martedì 31 luglio 2012

Neil Young, Americana


Reprise, 2012

Eravamo tutti lì con le gambe molli all'idea di ascoltare il nuovo lavoro di Neil Young. Eh sì perchè il canadesone ci ha abituati negli anni ad alternare grandi dischi a cadute piuttosto clamorose. E siccome Le noise era stato davvero un album strepitoso ecco che i corvi del malaugurio delle nostre liturgie da fan avevano preso a volare in circolo ancora prima della release ufficiale.
Ad alimentare le nostre preoccupazioni la notizia che Americana sarebbe stato un full lenght composto esclusivamente da cover della tradizione USA, senza canzoni originali. L'equazione delle aspettative era però compensata dalla buona notizia del ritorno, a fianco del nostro, dei Crazy Horse, storici compagni d'avventura, che non dividevano la sala d'incisione con Young da una decina d'anni.

Ora che è passata più di una settimana dalla sua uscita ogni cattivo pensiero è stato spazzato via insieme ai neri uccelli funesti come per effetto di una fragorosa schioppiettata di fucile.
Americana infatti è un disco riuscitissimo. Come Springsteen con le Seeger Sessions riprende traditional radicati nella cultura pioneristica americana, ma a differenza di Bruce che aveva assecondato le sonorità originali, qui avviene l'esatto contrario perchè i pezzi sono modellati sul tipico sound grezzo e da presa diretta dello zio quando è coadiuvato dai Crazy Horse.

L'album è aperto da Oh Susanna e Clementine, che sono proprio quei pezzi che da bambini associavamo ai cowboy e che nelle loro molteplici versioni alternativo/vernacolari hanno rallegrato la nostra infanzia. Neil le riprende ed improvvisamente sembrano già dei classici del suo repertorio, con gli assoli di chitarra di Sampedro, il controcanto di Billy Talbot, e il caratteristico drumming di Molina e naturalmente il suo inconfondibile falsetto. Il trittico di apertura (concluso da Tom Dula) è marchiato Crazy Horse dalla prima all'ultima nota, mentre la successiva Gallows Pole è un bel soul fifty (può ricordare Hit the road Jack di Ray Charles, per capirci) e Get a job è un divertentissimo be bop anch'esso incastonato nei cinquanta.

Più avanti la riproposizione di  This land is your land di Woodie Guthrie, uno dei pezzi più fraintesi della storia (spesso per appropriazione indebita da parte del repubblicano di turno), visto che il suo autore (uno che sulla chitarra, giusto per non sbagliare, aveva scritto this machine kills fascist ) l'aveva composto come inno di libertà dei tanti poveracci che vagavano senza meta per gli states della great depression in cerca di un lavoro e di un' esistenza migliore. Per la verità la versione del disco non aggiunge molto alla bellezza del pezzo (a lungo nelle setlist di Springsteen) ma è suggestiva quanto basta. Stesso discorso si può fare per Wayfarin' stranger, tradizionale dall' enorme carica evocativa che adoro da sempre e che ha avuto innumerevoli interpretazioni (qui una lista non esaustiva). 
Neil Young ne fa una buona versione, ma provate ad ascoltare quella intima offerta da buonanima Eva Cassidy e fate da soli il confronto.
L'inno dei colonizzatori inglesi God save the queen chiude il cerchio di un album americano fino al midollo, interpretato però magistralmente da un nativo canadese. D'altro canto non sono proprio gli USA  la terra delle contraddizioni?

8/10







lunedì 30 luglio 2012

MFT, luglio 2012


LA MUSICA

Hank III, Lovesick, broke and driftin; Damn right rebel proud; Rebel within; Ghost to a ghost; This ain't country; Attention Deficit Domination. Neil Young, Americana. Bob Wayne, Till the wheels fall off. Dr John, Locked down. Jimi Cliff, Rebirth. The Gaslight Anthem, Handwritten. Nick Waterhouse, Time's all gone. Ray Lawrence jr, Raw and unplugged.

LETTURE

George R. R. Martin, Le cronache del ghiaccio e del fuoco, vol I
Don Wislow, L'inverno di Frank Machine
VISIONI

Sons of Anarchy, season four

sabato 28 luglio 2012

Album o' the week / Mitch Ryder, Rev Up - The best (1990)


Ispirato dal rock and roll di matrice nera (Little Richard, Chuk Berry) e dallo stile di James Brown, Mitch Ryder (classe 1945) è diventato a sua volta ispiratore per le generazioni successive di artisti rock USA come Springsteen, Seger e Mellencamp (oltre a suggerire il nome d'arte alla sua fan Wynona Ryder).
Mitch, ancora in attività, ha di recente pubblicato un nuovo album, ma per conoscere il ruolo che ha recitato in passato l'artista può essere opportuna questa raccolta che consta di ventuno tracce, tra le quali Devil with a blue dress on; Jenny take a ride; Shake a tail feather e Little latin lupe lu.
E via, con la capote della macchina abbassata.

giovedì 26 luglio 2012

Collegno, Texas 3/3

La prima parte

La seconda parte

Gli Hellbilly sono da considerare un'estensione quasi naturale del corpo Damn Band. Iniziano cioè laddove alcuni pezzi inseriti nel repertorio country di Shelton, come Tore up and load, Long hauls and close calls o The rebel within finiscono, portando il concetto ancora più all'estremo. Si tratta però ancora di musica rock and roll, caciarona, festosa se mi passate il termine, nel senso che coinvolge il pubblico, non lo esclude. Ad ulteriore prova di questo assunto c'è il fatto che la musica,  di ambito punk-metal, viene suonata con la stessa formazione della gig country, contrabbasso incluso. Il set Hellbilly rispetto al passato è comunque molto succinto ed include le sole Hillbilly joker; Life of sin; Tennesse driver e Hellbilly. Poca roba ma buona (qui un assaggio, se volete) ed ottimamente accolta dalla gente.

