lunedì 29 luglio 2024

Piggy (2022)




Sara, adolescente di una zona rurale della Spagna (Estremadura, al confine con il Portogallo) è costantemente bullizzata dalle coetanee per il suo aspetto fisico. Anche la sua amica d'infanzia, Claudia, pur non rendendosi direttamente responsabile degli atroci scherzi a cui è sottoposta Sara, non fa nulla per arginare le odiose iniziative di scherno delle amiche. Sara vive quindi una situazione di solitudine e angoscia e osserva i coetanei divertirsi dalla vetrata della macelleria di famiglia. Frequenta la piscina pubblica solo a pomeriggio inoltrato, quando gli altri se ne sono andati. Proprio in una di queste occasioni accadrà qualcosa che cambierà radicalmente la vita di Sara, delle sue aguzzine e dell'intera piccola comunità.

La regista Carlota Pereda estende un suo corto del 2018 trasportandoci nell'orrore più grande che possiamo conoscere. Non quello di un assassino violento e spietato, ma della discriminazione quotidiana, ottusa, inspiegabile e interminabile che si riversa su quanti non corrispondano ai canoni consumistico-sociali di bellezza. L'orrore insomma di una vita che si alimenta quotidianamente di derisione e risentimento, di un'autostima falcidiata e di una percezione di totale incomprensione a partire, purtroppo, dal nucleo familiare, lontano e assente, anche se fisicamente vicinissimo.

La protagonista, Laura Galàn, all'anagrafe trentottenne, è straordinaria nel dare corpo ad un'adolescente e, francamente, le critiche sull'età dell'attrice, magari espresse da chi, per anni, si è bevuto universitari americani interpretati da trentenni, fanno ridere. Della perfidia delle coetanee che riversano, quotidianamente e senza ragione, rabbia e odio nei confronti di Sara, con esiti che, da queste parti sono sovente il suicidio della vittima e negli States stragi scolastiche, sono piene le cronache. E la figura del serial killer che, probabilmente avendo subito lo stesso inferno della vittima, trova uno scopo non solo nella mattanza ma nella protezione di chi, ai suoi occhi, appare come un suo simile, è l'incarnazione di una sorta di giustizia poetica che tiene benissimo in piedi il film, al netto degli inciampi della parte di sceneggiatura prettamente thriller.

Ma sarebbe davvero sbagliato, nei confronti di un'opera che ha un obiettivo di denuncia in piena luce,  che cioè usa il genere (come si faceva nei tempi buoni del cinema!) per fare emergere una diffusa condizione sociologica amplificata dai social, criticare l'inverosimiglianza dell'agire del killer rispetto alla luna indicata dal dito e alle meravigliose sequenze di empatia tra i due protagonisti. 
L'opera della Pereda spiega insomma molto bene come, a volte, nella società dell'individualismo, l'orrore sia perpetrato dai normali e la compassione, al contrario, sia appannaggio dei mostri.



P.S. Quanto ci sarebbe stato bene, ad accompagnare le immagini del terzo atto del film, il nichilismo di un brano come Piggy, dei Nine Inch Nails?

P.P.S. Allo stesso modo, quanto è fuori luogo il claim della locandina italiana?


Su Prime Video (a noleggio)

martedì 23 luglio 2024

Sierra Ferrell, Trail of flowers


No, non è esattamente una novellina Sierra Ferrell. E' più vicina ai quaranta che ai trenta e prima di emergere si è sbattuta in giro con la sua musica per metà della sua vita. Lo preciso perchè, nella mia scala di valori, essere una che si è fatta una lunga gavetta, rispetto a tante chicks di bella presenza alle quali l'industria country di Nashville si capicolla a proporre un contratto, è decisamente rilevante. Sierra è nativa della West Virginia e si fa le ossa con tutta la old time music priva del prefisso "pop". True-country, bluegrass, ma anche dixieland-jazz e irish-waltz. Dopo due dischi autoprodotti, finalmente nel 2021 l'eccellente Rounder Records la assolda e Ferrell può fare uscire il suo debutto, Long time coming, ottimamente accolto da critica e appassionati di true country, che genera col tempo un grande hype per il successore, uscito lo scorso 22 marzo col titolo di Trail of flowers.

