martedì 6 maggio 2008

Non sono un affamato di cronaca nera, di notizie truculente, di fatti agghiaccianti, ma nella lettura quotidiana a volte mi soffermo sulle notizie di questo genere. Ieri su Repubblica tre pagine sulla tragedia del padre-orco austriaco. A metà articolo mi ha preso un angoscia totale, gli occhi mi si sono riempiti di lacrime, faticavo a respirare. Sono rimasto in questo stato emotivo per alcuni istanti, l'unica cosa che volevo fare era tornare a casa e abbracciare mio figlio, stare con lui, proteggerlo.
Mi era successa la stessa cosa dopo aver letto le prime venti pagine di Dies Irae di Genna, ragione per cui l'avevo accantonato, e anche adesso che l'ho ripreso, mi ricapita ogni volta che l'autore milanese torna sul supplizio, a suo avviso provocato volutamente, di Alfredino Rampi.
Sono così da sempre, ma in particolar modo da quando sono diventato zio per la prima volta (e, beh sono già sedici anni),e naturalmente questa fragilità è amplificata ancora maggiormente con la paternità.
Quando vivi quotidianamente la fragilità dei bambini, i loro mille bisogni, le esigenze implicite di approvazione, la fiducia e la dipendenza che hanno negli adulti, e pensi a come queste esigenze vengano usate a volte per devastarli, vieni sommerso da un senso di rabbia che non trova sfogo, che diventa insostenibile.
Ma che cazzo di gente c'è a questo mondo?

2 commenti:

  1. Come sempre, condivido tutto quello che dici. Sia per come lo scrivi, sia per le emozioni che evochi.

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