mercoledì 28 agosto 2013

Monsters University


Sono serviti dodici anni alla Disney/Pixar per confezionare il seguito di uno titoli più riusciti e di successo nella storia della collaborazione tra le due società. Invece di raccontare come è cambiata la vita a Mostropoli dopo la scoperta che le risate sono un combustibile molto più potente delle urla di paura però, la scelta degli sceneggiatori si è orientata verso la realizzazione di un prequel, che copre il periodo nel quale il mostricciattolo verde Mike Wazowski e il suo pard blu a pois viola, James Sullivan hanno frequentato il collage per laurearsi in spaventologia.

Scopriamo così che Mike cresce sin da piccolo con il mito degli spaventatori, cercando di seguirne le orme compensando il suo poco terrorizzante aspetto con lo studio e l'abnegazione totale della materia, mentre Sulley viene introdotto come il classico "figlio di", viziato e svogliato, che campa di rendita sul suo aspetto e sulla tradizione di famiglia ( il padre è stato un noto spaventatore). Rivediamo alcuni personaggi del primo capitolo, su tutti il "geco" Randall Boggs, qui alle prima armi ma con già in nuce gli elementi che lo porteranno a diventare un ottimo villain,  e facciamo la conoscenza di nuovi protagonisti, come la congrega di nerds Oozma Kappa e l'autoritaria rettore Tritamarmo, doppiata in originale da da Helen Mirren. Ricordo a questo proposito il resto del cast di all star che presta le voci ai personaggi per gli spettatori americani: Billy Crystal (Mike), John Goodman (Sulley); Steve Buscemi (Randall) e Alfred Molina (il prof. Knight).

A differenza dell'ultimo Toy Story, arrivato analogamente a Monster and co a seguito di un lungo iato, che riuscì perfettamente nell'intento di divertire, emozionare e commuovere sul tema della passaggio tra l'infanzia e l'età adulta, mi sembra che in questo caso quelli della Disney/Pixar non siano riusciti ad individuare una chiave di lettura efficace per valorizzare gli straordinari personaggi da loro creati dodici anni fa. Certo, mi rendo conto che dare un seguito alla storia originaria, perfetta nel suo sviluppo e nella sua conclusione, fosse un'impresa complessa, ma onestamente mi aspettavo che in tutto questo tempo gli sceneggiatori riuscissero a trovare un bandolo della matassa più coerente rispetto ad un prodotto che desta il sospetto di essere stato realizzato in buona parte solo per alimentare l'enorme business (leggi merchandising) che accompagna questo brand, e che alla fine convince solo a sprazzi.

Poi è ovvio che la produzione sia sempre di alto livello e che non ci si annoi (anche se si ride poco) ma, come per Cars 2, l'impressione forte è quella di un'occasione sprecata. Anche i corti Pixar, che come di consuetudine fanno da prologo al film, cominciano a mostrare, nella loro ricerca di elegante poeticità nel contesto urbano di tutti i giorni, segni di stanchezza e prevedibilità.

Oh, poi magari sono io che sto andando in saturazione coi film d'animazione, eh!

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