giovedì 12 luglio 2012

Collegno, Texas 1 /3

Le due di notte. Lo sguardo fisso sul nastro nero dell'asfalto che si srotola davanti, le orecchie che ronzano. Schegge di emozioni variopinte che galoppano libere nelle praterie della mente, la sonnolenza combattuta con l’aria fresca che passa attraverso i finestrini della macchina abbassati. Marlboro e Coca a grattare sopra corde vocali sfinite, la radio costantemente ad un volume audace.
Qualcuno potrebbe trovare triste o semplicemente poco esaltante andare da soli ad un concerto. Personalmente invece, dopo tanti show visti nell'esclusiva compagnia di me,myself and I, ho cominciato ad apprezzare più di un aspetto di questa condizione. Il viaggio di ritorno a casa per esempio, è permeato di una bellezza tutta sua, che chi non ha mai provato almeno una volta non può capire. Poi certo, avere un debole per le guide notturne ed essere dotati di un'indole a tratti asociale contribuisce non poco al fascino complessivo della cosa.




Dopo la gita a Lucerna del 2009 (qui e qui) questa volta sono stati "solo" duecento i chilometri  macinati per assistere alla prima esibizione in assoluto di Hank Williams III nel nostro paese, in quel del parco della Certosa a Collegno, dalle parti di Torino. Nel tardo pomeriggio avevo raggiunto il luogo del concerto scontrandomi subito con un'organizzazione dell'evento che definire lacunosa è fargli un complimento (non un'indicazione sulla location dello spettacolo all'interno dell'ampio parco, addetti che mi hanno fatto circumnavigare tutta la zona alla ricerca del cancello d'ingresso per il pubblico, salvo poi tornare al punto di partenza) e rovinandomi lo stomaco con un panino che è finito direttamente nella top five dei peggiori mai mangiati in vita mia.

Anche lo spazio adibito al concerto sulle prime mi ha lasciato perplesso,  troppo dispersivo per quello che immaginavo essere il potenziale pubblico italiano dell'outlaw del Tennesse: palco medio-grande e piazzale capace di contenere qualche migliaia di spettatori, a fronte della presenza sparuta di dieci, venti persone al massimo, a mezzora dall'inizio dell'esibizione (come immortalato nella foto qui sotto). Insomma, una brutta sensazione di disastro imminente e un'ansia crescente hanno cominciato ad attanagliarmi. Decido di rilassarmi passando al consueto varo il look dei pochi convenuti: tra cowboy de noartri, rockabilly e nerds l'analogia con il concerto in Svizzera di tre anni fa è quasi assoluta (mancano giusto i metallari, che lì c'erano). In queste condizioni, com'è facile immaginare, raggiungere  le transenne della prima fila è uno gioco da ragazzi, ed è li che mi piazzo quando sono solo dieci i minuti che mi separano dalle 21 e dall'inizio della gig.

Hank e la Damn Band come da abitudine spaccano il secondo e alle nove, con la luce del sole ad illuminare ancora la serata, raggiungono il palco. Contrabbasso, violino, voce/chitarra, banjo e slide guitar (suonata su piano orizzontale) si dispongono uno a fianco dell'altro, con la batteria ovviamente alle loro spalle. Lui mi sembra in forma, bello tirato nel suo completo dai mille rammendi e nel suo cappello piumato da tirolese. Parte il primo pezzo con il tipo al mixer che ha ancora il suo daffare per districare l'impasto dei vari strumenti, ma niente può impedire alle mie sinapsi di scattare identificando subito il brano, si tratta di  Straight to hell.

Perdo all'istante ogni freno inibitore e parto con uno sfrenato singalong,  mentre Hank ci scruta con il suo caratteristico sguardo affilato che mi sembra tradire una certa soddisfazione, nel constatare che più d'uno tra il pubblico sostiene il suo cantato intonando il pezzo parola per parola. Durante il bridge mi guardo alle spalle e scopro che, chissà come e chissà da dove, è sopraggiunto un nutrito numero di spettatori, portando le presenze, ad occhio e croce, intorno alle duecento unità. L'onore del nipote di Williams è salvo.


CONTINUA...

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