E' con l'esecuzione integrale dell'album Attention Deficit Domination che si entra invece in un'altra, oscura, dimensione. Sul palco che sprofonda nelle tenebre (se si eccettuano due minuscoli faretti montati uno sull'asta del microfono in direzione del cantante ed uno sulla batteria) restano solo Hank con la sua Gibson e il batterista. Insieme danno vita ad un supplizio fatto di riffoni lenti ed inesorabili in stile doom, sostenuti da un cantato lamentoso che si ispira chiaramente all'approccio alla melodia di uno Layne Staley... solo più sofferente.  I pezzi sono monoliti pesantissimi, ipnotici e volutamente monotoni nella struttura e nel loro reiterarsi per un tempo che appare interminabile, e che sfida ogni limite di sopportazione umana (qui un assaggio, se volete). Chi non è fuggito a distanza di sicurezza è lì, attaccato alla transenna, ad accompagnare le pennate all'ingiù di Hank con lenti movimenti del capo dall'alto verso il basso (nel mio caso senza nemmeno l'ausilio di una chioma adeguata) e ritorno, sfinito da questa rindondanza di distorsioni ma determinato a volerne ancora. Circostanza inspiegabile se non (e non è il mio caso) con l'assunzione massiccia di sostanze stupefacenti. Questa parte dello show dura poco meno di un'ora, al termine del quale viene annunciata l'esecuzione di "un pò" di 3 Bar Ranch Rattle Callin', il quarto dei dischi pubblicati l'anno scorso.

A questo punto permettetemi una piccola digressione in merito al comportamento di Hank on stage. Io davvero non so se l'artista del Tennesse, citando un passaggio di The rebel within, "viva le sue canzoni" e quindi sia stonato di alcol e droghe da mattina a sera, certo è che sul palco sembra schizzato da speed o coca, non nel suo modo di interpretare il live actin' (anzi, da questo punto di vista si muove poco), ma per la frenesia con la quale passa da una veste artistica all'altra, sciogliendo i capelli, cambiando particolari degli abiti di scena o lo strumento, o per come si guarda sempre alle spalle manco fosse un ricercato in fuga a cui è impedito rilassarsi. Come se l'inquietudine l'accompagnasse costantemente.

Tornando al concerto, con l'ennesimo cambio di tiro musicale si cambia anche girone infernale, precipitando nella follia allucinante di 3 Bar Ranch Cattle Callin'. Hank viene raggiunto on stage da un secondo chitarrista che porta la formazione a tre. Ad aggiungere disorientamento visivo rispetto all'offerta musicale precedente, i musicisti indossano tutti un foulard da cowboy con dei buchi per occhi e bocca a coprire interamente il viso, uno stetson deformato (con l'eccezione del batterista che sfoggia un sinistro sombrero nero) e una sorta di copri spalle piumato, che li rende simili a degli spettrali uomini corvo. Sul fondo dello schermo vengono anche proiettate delle immagini di B-movie anni cinquanta, miste a telegiornali, documentari e cartoon d'epoca, che alimentano il clima surreale complessivo. I pezzi sono suonati dal vivo, mentre la voce (come avevo scritto nella recensione, una sorta di scat velocissimo) viene diffusa attraverso una registrazione. Dei pezzi non si riconosce il capo dalla coda. Non hanno una minima struttura, sembrano delle improvvisazioni indefinite. Iniziano e finiscono. Stop (qui un assaggio, se volete). Gli spettatori superstiti si riducono ulteriormente. Io in tutta onestà, davanti alla prospettiva dei duecento chilometri che mi aspettano per tornare a casa, a questo punto avrei anche mollato il colpo. Se non l'ho fatto è solo perchè sapevo dell'abitudine di Shelton di concedersi ai suoi fans al termine del concerto e non volevo perdermela.

E infatti,  dopo una quarantina di minuti di set, Hank si spoglia degli abiti di scena, si infila un cappellino militare, e si avvicina alle transenne per incontrare i fans. Tra gente che gli parla, gli chiede un autografo, tenta di improvvisare un discorso sui grandi del country e ragazze che lo strapazzano, Williams resta lì fino all'ultima persona, fino all'ultima richiesta. E' sempre teso, quasi spiritato. Risponde meccanicamente yessir! ad ogni tipo di domanda, appare preoccupato e irrequieto. Anch'io abuso della sua disponibilità facendomi firmare biglietto, maglietta già vergata nel 2009 e chiedendogli di posare per uno scatto (in realtà due, perchè il primo, postato qui sotto con noi in posa con le dita ad indicare il doveroso numero tre, viene mosso).

Ripensando a questo suo rito consolidato, viene da pensare quanto pericoloso sia oggigiorno essere una celebrità e concedersi senza bodyguard a chiunque assista al tuo concerto. Soprattutto negli USA, dove si vendono più armi da fuoco che aspirine e dove la madre degli psicopatici è sempre incinta, concedersi questi prolungati bagni di folla equivale ad una roulette russa (per restare nel campo del rock, è ancora fresca la tragedia di Dimebag Darrell).
Un enorme regalo ai fans ma al tempo stesso un atto di incredibile incoscienza.

E (per chi ha resistito fino a qui) siamo alle conclusioni.
Tema: cosa ho imparato da due concerti di Hank III?
Svolgimento: un concerto di Hank Williams 3 non segue le dinamiche normali di tutti gli altri spettacoli rock. Vive di contraddizioni abbastanza evidenti. Non esiste la liturgia dei bis, con la band che scende dal palco e ci torna per acclamazione. Non c'è spazio per il singalong a comando. Non c'è tempo per le richieste. Lui sta sul palco tre ore e mezza continuate, suona la sua roba, mettendo in riga come piste di coca country,blugrass, southern, cajun, psychobilly, doom, sludge, hardcore e chissà cos'altro, a prescindere dalle predisposizioni o dei gusti o della composizione del pubblico. Questa strafottenza verso lo stage è però contraddetta dalla sorta di terzo tempo del concerto, quello in cui Hank si presta ad ogni tipo di richiesta dei fans, soffermandosi a stringere mani finchè anche l'ultimo seguace ha il suo feticcio del countryman da portare a casa.
Questa è un pò la sintesi dell'artista. Colui che le major di Nashville hanno tentato di infighettare e vendere, attraverso lo sfruttamento del nome e della spaventosa somiglianza con il nonno, e che invece si è trovato la sua impervia strada per un country fuori dagli schemi, side by side con un metal sgangherato e malsano, realizzando un connubio che mai nessuno in precedenza aveva osato. I suoi fan si prendono il pacchetto completo, senza far prevalere un genere sull'altro. Anch'io, dopo il concerto di Collegno sono stato illuminato da questa verità. Sul serio, che critica volete sollevare ad uno così? Anche chi non ama i generi che propone ma ha una (in)sana passione per la musica dovrebbe vedere un suo concerto almeno una volta nella vita.

