Non c'è stato il liberatorio cumshot a sugellare la fine dell'interminabile attesa per la prima dal vivo di Mellencamp in Italia. In molti da diverse parti d'Italia avevano convogliato su Vigevano per togliersi uno dei pochi sfizi che mancavano all'italico appassionato di rock USA classico (americana, se vi va), ma alla fine se ne sono andati con un saldo di luci ed ombre.
Tutto sbagliato a mio avviso il programma che l'ex coguaro ha preparato per la serata. Con un orario di inizio show previsto alle 20:30 la band è salita sul palco che erano quasi le 22:30. Ad attenderla un pubblico giustamente spazientito ed indispettito. Prima del concerto è stato proiettato It's about you, un documentario sulla realizzazione di No better than this (i cui particolari potete leggere nella recensione), che,nonostante il pippotto autocelebrativo, poteva anche essere interessante, a patto che non facesse slittare lo spettacolo di 120 minuti e che non avesse mostrato ampi stralci di un concerto di Mellencamp...a pochi minuti dall'inizio del concerto vero e proprio. Una scelta a mio avviso davvero bizzarra e controproducente.
Ad ogni modo, con i fischi ed il boato del pubblico ad accogliere il The end del film e non senza qualche ultima sistemata agli strumenti, sulle note di God's gonna cut you down di Johnny Cash, Mellencamp e la band salgono finalmente sul palco. A quel punto è difficile capire se siano più irritati loro per i fischi al documetario o il pubblico per l'attesa. Sia quel che sia, Authority song, saggiamente scelto come apertura, scioglie ogni tensione e manda in visibilio gli attempati fans.
La formazione base della band è composta da cinque elementi, tre chitarre, un contrabbasso e una piccola batteria senza cassa. A parte il pezzo d'apertura, John userà perlopiù un'acustica, lasciando le elettriche al fido Michael Wanchic e a Andy York. Al combo si aggregheranno all'uopo la straordinaria Miriam Strum al violino e Troye Kinnet alla fisa o al piano. Il risultato è un suono molto fifties, asciutto e versatile, che riesce a passare con noncuranza dal country (No one cares about me) al soul più nero (Death letter)al folk-blues (The west end). La voce del piccolo bastardo (vecchio nick di Mellencamp) è spettacolare e l'acustica della location una volta tanto dignitosa.
Scopriremo a fine show che il concerto è suddiviso in tre parti, della prima ho detto, la seconda è invece acustica ed è probabilmente la più emozionante della serata. John resta infatti da solo sullo stage e regali ai presenti (ipotizzo tre-quattromila persone nel piazzale del Castello Sforzesco di Vigevano) una Longest days memorabile, introdotta da un racconto sull'ultracentenaria grandma del singer. Poi la band torna per un attimo sul palco per una versione country-swing di Jack and Diane, quindi John si riprende la scena per una delicatissima interpretazione di Jackie Brown, una Save some time da magone, una versione unplugged di Small Town e un accenno (solo la prima strofa )di Cherry Bomb. Ecco, questa scelta di presentare i suoi classici più famosi riarrangiati o in veste scarna non l'ho condivisa. Per carità i pezzi erano suggestivi, ma se è la prima volta che suoni in un posto che ti ha atteso tipo trent'anni magari fai uno strappo alla regola del tour e non stravolgi i classici, no?
Neanche il tempo di rimuginare su questo concetto che la band al completo è di nuovo al suo posto per la terza parte dell'esibizione, quella elettrica. John E. Gee abbandona il contrabbasso e comincia a slappare il suo basso mentre Dane Clark si siede alla batteria completa e la brutalizza. Rain on the scarecrow lascia tutti stecchiti, con la sezione ritmica a sfondare lo sterno ai presenti. Non è da meno la ferocia con la quale è suonata Cramblin' down. Una doverosa Pink Houses ci accompagna all'acme di R.O.C.K. in the U.S.A. con tanto di ragazzotto (pescato chissà come tra tanti cinquanta/sessantenni) invitato sul palco ad intonare una strofa. Si è fatta mezzanotte, la band si ritira, lo stage, elettrizzato dall'ultima parte dello show, freme per i bis. Peccato che non arriveranno mai. I roadies cominciano a smontare e tra lo sconcerto generale ci si dirige un pò mestamente verso l'uscita.
Ripenso brevemente al live act e mi rendo conto che quello che non ha funzionato è stata la quasi assoluta assenza di empatia tra Mellencamp e il pubblico. Tutto è stato molto, troppo perfetto, eccessivamente pulito e professionale e forse un pò freddo, nessun fuori programma, nessuna "pazzia". E sì che la gente era davvero bendisposta. Centinaia di diversamente giovani spelacchiati ma con il codino, dalla boccia lucida bilanciata da un lungo pizzetto annodato da un elastico. Tutti eccitati al pensiero di aggiungere al loro puzzle di concerti la tessera mancante dell' uomo from Bloomington, Indiana. E invece...Invece ce ne siamo andati tutti con l'amaro in bocca, impressionati da un fugace accenno del potenziale della band ma poi abbandonati sul più bello. Come in un coito interrotto, altro che cumshot.
Anche io passavo di là e confermo tutto. Non che sia mai stata grande fan di Mellencamp ma mi aspettavo un pò più di simpatia. Invece, boh.
RispondiEliminaIl mio amico Ugo ha detto che anche i Black Crowes nella stessa location li hanno fatti iniziare e finire agli stessi orari, scelta dell'organizzatore...Ma allora perchè farci andare per le 20.30? Ci si poteva vedere lì dopo aver mangiato in trattoria...
Il film era una palla mostruosa comunque. Però l'hamburger era buono e bio...
Ma tu dov'eri Monty? Io tipo metà prato...
Ah, guarda qui...
RispondiEliminahttp://gamblin--ramblin.blogspot.com/
@anonimo:
RispondiEliminaIo ero lì a pianificare il momento
migliore per raggiungere le transenne
della prima fila.
Alla fine avevo deciso di farlo alla chiusura
del set in modo da essere ben piazzato
per i bis.
Come stratega non sono un granchè...
Sì, l'avevo addocchiato il blog di vites.