L'album è stato anticipato dal singolo Fox hunt che salda, se ce ne fosse stato ulteriormente bisogno, il forte legame di Sierra con il suo territorio, un pezzo che profuma di monti appalachi, condotto dal ritmo dei violini e dai cori evocativi dei nativi americani Cherokee. Un singolo atipico, non rilasciato certo per piacere alle masse (altro punto messo a segno nella mia considerazione), nonostante nell'album, di canzoni belle e potenzialmente performanti ce ne sia più d'una . A partire dall'open-track American dreaming, adagiata su di un testo in cui la songwriter racconta della difficoltà di raggiungere prima e gestire poi la notorietà. Una melodia irresistibile su parole che raccontano vita vissuta.

Trail of flowers brilla infatti, oltre che per le composizioni musicali, per liriche poetiche e personali. Persino io che, quantomeno, non sono alla ricerca spasmodica di pezzi che abbiano a tema l'amore (o l'abbandono) mi sono sciolto peggio che in questi giorni torridi di luglio inoltrato davanti a tracce celestiali come The letter, Why haven't you loved me yet, Lighthouse o la malinconica, arrendevole Wish you well ("Nothing could prepare me for the joy you took from me / Stole away the person that I was when I was free / Learnin' how to tell those lonesome feelin's not to dwell / Though you've hurt me, I still wish you well").

Anche se, assieme a Fox hunt, le mie preferenze vanno in assoluto alla cover di Chittlincookin' time in Cheatham County, traditional di Arthur Smith, qui riproposto da Ferrell in una versione soffice e sinuosa, in perfetto clima da jazz bar di New Orleans, e la murder ballad su basi vagamente irish-tango (questa me la sono inventata, ma spero renda l'idea) di Rosemary.

E' presto per sbilanciarsi sul disco dell'anno, ma concedetemi di definirlo quantomeno il (mio) disco dell'estate. Alla faccia dei The Kolors.

martedì 16 luglio 2024

Stevie Van Zandt, Memoir - La mia odissea, tra rock e passioni non corrisposte

 


Se pensiamo alla figura di un comprimario del grande circo del rock che sia "fedele nei secoli" al mitologico frontman, probabilmente il primo nome che ci balenerebbe in mente è quello del chitarrista del New Jersey nato Steven Lento, e poi, nel tempo, diventato Stevie Van Zandt, alias Miami Stevie, alias Little Steven. Il suo ghigno malizioso con il labbro inferiore sporgente, gli occhi insinuanti e la costante bandana colorata, nell'immaginario collettivo sembra trovi posto solo accanto a Bruce Springsteen, sui palchi di tutto il mondo. Giusto?

Sbagliato. Innanzitutto perchè la storia ci racconta di una lunga separazione tra i due, i quasi vent'anni trascorsi dal tour di The River (1980/81) alla reunion della E Street Band (1999), e, soprattutto, perchè Little Steven, in quel periodo ha fatto di tutto eccetto starsene con le mani in mano. 

Personalmente non mi serviva un'autobiografia per scoprire che Stevie ha sempre avuto molto da dire in campo musicale. Questo perchè ho seguito assiduamente le sue produzioni e i suoi concerti (memorabile quello al Rolling Stone di Milano, nel 1987) per tutti gli anni ottanta. Conoscevo anche, ed era una delle ragioni in più per cui lo apprezzavo, il suo forte impegno politico anti establishment repubblicano, contro l'imperialismo americano che si è manifestato per lungo tempo attraverso golpe telecomandati e brutalità delle multinazionali in America Latina, l'avversità alla presidenza Reagan, le iniziative a favore dei nativi americani. 
Se a ciò aggiungiamo i Soprano, già così ci sarebbe stato sufficiente materiale per scrivere due libri. In realtà dentro questa autobiografia c'è molto, molto di più, al punto che mi ha folgorato al pari delle migliori tre quattro lette nella mia vita. E ti assicuro che, essendo una mia peculiare passione, ne ho lette a pacchi.