Questi ed altri pensieri affollano la mia mente in quel momento meraviglioso che è rappresentato dalla camminata che divide la fine del concerto dal raggiungimento dell'auto al parcheggio.
Stanotte nel parco della Cerosa Reale è organizzato un piccolo festival di hardcore-metal e mentre passo attraverso le tende dei campeggiatori e davanti al minuscolo stage dove qualche italico growler sta vomitando una canzone nel microfono, penso che la giornata è stata faticosa ma che mi sento lo stesso leggero e illogicamente felice, e nemmeno il rifiuto del dude del baretto a prepararmi l'ultimo caffè (aveva appena pulito la macchina degli espressi) riesce a scalfirmi.

mercoledì 25 luglio 2012

Once upon a time...



Ennesima trasposizione cinematografica della fiaba (nata dalla tradizione popolare europea e riadattata dai Grimm) di Biancaneve. La storia, che da sempre possiede un alone oscuro, viene riproposta aggiornando la trama e con una veste quasi fantasy a forti tinte dark. I personaggi che conosciamo da bambini ci sono tutti, ma in proporzioni diverse. Viene dato più spazio al ruolo del cacciatore, caratterizzata meglio la regina cattiva e relegati a personaggi secondari i sette nani.
Gli attori scelti dal regista si rivelano a loro agio nei ruoli assegnati, Chris Hemsworth (Thor) è un credibile cacciatore afflitto dalla perdita della moglie, mentre Charlize Theron è la crudele regina Ravenna, in bilico tra distorsioni proto-femministe e un comportamento da serial killer. A voler guardare l'unica  a sembrare un pò fuori posto è proprio Kristen Stewart, star del momento grazie alla saga Twilight, ma abbastanza impacciata nel ruolo di Biancaneve e non proprio rispondente alla definizone di "più bella del reame"...
Per quanto concerne i nani, beh invece che innocenti minatori sono scaltri fuorilegge che si uniscono alla causa della protagonista sperando possa sconfiggere il regno di Ravenna. Il regista si concede un inside joke rispetto al notissimo film della Disney, quando uno di loro accenna a canticchiare "hiho-hiho andiamo a lavorar" e un'altro minaccia di aprirgli la testa se non la pianta.

Un difetto della pellicola potrebbe essere che non è ben chiaro il suo target, dovrebbe infatti essere adatto ai bambini, magari non piccolissimi, ma ci sono dei passaggi (la foresta oscura, il modo in cui si nutre la regina, i paesaggi spettrali, la suspance) che angosciano e spaventano davvero molto gli spettatori più piccoli. Registro in questo senso il record di mani davanti agli occhi per Stefano.

Ad ogni modo a noi il film è piaciuto, compresa la conclusione nella quale la protagonista da vittima predestinata si trasforma in una sorta di Giovanna D'Arco, che con tanto di corazza e spada affronta la splendida e ambigua Theron in un duello tra donne, con l'eroe di turno relegato al ruolo di comprimario.

lunedì 23 luglio 2012

Pop life


Maximo Park
The national health
V2 (2012)


Sto cercando con tutte le mie forze di uscire da questa tremenda, deliziosa dipendenza dal country 'n' western 'n' blugrass che ciclicamente mi attanaglia e che a sto giro sta letteralmente monopolizzando i miei ascolti.
Dopo un primo ascolto in cuffia durante le pulizie delle scale condominiali, provo allora a concentrarmi sul nuovo dei Maximo Park, quelli di Our velocity, il singolo che nel 2007 avevo eletto canzone dell'anno, contenuto nell'album Our earthly pleasures, che invece, condizione alquanto anomala e bizzarra, avevo trovato atroce.

Il loro nuovo album, a tre anni di distanza da un Quicken the hearth che non avevo considerato, è The national health ed è contraddistinto da un sound che richiama il pop inglese degli ottanta, non sempre però (e questa insomma mi sembra la particolarità rilevante) quello considerato più nobile.

Se accostarsi agli Smiths (Write me down) apre infatti le porte al salotto buono della critica, non penso faccia lo stesso effetto intonare alcuni pezzi in pericolosa (per gli altri, sia chiaro) similitudine con lo stile di un Tony Hadley (Reclutant love ma anche l'incipit della titletrack) degli Spandau Ballet.
I pezzi nel complesso sono ariosi ed orientati ad una facile fruizione, nel solco di una tradizione pop abbastanza evidente, diversamente da quanto ricordavo essere quelli del passato. In compenso probabilmente si registra un passo indietro in termine di originalità e riconoscibilità del brand (ammesso che prima ci fosse).

L'album, una quarantina di minuti di durata, si fa ascoltare tanto facilmente quanto facilmente se ne fa a meno. Se devo indicare qualche estratto, trovo che Unfamiliar places, Waves of fear e Hips and lips abbiano qualcosina in più degli altri.

Ok, posso tornare alla Nitty Gritty Dirt Band.

