martedì 11 gennaio 2011

Moody's blues


Con il ritardo che oramai mi contraddistingue, ho terminato la visione della seconda stagione di Californication.



La prima considerazione che mi trovo a condividere è che non ti accorgi di quanto sei legato a questa produzione fino a quando non ti immergi di nuovo nelle vicende che ruotano attorno ad Hank Moody (un David Duchnovny a suo agio nella parte come Berlusconi ad una festa di conseguimento del diploma di maturità).
Ad incremetare ulteriormente l'affinità con il telefilm, ci si mettono i temi trattati. Rispetto alla prima stagione meno letteratura (Hank è uno scrittore), più industria del rock e business del porno. In pratica il massimo per un dinosauro onanista.



Moody si è appena riconciliato con Karen, la donna della sua vita che per tornare con lui è fuggita dall'altare durante la cerimonia nunziale (con un altro, ovviamente), ma le cose si complicano quasi subito. Il suo manager (lo strepitoso Evan Handler/Charlie Runkle) viene licenziato perchè ripreso a masturbarsi durante l'orario di lavoro e per una serie di circostanze, che comprendono una sbandata per un'attricetta hard emergente, si trova ad investire un ingente somma in un film pornografico. Ma senza alcun dubbio la new entry più riuscita di questa seconda tornata di episodi è Lew Ashsby (Callum Keith Rennie) re mida della produzione (hard) rock: una sorta di Rick Rubin perennemente strafatto e costantemente allupato, tanto eccessivo e perentorio nello stile di vita, quanto fragile nell'animo.



A partire dalle citazioni e dai giochi di parole nei titoli originali, per passare ai dialoghi, alle battute fulminanti, alle situazioni inverosimili spesso oltre i limiti tv della (s)correttezza sessuale, per finire al sapiente uso della musica ad accompagnare le immagini (chi non si commuove su Warren Zevon nell'ultimo episodio non è vivo) e nonostante qualche caduta di livello della sceneggiatura (il modo in cui vengono troncati i personaggi Ashsby e la ex-moglie è delittuoso), Californication si conferma come una delle serie più entusiasmanti in circolazione.

A questo giro gli autori si sono divertiti ad inserire una prima figura (Lew Ashsby, di nuovo) che sembra una parodia di Hank, o meglio una versione dello scrittore che, davanti ad un bivio temporale, abbia scelto di lasciarsi andare alla libido più sfrenata invece che continuare a cercare di convincere la donna della sua vita, nonchè madre di sua figlia, a tornare con lui ed una seconda, Damien,un quindicenne che di Moody sembra invece una versione agli albori.

Si vive di momenti nei quali la trama sembra davvero essere quella di un film porno, con ragazze bellissime che cadono letteralmente ai piedi di Hank, alternati ad altri nei quali Moody (o Lew) sembra incarnare il personaggio perfetto che tutti i maschietti vorrebbero essere (pigramente cool, irresistibile senza sforzo apparente, sarcastico, che vive della sua arte) mentre invece, nella realtà, siamo un pò tutti Charlie Runkle, come ricordava argutamente Ale.

Ma non solo. Californication è anche la più classica metafora del dito e della luna. Mentre mostra una vita per certi versi idilliaca fatta di allegra promiscuità e fellatio elargite a profusione, in realtà esalta il valore della monogamia o comunque della fedeltà ad un solo partner. Tutti i protagonisti della storia: Hank, Lew, Charlie e per certi versi anche Damien, il fidanzatinio di Becca, testimoniano che quando si trova quella/o giusta/o, lasciarla per spargere fluidi corporali in giro è un delitto che prevede la più atroce delle pene: una malcelata solitudine.


Tra poco attacco la terza, mentre è appena iniziata la quarta. Che dire ai non adepti? Siete sempre in tempo...

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