Sì, perchè Stevie racconta di una vita con poco sesso e droga, parecchio rock and roll ma, soprattutto, un'infinita voglia di esplorare, intraprendere, incidere sulle cose, cambiarle, raddrizzare ingiustizie, che siano l'esclusione di un misconosciuto gruppo anni sessanta dalla notorietà fino all'apartheid. 

Proprio l'ambito di quell'abominio razziale del Sudafrica rappresenta forse la parte più avventurosa (per l'incolumità del nostro) ed avvincente del libro. Col senno di poi, quel fantastico progetto sfociato nel supergruppo Arists United Against Apartheid fu l'unico, nell'imperante moda delle canzoni benefiche (ricordate Do they know it's christmas e We are the world?), a raggiungere un obiettivo concreto, oltre che di emersione del problema. 

Per la canzone manifesto Sun City, testardamente e contro tutti, Stevie contaminò artisti diversissimi tra loro, raggruppando Miles Davis e Bono, Bruce e i Run DMC, Bob Dylan e George Clinton, Herbie Hankock, Joey Ramone, Peter Gabriel, Lou Reed e tanti, tanti altri. Il brano provocò un movimento d'opinione che si abbattè anche contro lo stesso music business (fino a quel momento più di un artista, ad esempio Sinatra e i Queen, andava serenamente a suonare a Sun City fregandosene della condizione della popolazione nera), contribuendo fortemente a fare opinione fino alla caduta del regime e alla liberazione di Mandela (a proposito del quale Stevie riporta giudizi al vetriolo su Paul Simon - peraltro detestato dai gruppi politici sudafricani che si opponevano alla dittatura afrikaner - , che riteneva il leader africano un pericoloso comunista e Whitney Houston, che in un concerto di tributo per la liberazione di Mandela non volle nessun riferimento politico alla sua esibizione. Entrambi passarono poi per paladini della liberazione del Paese africano, ma vabeh).

C'è poi il suo impegno nel veicolare e tributare il giusto riconoscimento a quello che ritiene essere il periodo di "rinascimento" della musica, i cinquanta e i sessanta, le trasmissioni radiofoniche e televisive a tema rock/pop di qualità, la sua etichetta discografica (la Wicked Cool Records, ancora in attività), il ritorno negli anni dieci in sala di registrazione e in tour, il recupero di artisti dimenticati, insomma, le mille imprese quasi sempre rischiate di tasca propria che l'hanno ridotto in costante perdita finanziaria, col suo ultimo obiettivo dichiarato, ironico ma fino a un certo punto, di andare almeno in pari prima di morire.  
Una condizione che Steve riassume così: "La maggior parte dei progetti che ho fatto non si sono mai avverati e la maggior parte di ciò che ho realizzato è rimasto praticamente invisibile (...)". 

E volendo, non è finita qui, c'è il rapporto fraterno con Springsteen, le produzioni televisive (I Soprano, Lilyhammer), le turnè nell'amata Europa, il suo ruolo di consulente e mediatore ad ampio spettro (cinema, televisione, musica). 

Una vera sorpresa insomma, questo Memoir, consigliata a musicofili, cinefili, appassionati di politica e curiosi della vita tout court.

lunedì 8 luglio 2024

The longest nite (1998)



Mentre Hong Kong si prepara all'handover (il passaggio da colonia del Regno Unito alla Cina), la regione di Macao vive una fase delicata dei rapporti tra le organizzazioni malavitose. C'è una taglia da cinque milioni sulla testa dei due boss locali che fa gola a molti killer dentro e fuori il territorio e, soprattutto, nessuno conosce chi abbia attivato questa ricompensa. Il poliziotto violento e corrotto Sam e il misterioso Tony si fronteggiano nella notte decisiva per evitare (o scatenare) una sanguinosa guerra tra bande.