6/10

sabato 21 luglio 2012

I guess there's just a meanness in this world

La considerano una libertà costituzionale quella di possedere armi da fuoco senza vincolo alcuno. E guai a metterla in discussione eh. Sto James Holmes che si è presentato alla prima di Batman in un cinema alla periferia di Denver vestito come Bane e ha sparato sugli spettatori, uccidendone dodici e ferendone una cinquantina pare che ne avesse la casa piena, di pistole, fucile ed esplosivi. Vuoi ridere? Sarà molto più probabile che in America decidano di vietare di assistere ai film con indosso un costume (da quelle parti è pratica abbastanza diffusa anche tra gli adulti , si sa gli americani sò bambinoni) piuttosto che imporre regole più restrittive sull'acquisto di Glock, Magnum o Uzi.
Quando ho appreso questa notizia, tra sgomento e incredulità, chissà perchè, tra tante cose alle quali potevo pensare ne ho focalizzate due. La prima è che gli spettatori hanno dichiarato che sulle prime pensavano ad una trovata di guerrilla marketing, cioè una specie di promozione live del film. Proprio come accade in uno dei film della serie di Scream di Wes Craven (il terzo se non erro), dove durante la proiezione di una pellicola horror tutti sono vestiti come l'assassino (mantello nero e maschera urlante ispirata dal celebre quadro di Munch) e nessuno interviene quando un tizio comincia a prendere a coltellate le sue vittime. Vale a dire la realtà che copia l'arte nel modo più agghiacciante possibile.
L'altra nasce dalla scontata domanda che ci poniamo davanti a questi eventi. Perchè? Perchè un tizio di 24 anni compie un'azione così terrificante? La risposta non ce l'ha nessuno. E allora ancora una volta è l'arte a fornire la sua versione delle cose.
Nebraska, la canzone che apre l'omonimo album di Springsteen (1982) racconta di un tizio e la sua donna che all'improvviso decidono di guidare per le badlands di quel desolato stato sparando a chiunque incontrino sul loro cammino (il pezzo è ispirato, guarda un pò, ad un caso reale). Le loro giustificazioni una volta presi sono "I can't say that I'm sorry for the things that we done / At least for a little while sir me and her we had us some fun" e la chiosa prima di salire sulla sedia elettrica "They wanted to know why I did what I did / Well sir I guess there's just a meanness in this world".
Alla fine forse è tutto qui. Questo mondo è un tale schifo...

Album o' the week / ABC, Absolutely (1990)

In ambito easy listening, negli ottanta ho sempre avuto una simpatia per gli inglesi ABC, autori di un pop sicuramente commerciale (e infatti i loro singoli andavano via alla grande), ma non privo di contenuti e rimandi a stili virtuosi del passato, come testimoniato dalla loro celebre When smokey sings, omaggio al grande soulman Robinson. Chiunque conosce almeno un brano degli ABC (protagonisti peraltro di un recente comback): Poison Arrow; The look of love; The night you murderd love; S.O.S. contenuti in questa raccolta del novanta che racchiude appunto il meglio della loro golden age.

venerdì 20 luglio 2012

giovedì 19 luglio 2012

Collegno, Texas 2/3


Smoke and wine; I don't know; 7 months, 39 days; Trashville; Crazed country rebel; Mississippi mud. Sfilano tutti in sequenza e a velocità sostenuta i classici di Hank.
Già perchè una delle caratteristiche dell'artista è quella di non perdersi in troppe parole, fila via così spedito che sovente il primo accordo della canzone successiva entra sulla coda della precedente e normalmente la massima comunicazione che  ci si può aspettare è l'annuncio del brano prima che sia eseguito. A  Collegno III è andato oltre arrivando addirittura a chiedere un cheeeseee collettivo prima di scattare una foto al pubblico. 

Al momento dei brani che prevedono il supporto del controcanto growling metto a fuoco la prima differenza sostanziale con il set di Lucerna. Manca infatti il cantante Gary Lindsey, che normalmente sale sul palco proprio per dare il suo contributo a pezzi come Rebel within, 3 shades of black, Long hauls & close calls, o P.F.F. che quindi vengono interpretati affidandosi al supporto vocale (adeguato, non c'è che dire, ma la presenza scenica di Lindsey dava un quid in più) del contrabbassista.In particolare P.F.F. (Punch Fight Fuck), il pezzo su G.G. Allin, arriva dopo una lunga invocazione da parte del pubblico.


Il set country arriva quasi a metà scaletta e ancora non è stato suonato alcun pezzo dai dischi più recenti (Ghost to a ghost/Guttertown), che qualunque artista normalmente inserito nel music biz avrebbe invece esibito ampiamente a scopo promozionale. Bene, lo spazio per queste canzoni (dal tiro oggettivamente diverso rispetto alle altre) è un mini set centrale nel quale vengono proposte con un arrangiamento più semplice dell'originale Day by day; Gutter town; Riding the wave; Troopers hollar;Outlaw convention; Ghost to a ghost e Dyin' day. In tutto sette tracce su un totale di una trentina sui due dischi pubblicati. Alla fine, ancora una volta, sarà Straight to hell (2006) il disco più suonato della serata.

Al termine di questo set infatti si riprende a correre con Thrown out of the bar; D Ray White;Country heroes; Not everybody's likes us; e poi Six pack of beer; I'll never get out of this world alive del nonno e altre due cover (un pezzo rockabilly tipo Good rockin' tonight e uno strumentale blugrass) fino al cumshot conclusivo di Dick in dixie. A questo punto Hank informa i convenuti che la parte country dell'esibizione è finita, io, afono e matido di sudore, ne approfitto per scrollarmi letteralmente di dosso un paio di tossici invasati che erano stati così premurosi da farmi compagnia per gli ultimi minuti dello show e mi allontano per prendere un pò d'aria e un sorso d'acqua, giusto in tempo perchè Hank e la Damn Band si trasformino negli Hellbilly e si apprestino a dare fuoco alle polveri del loro devastante psychobilly.

continua...

P.S. Nessun grande reportage fotografico questa volta. Quella postata è in pratica l'unica immagine decente che sono riuscito a scattare, principalmente a causa della poca confidenza con la digitale del telefonino e per l'assillo delle luci che sparavano sul pubblico. In compenso su youtube ho trovato il video con i primi due brani del concerto: Straight to hell e 7 months, 39 days.



mercoledì 18 luglio 2012

80 minuti di Kings of Leon

Una scalata lenta ma inarrestabile dalla scena indie roots americana al mainstream più sfrenato. Questa fin qui la decade dei Kings of Leon, che li ha visti debuttare nel 2003 con Youth and young manhood, raggiungere il massimo dei consensi di pubblico e critica nel 2008 con Only by the night e dare i primi segni di appannamento creativo nel 2010 con Come around sundown. La loro discografia completa consta di cinque album, ho tentato un resoconto in ventitre tracce.

