lunedì 23 settembre 2024

Rebel Ridge



Un auto della polizia sperona un ciclista che, pedalando intensamente con la musica a palla nelle cuffie, non aveva sentito le sirene della volante  alle sue spalle. Il ciclista è afroamericano e immediatamente si percepisce il comportamento arrogante e intimidatorio dei due agenti che lo ammanettano all'istante e lo perquisiscono, eludendo con la minaccia i suoi diritti, e trovandogli addosso una grande quantità di denaro in contanti. 


Jeremy Saulnier mi aveva folgorato con due film straordinari dal passo diverso ma accumunati dall'appartenenza al miglior noir, Blue Ruin e Green room (entrambi recensiti qui). Successivamente avevo apprezzato con riserva anche Hold the dark, che aveva spostato l'azione dalla periferia americana ai ghiacci dell'Alaska. 
Mi sono pertanto immediatamente fiondato sulla sua ultima fatica, da poco disponibile su Netflix, questo Rebel Ridge. E niente, Saulnier si conferma un grande regista, sia per gli aspetti tecnici che per la direzione degli attori, soprattutto quando può concentrarsi: uno - sul thriller urbano ambientato ai margini delle megalopoli USA, due - quando lavora su propri soggetti e sceneggiature (non a caso Hold the dark, l'unico film che non rispetta questa regola, è anche il meno riuscito).

Rebel Ridge è un revenge movie che rompe gli schemi classici del prevedibile action muscolare americano. Per chi conosce un pò la filosofia di Saulnier (Blue ruin), questa non è una sorpresa, ma la modalità con cui il regista lascia credere allo spettatore che lo showdown tra il protagonista tiranneggiato (Terry/Aaron Pierre, che ha l'unico limite di essere irrealisticamente e illegalmente figo) e i suoi aguzzini (the chief/Don Johnson, che ormai nei ruoli da villain ha trovato una seconda vita) sia imminente per poi disinnescarlo una, due, tre volte  (la de-escalation che Don Johnson spiega a Aaron Pierre), è in questo senso esemplare.
Terry capisce perfettamente che nella vita reale, pur avendone l'addestramento, non puoi fare come Rambo e quindi accetta i patti e le mediazioni degli sbirri corrotti, rinunciando alla vendetta, fino a quando gli sciovinisti in divisa non commettono un fatale errore.
E in ogni caso anche la resa dei conti finale, spoilero, non è all'insegna dello sbudellamento  johnwickiniano

La pellicola, che nasce con diversi stop and go, dovuti alla rinuncia di alcuni attori inizialmente assegnati ai rispettivi ruoli (John Boyega su tutti), funziona e anche bene in tutti i suoi comparti. Aggiungo all'analisi fin qui fatta il commento sonoro all'opera, dall'inizio folgorante con in sottofondo Fear of the dark dei Maiden, alle partiture orchestrali che fanno la loro in quanto contributo alla già spessa coltre di ansia che ammanta il film, e i dialoghi, privi di qualunque posa machista, non a caso l'unica volta che Terry fa il ganassa con una frase ad effetto, poi chiede al malcapitato al suo fianco: "troppo teatrale?".

Come spesso succede a noi fanboy, da una parte vorremmo che tutti si avvedessero del talento di un regista in grado di realizzare noir realistici e strepitosi, dall'altra vorremmo tenerlo tutto per noi, temendo che col successo arrivino anche mega budget e sbracature. 
Al netto di tutte questa pippe mentali, chi ha a cuore il genere e il buon cinema, deve amare Jeremy Saulnier.


Netflix

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