Film realizzato a basso costo, girato in pochi giorni e utilizzando una manciata di location, The longest nite è davvero un gioiello noir, violento, spietato e senza possibilità alcuna di redenzione per i suoi protagonisti. Il regista accreditato è Patrick Yao, della factory Milky Way del grande Johnnie To (una miriade di film leggendari come Election 1 e 2, Breaking news, Vendicami, PTU, Drug war) che, col tempo, si è appropriato della pellicola, sostenendo che l'apporto di Yao è stato insignificante, se non controproducente. 
Ciò premesso, che siano state la tensione tra gli autori o le ristrettezze economiche ad aver messo ulteriore carburante alla macchina produttiva del film, il risultato è stupefacente, teso, feroce e nerissimo, con alcune sequenze memorabili, come l'inseguimento tra le due auto su corsie parallele divise da file di palazzi, la soluzione individuata da Tony per liberarsi del poliziotto che dovrebbe scortarlo fuori da Macao, o il tributo alla famosa scena finale de  La signora di Shangai di Orson Welles.
Non manca, come di regola nel cinema di genere asiatico, la denuncia sociale della condizione di povertà della maggior parte della popolazione, di una polizia corrotta e violenta che non ha ostacoli nella sua opera di coercizione e prepotenza, di tutta una fascia di criminali di basso rango che sono carne da cannone.

I due protagonisti principali, Tony Leung Chiu-Wai (tra gli altri Hard boiled, Chinese odyssey, Infernal affair) e Sean Lau, attori molto noti in patria, prima di questo film non avevano prestato la loro arte a personaggi negativi che si spingono oltre la figura dell'anti-eroe, laddove le loro azioni di eroico non hanno davvero nulla e anzi.

Grandi atmosfere notturne, una tensione costante, violenza e ralenty da scuola del cinema (honkongese). 
Mancavo da un pò dal noir asiatico e recuperarlo è stata una quanto mai necessaria e salutare boccata d'ossigeno 

lunedì 1 luglio 2024

My Favorite Things, Maggio Giugno 2024

ASCOLTI

Lankum, False lankum
Slash, Orgy of the damned
Billie Eilish, Hit me hard and soft
Pet Shop Boys, Nonetheless
Zakk Sabbath, Doomed forever forever doomed
Sonic Universe, It is what it is
AAVV, Petty Country - A country music celebration of Tom Petty
Johnny Cash, Songwriter
Gatecreeper, Dark superstition
The Mavericks, Moon & stars
Pearl Jam, Dark  matter
Job for a cowboy, Moon healer
Slash, Orgy of the damned

Monografie

Little Steven
Zakk Wylde
Iggy Pop 2009/2019



VISIONI

Unknown - Senza identità (2,25/5)
Kill Boksoon (3/5) 
Rambo III
(1/5)
Nebraska (4/5)
Il fornaio (2,25/5)
Palazzina LAF (3,75/5)
Road House (1,5/5)
L'altra verità (2010) (2,5/5)
Vivarium (3,5/5)
La rosa purporea del Cairo (3,5/5)
Il giorno della civetta (3,5/5)
Adrenalina (1996) (3/5)
Enea (2,75/5)
Furiosa: A Mad Max saga (3,5/5)
La parola ai giurati (1997) (3,5/5)
The company men (1/5)
La signora scompare (1938) (3,5/5)
Per la pelle di un polizotto (2,5/5)
November - I cinque giorni dopo il Bataclan (2,75/5)
Holy spider (3,75/5)
All cheerleaders die (2,5/5)
La stanza degli omicidi (2,25/5)
Le vite degli altri (3/5)
Twixt (3,5/5)
The bikeriders (2,75/5)
La chimera (3/5)

Visioni seriali

The offer (3/5)
Il re (2,75/5)

LETTURE

Little Steven, Memoir
Jim Thompson, Bad boy