1)      Knocked up
2)     Sex on fire
3)     The bucket
4)     Radioactive
5)     Molly’s chambers
6)     Crawl
7)     On call
8)     Taper Jean girl
9)     Pyro
10)  Use somebody
11)   Charmer
12)  Kings of the rodeo
13)  Red morning light
14)  Revelry
15)  The immortals
16)  Fans
17)  Four kicks
18)  Wasted time
19)  Manhattan
20) Black down south
21)  My party
22) California waiting
23) Notion




martedì 17 luglio 2012

Petizione

Di norma non aderisco alle petizioni on line. Credo siano inefficaci e spesso basate su iniziative che non condivido.
Lisa mi ha però sottoposto un appello per i ministri Severino e Cancellieri in merito all'introduzione del reato di tortura che nasce dalla conclusione dell'iter giudiziario della vicenda  di Federico Aldrovandi e allora ho fatto un'eccezione. Perchè la storia del ragazzo di Ferrara è agghiacciante, perchè ho un'ammirazione sconfinata nei confronti della sua famiglia (non è facile, nemmeno in Italia negli anni duemila, mettersi contro la Polizia) e infine perchè ritengo inaccettabile che il nostro Paese non abbia una legislazione che punisca la tortura (il progetto di legge è stato più volte affossato).

Io ho già aderito e invito gli amici lettori del blog a fare altrettanto, questo è il link. E questo è l'incipit dell'appello firmato da Patrizia, mamma di Federico.

"I poliziotti condannati per aver picchiato e ucciso mio figlio 18enne Federico Aldrovandi non andranno in carcere e sono ancora in servizio. C'è un solo modo per evitare ad altre madri quello che ho dovuto soffrire io: adottare in Italia una legge contro la tortura.

La morte di mio figlio non è un'eccezione: diversi abusi e omicidi commessi dalle forze dell'ordine rimangono impuniti. Ma finalmente possiamo fare qualcosa: alcuni parlamentari si sono uniti al mio appello disperato e hanno chiesto di adottare subito una legge contro la tortura che punirebbe i poliziotti che si macchiano di questi crimini. Per portare a casa il risultato però hanno bisogno di tutti noi.(...)"

Spider-Man v 2.0

Eccola finalmente la nuova trasposizione cinematografica dell'aracnide umano più famoso al mondo. Arriva a cinque anni di distanza dall'ultimo capitolo della trilogia di Sam Raimi, che aveva per la prima volta portato sul grande schermo le gesta dell'eroe Marvel. Dopo una prima fase nella quale gli studios americani avevano messo infatti in cantiere un ulteriore quarto sequel con gli stessi protagonisti (McGuire, Dunst) e nuovi personaggi (si vociferava di un John Malkovich/Avvoltoio) è subentrata quella che tutti i fans hanno vissuto come una doccia fredda: una ripartenza da zero con una produzione nuova di zecca che rispieghi da capo l'intera storia. Tradotto un bel reboot. Mano a mano che filtravano le indiscrezioni sul nuovo prodotto inoltre, emergeva l'orientamento della produzione per attori e regista giovani e/o emergenti, il che non faceva che deprimere ulteriormente le aspettative dei fumettari.
Dal punto di vista della storia, gli autori sostenevano di essersi ispirati alla rielaborazione delle origini di Spider-Man avvenuta grazie alla collana Ultimate, pubblicata dalla Marvel a partire dal 2001 (proprio in questi giorni allegata in volume alle uscite del sabato dei quotidiani della RCS), che ricollocava cronologicamente Peter Parker ai giorni nostri (invece che nei sessanta), ricalibrando tutto il contesto e la catena degli avvenimenti attorno alla Oscorp, la multinazionale di Norman Osborn/Green Goblin.

Il risultato qual'è? Beh il film in se stesso non delude. Ha un buon ritmo, personaggi adeguati, effetti speciali convincenti ed una trama avvincente. Dal punto di vista della fedeltà con il personaggio vive invece di alti e bassi. L'aspetto dell'umorismo di Spidey durante i combattimenti, ad esempio, è reso per la prima volta in maniera molto efficace, così come è felice l'introduzione degli amatissimi lanciaragnatele da polso. Per il resto insomma, ci si gode la proiezione lasciando a casa il divoratore di fumetti che alberga in noi, visto che vengono ignorati passaggi simbolici importanti delle origini del Ragno (il wrestling, la cattura dell'assassino di zio Ben) e che il costume, sarà anche più realistico, ma è un'altra cosa rispetto all'originale (e relativo Ultimate). Però vabè, qui subentrano anche le esigenze del colosso dei giocattoli Hasbro e quindi, it's just business, bisogna starci.
Alla fine probabilmente non ha più molto senso fare dei paragoni con i comics che abbiamo sugli scaffali del garage, visto che anche il primo di Raimi si era preso delle licenze rispetto all'originale (ragnatele prodote organicamente...brrr)e quindi ci troviamo nella condizione di avere un reboot del film di Spiderman che a sua volta era in qualche modo un reboot del fumetto originale.

Ok, basta seghe mentali. Il film è divertente. Il nuovo Parker (Andrew Garflield) è più giovane a magrolino che mai, Gwen Stacy (Emma Stone) un bijou. Lizard è bello tosto (Rhys Ifans nei panni di Curt Connors), lo zio di Peter è il miglior Ben Parker di sempre (con Martin Sheen si va sul sicuro!) e l'ormai immancabile cameo di Stan Lee è spassosissimo, mentre Norman Osborn, figura cruciale della saga, viene citato più volte ma non non viene mai mostrato, in attesa forse di trovargli l'interprete più consono per il sequel (previsto per il 2014).

