il pezzo è un concentrato dello steveearle sound, dall'incedere pigro ma irresistibile. Per chiarire subito che, pur essendo al cospetto di un disco programmaticamente country, a prevalere è sempre la forte impronta identitaria del suo autore, per cui per un classicissimo fraseggio honky tonk di chitarra che apre Lookin for a woman, ecco una The firebreak line che si sposta verso uno slabbrato rock and roll di frontiera nel quale i The Dukes si travestono da Crazy Horse.
 
Il disco, inciso nel corso del 2016, prevede ancora la collaborazione con la moglie di Steve, la bellissima e brava Allison Moorer, che compare nei credits di News from Colorado giusto in attimo prima di lasciare il nostro ed accasarsi con un altro eroe di Bottle of smoke, Hayes Carrl, non senza peraltro che tra i tre volino gli stracci anche per mezzo stampa.
Ma lasciando perdere il gossip e tornando alla musica, da segnalare sicuramente nella tracklist le collaborazioni con Miranda Lambert, co-autrice e co-singer della ballata sentimentale This is how it ends, ma, soprattutto, il duetto in puro stile Texas-country con il vecchio Johnny Bush (nessuna parentela con la disastrosa famiglia di politici, altrimenti una collaborazione con il "comunista" Steve sarebbe stata improponibile),nell'irresistibile Walking in L.A.
Per meglio chiarire le origini dell'ispirazione per il disco e per la formazione musicale di Earle, l'album è disponibile nella versione deluxe con quattro cover aggiuntive: Aint't God in Mexico di Billy Joe Shaver, Sister's coming home/Down at the corner beer joint e Local memory di Willie Nelson, e, finalmente, la seminale Are you sure Hank done it this way, di Waylon Jennings.
 
E adesso, se volete imparare ad essere un fuorilegge country, fatevi sotto.

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