Concludendo. So che non è un aspetto di cui andar particolarmente fieri, sono ben altri i valori importanti della vita, però tutta la passione che ho trasmesso a Stefano in merito ai fumetti e all'universo Marvel sta dando i suoi frutti. A lui il film è piaciuto, il lucertolone non gli ha fatto così paura (si è coperto preventivamente gli occhi con le mani giusto un paio di volte temendo il peggio), ma lo spasso sono state le sue dotte spiegazioni e le sue inattaccabili teorie a riguardo dei personaggi e delle varie situazioni del film, elaborate in sintonia con la continuity Marvel: un autentico spettacolo nello spettacolo.



lunedì 16 luglio 2012

New wave of american country music / 6


Bob Wayne
Till the wheels fall off
People like you Records (2012)



Pittoresco e caciarone Bob Wayne, rientra in pieno nel fenomeno outlaw country più radicale (lontano da Nashville dunque) con tanto di testi espliciti e indole ribelle, anche se riesce a farsi apprezzare per la ricerca di una via indipendente ai dogmi del (sotto)genere. Certo, i modelli di riferimento del presente e del passato sono tutti presenti (da David Allan Coe a Hank III passando per Johnny Cash), ma le esecuzioni suonano fresche ed eccitanti, merito di un songwriting irriverente, di un bel tiro degli strumenti (violino e banjo sugli scudi) ma anche della tonalità della voce che essendo pulita e non, come da copione, nasale, baritonale o impastata (da patata in bocca per intenderci),  inizialmente spiazza un pò ma poi diventa un valore aggiunto del lavoro.

L'album è composto da tredici tracce (più due bonus track) ed è dannatamente divertente. I testi ruotano tutti attorno alla liturgia del divertimento sfrenato correlato da abuso di alcol/droghe e al mito della vita spericolata on the road. Proprio quest'ultimo tema è protagonista della scatenata title track, posta in apertura a mettere subito le cose in chiaro sullo stile di vita del fuorilegge, che ha intenzione di sballarsi senza ritegno "till the wheels fall off this motherfucker!". A seguire There's no diesel trucks in heaven, tra ironia e oroglio, l'immancabile dedica ai camionisti americani, target costante dei musicisti country. All my friends, la traccia numero tre eseguita in duetto con Hank III, è una ballata che rimugina sugli amici di una vita ai quali si è dovuto rinunciare. A scanso di equivoci va chiarito che non si tratta di persone ma di sostanze quali cocaina, eroina e LSD. Get there when i get there invece si sposta dall'altro lato dell'oceano, più precisamente in Irlanda richiamando le ballate dei Waterboys. Continuando ad analizzare le canzoni è d'obbligo una segnalazione almeno per il country-rock'n'roll con tanto di coretti femminili di Devil's son, per la spregiudicatezza punk di Fuck the law (presente anche come bonus track per il mercato della Germania, con il ritornello cantato in tedesco), per l'infuocato blugrass All those one night stand,il disincanto di A pistol and a 100$ bill e la consona conclusione di Spread my ashes on the highway.

Conoscevo superficialmente Bob Wayne (ho anche sfiorato una sua esibizione come opener di Hank) ma i suoi dischi precedenti mi sembravano un pò troppo derivativi. Till the wheels fall off viceversa gli fa fare un bel salto di qualità, al punto che se avessi saputo del recente tour italiano dell'artista ci avrei volentieri fatto un pensierino. Per le soddisfazioni che mi sta fin qui dando Till the wheels fall off potrebbe essere uno degli album dell'anno.

7,5/10

sabato 14 luglio 2012

Dark Knights returns?

Berlusconi sarà di nuvo alla guida del pidielle (che non si chiamerà più pidielle) alle prossime politiche del 2013. Dire che sono sorpreso sarebbe raccontare una colossale frottola, nemmeno per un attimo mi ero illuso che sul simbolo della coalizione di destra avrei trovato il nome di Alfano Angelino. Però mi ero fatto tutto un mio film nel quale il cav. aveva ceduto il potere in cambio dell'archiviazione dei suoi numerosi procedimenti penali/civili. Ed effettivamente, fate caso alle sentenze sue e di Dell'Utri post-dimissioni ...
Ma ora l'interrogativo che sta angosciando i pensieri di tutti quelli che hanno festeggiato le sue dimissioni qualche mese fa è un altro.
Lo conoscete , dài.
E se ce la facesse anche questa volta?

Album o' the week / My Bloody Valentine, Loveless (1991)



Ho comprato questo disco senza conoscerlo una decina d'anni fa, solo perchè era considerato uno degli album più influenti dei novanta. Non avevo la minima idea di che musica contenesse e di certo non ero pronto ad affrontare il muro di distorsioni, riverberi e feedback che questo lavoro, considerato uno dei capisaldi dello shoegaze, ti sbatte in faccia.
Riposto nello scaffale e mai più ripreso, l'ho ripescato a fronte di un'improvvisa e immotivata voglia di frastuono chitarristico e mi si è rivelato, dalla prima all'ultima traccia, in tutta la sua feroce bellezza. Resta da capire come mai questo sound mi si riveli chiaramente e mi appaghi totalmente oggi (toglierò a breve la polvere anche a Psychocandy dei Jesus and Mary Chain), mentre lo consideravo totalmente indigesto fino a pochi anni fa. Ma questo è ovviamente un problema mio.

giovedì 12 luglio 2012

Collegno, Texas 1 /3

Le due di notte. Lo sguardo fisso sul nastro nero dell'asfalto che si srotola davanti, le orecchie che ronzano. Schegge di emozioni variopinte che galoppano libere nelle praterie della mente, la sonnolenza combattuta con l’aria fresca che passa attraverso i finestrini della macchina abbassati. Marlboro e Coca a grattare sopra corde vocali sfinite, la radio costantemente ad un volume audace.
Qualcuno potrebbe trovare triste o semplicemente poco esaltante andare da soli ad un concerto. Personalmente invece, dopo tanti show visti nell'esclusiva compagnia di me,myself and I, ho cominciato ad apprezzare più di un aspetto di questa condizione. Il viaggio di ritorno a casa per esempio, è permeato di una bellezza tutta sua, che chi non ha mai provato almeno una volta non può capire. Poi certo, avere un debole per le guide notturne ed essere dotati di un'indole a tratti asociale contribuisce non poco al fascino complessivo della cosa.




Dopo la gita a Lucerna del 2009 (qui e qui) questa volta sono stati "solo" duecento i chilometri  macinati per assistere alla prima esibizione in assoluto di Hank Williams III nel nostro paese, in quel del parco della Certosa a Collegno, dalle parti di Torino. Nel tardo pomeriggio avevo raggiunto il luogo del concerto scontrandomi subito con un'organizzazione dell'evento che definire lacunosa è fargli un complimento (non un'indicazione sulla location dello spettacolo all'interno dell'ampio parco, addetti che mi hanno fatto circumnavigare tutta la zona alla ricerca del cancello d'ingresso per il pubblico, salvo poi tornare al punto di partenza) e rovinandomi lo stomaco con un panino che è finito direttamente nella top five dei peggiori mai mangiati in vita mia.

Anche lo spazio adibito al concerto sulle prime mi ha lasciato perplesso,  troppo dispersivo per quello che immaginavo essere il potenziale pubblico italiano dell'outlaw del Tennesse: palco medio-grande e piazzale capace di contenere qualche migliaia di spettatori, a fronte della presenza sparuta di dieci, venti persone al massimo, a mezzora dall'inizio dell'esibizione (come immortalato nella foto qui sotto). Insomma, una brutta sensazione di disastro imminente e un'ansia crescente hanno cominciato ad attanagliarmi. Decido di rilassarmi passando al consueto varo il look dei pochi convenuti: tra cowboy de noartri, rockabilly e nerds l'analogia con il concerto in Svizzera di tre anni fa è quasi assoluta (mancano giusto i metallari, che lì c'erano). In queste condizioni, com'è facile immaginare, raggiungere  le transenne della prima fila è uno gioco da ragazzi, ed è li che mi piazzo quando sono solo dieci i minuti che mi separano dalle 21 e dall'inizio della gig.

Hank e la Damn Band come da abitudine spaccano il secondo e alle nove, con la luce del sole ad illuminare ancora la serata, raggiungono il palco. Contrabbasso, violino, voce/chitarra, banjo e slide guitar (suonata su piano orizzontale) si dispongono uno a fianco dell'altro, con la batteria ovviamente alle loro spalle. Lui mi sembra in forma, bello tirato nel suo completo dai mille rammendi e nel suo cappello piumato da tirolese. Parte il primo pezzo con il tipo al mixer che ha ancora il suo daffare per districare l'impasto dei vari strumenti, ma niente può impedire alle mie sinapsi di scattare identificando subito il brano, si tratta di  Straight to hell.

Perdo all'istante ogni freno inibitore e parto con uno sfrenato singalong,  mentre Hank ci scruta con il suo caratteristico sguardo affilato che mi sembra tradire una certa soddisfazione, nel constatare che più d'uno tra il pubblico sostiene il suo cantato intonando il pezzo parola per parola. Durante il bridge mi guardo alle spalle e scopro che, chissà come e chissà da dove, è sopraggiunto un nutrito numero di spettatori, portando le presenze, ad occhio e croce, intorno alle duecento unità. L'onore del nipote di Williams è salvo.


CONTINUA...

martedì 10 luglio 2012

Il latte versato


Il gioiellino, film diretto da Andrea Molaioli (già regista del riuscito La ragazza del lago), porta sullo schermo la vicenda dell'ormai famigerato crac Parmalat attraverso la storia, qua e là romanzata, dell'azienda di fantasia Leda, che da caseificio di famiglia diventa impresa mondiale.

Inutile stare troppo a girarci intorno, in Italia fatichiamo tremendamente a produrre opere di questo tipo e anche Il gioiellino purtroppo, dopo una buona partenza e nonostante l'interesse per l'argomento trattato, alla lunga si perde un pò dietro a recitazioni talvolta approssimative ed un contesto complessivo che scivola spesso nel prodotto da televisione (italiana, ovviamente perchè se il riferimento fosse ai serial USA il discorso sarebbe differente).

Ad ogni modo, e che ve lo dico affare, a stagliarsi in maniera sublime è l'interpretazione che Toni Servillo dà, letteralmente maramaldeggiando, di Ernesto Botta, il ragionere deus ex machina delle macchinazioni finanziarie dell'impresa. Botta è un self made man arrogante e spocchioso, che tratta gli altri con sufficenza e disprezzo, ma è anche un gran lavoratore che non smette mai di aggiornarsi. Deliziosi sono in questo senso i passaggi del film nel quale si cimenta con l'inglese appena imparato e subito utilizzato per intimidire attraverso lo sproloquio i suoi interlocutori internazionali. Oltre a Servillo mi è piaciuta anche Sarah Felderbaum, che ha vestito i panni della nipote del patriarca dell'impresa (interpretato da Remo Girone, sempre uguale a se stesso).

Il gioiellino è in sintesi un film di quelli che se lo si inizia a guardare alla tv la curiosità porta a terminarlo, anche se superato il giro di boa di metà film (il viaggio a New York) la pellicola perde molto d'intensità e forza. Luci e ombre insomma.




lunedì 9 luglio 2012

Shakerato, non agitato

Alabama Shakes
Boys and girls
Rough Trade/ATO (2012)






Lo ammetto, parto un pò prevenuto con gli Alabama Shakes. Il perchè è presto spiegato. Ci sono un'infinità di band vecchie e giovani che si muovono in quel delta musicale americano che include rock and roll, country, soul e rhythm and blues. In genere sono gruppi onesti ed integri, che mettono al primo posto la loro passione per questo sound, e a causa di ciò sono rassegnati ad avere un ristretto numero di fans dai gusti giurassici a sostenerli. Poi arrivano sti ragazzotti dallo stato dell'Alabama ed è subito hype. E che sarà mai? Cosa hanno di più dei Lucero, dei North Mississippi All Stars o di Black Joe Lewis, che da anni sgobbano sui loro strumenti senza mai riuscire ad avere l'esposizione mediatica che meriterebbero? Un buon agente? Più culo degli altri? Un tempismo migliore? La risposta non l'ho trovata anche se dopo un pò che girano nel lettore posso azzardare qualche ipotesi.
La proposta musicale dei quattro sfrutta con una prevalenza di mid-tempo la suntuosa voce di Brittany Howard, la singer, che si muove con grazia innata tra i vari generi proposti dalla band, anche se tra i diversi canoni sembra intuire una naturale propensione della fanciulla ad interpretare pezzi soul. Si ascoltino in questo senso l'intensa You ain't alone, la sofferta Be mine e l'intima Heartbreaker.
L'album sembra suddiviso in due sezioni, l'apertura (Hold on; I found you; Hang loose; Rise to the sun) è più orientata al genere americana e a mio avviso è abbastanza affine al sound di band come i Black Crowes o i Kings of Lion degli esordi. Poi subentra l'anima black del combo e si viaggia su atmosfere più introspettive, tra soul e lenti rhythm and blues.

Boys and girls è sicuramente un album interessante, ma non credo che avrebbe generato tutto il chiacchereccio di cui sopra senza la voce evocativa di Brittany Howard. Per il resto, pur apprezzando il disco, non mi sento di condividere tutta l'eccitazione che sento in giro per questa band. Certo me li sono segnati e continuerò a tenerli d'occhio per vedere se questo buon esordio ha già esaurito il loro combustibile o se hanno appena iniziato a scaldarsi.
6,5/10

sabato 7 luglio 2012

Album o' the week / Hank III, This ain't country (2004)



Vi tocca anche a sto giro. This ain't country è probabilmente la divagazione in ambito non country più riuscita da parte di Hank III. Il disco fu registrato nel 2003 ma venne rifiutato dall'etichetta dell'artista (la Curb Records), già poco incline a digerire l'outlaw di Hank e più orientata a sfruttare cotanto cognome per fare grana con il pop-country, a causa del suono affine al metal-punk, al cowpunk più estremo, all'hardcore e allo psychobilly del lavoro. Uscì dunque come bootleg (e come tale non ha una copertina ufficiale) fino a quando, nel 2011, a contratto rescisso, la Curb lo ripescò dai suoi scaffali e lo pubblicò con il chiaro intento di sabotare la nuova carriera del nostro, e con il titolo Hillbilly Joker. Punto di svolta fondamentale nell'evoluzione musicale dell'artista (che pur nasce come batterista punk), contiene almeno tre anthem che non mancano mai in concerto, da quasi dieci anni a questa parte: Hillbilly Joker; Life of sin e Hellbilly.



venerdì 6 luglio 2012

Divagazioni da ritorno a casa

Al termine del film Nuovo Cinema Paradiso viene usato un aforisma che mi sento di condividere appieno, e che per questo mi è rimasto in mente tutti questi anni, in linea di massima recita così: se manchi da un posto per un anno, quando ci torni lo trovi completamente cambiato; se invece stai lontano ventanni, al tuo ritorno tutto è esattamente come l'hai lasciato.

Il viaggio nel paese della mia famiglia mi ha lasciato questa fortissima suggestione. I miei luoghi dell'anima, i posti dove da bambino adoravo stare non hanno perso nulla della loro magia, il progresso urbanistico non è riuscito a contaminarli, al punto che nel rivederli la nostalgia mi ha afferrato la gola e non ha mollato la presa per un bel pò. Nei rapporti con i parenti ho invece registrato delusioni e sorprese positive. Persone con le quali da ragazzo condividevo un profondo rapporto, oggi hanno fatto fatica a trovare del tempo per salutarci mentre altre con le quali il rapporto era più superficiale si sono fatte letteralmente in quattro per rendere piacevole la nostra presenza.


Così è la vita, suppongo.

mercoledì 4 luglio 2012

80 minuti di The Black Keys

Sette album sotto la ragione sociale The Black Keys hanno portato la band di Daniel Auerbach (voce/chitarra) e Patrick Carney (batteria) a diventare uno dei gruppi più rilevanti della scena mondiale, grazie ad un offerta musicale che prende a riferimento stili convenzionalmente black come il rhythm and blues dei sessanta e li sottopone ad un lavoro di sottrazione, tanto ossequioso quanto efficace. I pezzi si aggirano nella maggior parte dei casi attorno ad un timing di tre minuti, la playlist che ho ricavato dunque è molto ricca e contiene anche due episodi da Blakroc, l'album hip hop al quale i nostri hanno collaborato insieme a diversi protagonisti del rap americano.



1) Howling for you
2) Next girl
3) Lonely boy
4) Same old thing
5) Leaving trunk
6) Set you free
7) 10 am automatic
8) On the vista (progetto Blakroc)
9) Dead and gone
10) Hard row
11) Thickfreakness
12) Girl is on my mind
13) I’ll be your man
14) Your touch
15) Little black sub marines
16) Everlasting light
17) What you do to me (progetto Blakroc)
18) You’re the one
19) Gold on the ceiling
20) Strange times
21) Ten cent pistol
22) Tighten up
23) I got mine

martedì 3 luglio 2012

Heading south

Per la prima volta dopo cinque anni , ma più complessivamente la seconda negli ultimi dieci-quindici, torno al paese che ha dato i natali alla mia famiglia. Non per un evento doloroso come nel 2007 (qui il post), ma per una faccenda semplice in partenza , ma che si è ricoperta via via di strati di complicazioni come foglie attorno ad un carciofo. Mio nipote al quarto anno di alberghiera doveva infatti seguire di un periodo di stage (tradotto in italiano: uno sfruttamento legalizzato) in un ristorante in provincia di Salerno. Questo evento ha progressivamente ma inesorabilmente calamitato attorno a se la presenza prima della madre (mia sorella) e poi dei miei, anche loro lungamente assenti da quei luoghi.


In sintesi, sono partito ieri, 2 luglio, e tornerò il 5, con il volo di ritorno da Napoli a rischio cancellazione a causa di uno sciopero di ventiquattrore proclamato da sindacati non confederali su Linate e Malpensa proprio per giovedì prossimo, data del rientro (deve essere una sorta di scherzo divino).

Da bambino raggiungere quei luoghi così diversi dall'abituale periferia milanese era fonte di eccitazione, oggi, da adulto e "capo delegazione" un pò mi agita.


Va bè, a tra poco.