lunedì 22 aprile 2024

George Simenon, L'uomo che guardava passare i treni (1938)



Kees Popinga, impiegato e contabile di un'azienda navale di Groningen, riceve dal suo datore di lavoro una notizia ferale: la ditta è in bancarotta e il suo capo gli anticipa che si darà alla fuga per godersi i soldi trafugati nel corso degli anni. Lo stesso Popinga, che da contabile non si era mai accorto di nulla, oltre a restare disoccupato rischia di andare a processo, ed è pressochè certo che perderà la sua bella casa, oltre che il rispetto della famiglia. Dopo una notte insonne, l'uomo decide come reagire.


Una volta entrati nella grammatica simenoniana si perde un pò dello stupore delle prime volte (ma non accade anche per altre forme d'arte, la musica soprattutto?), in particolare relativamente alla modernità degli accadimenti dei suoi romanzi: il realismo, la violenza, il desiderio che esplode improvviso, violento, ottuso, inarrestabile. Il caso che cambia le esistenze. E pur tuttavia, anche senza quel fanciullesco senso di sorpresa nel leggere roba di settanta, ottanta anni fa così sovrapponibile ai nostri tempi, resta comunque la spirale irresistibile in cui ti intrappola lo scrittore belga che si conferma comunque fenomenale nella consapevolezza di quali corde toccare, soprattutto nei riguardi del medio borghese e della sua illusione che casa, moglie e figli, essendo i requisiti indispensabili a soddisfare le convenzioni sociali (ora come allora), possano anche dare compiutezza e felicità.

E invece, analogamente al personaggio di Lettera al mio giudice, anche a Kees Popinga, protagonista de L'uomo che guardava passare i treni, accade qualcosa che, imprevedibilmente e in maniera repentina, gli rivoluziona la vita, con effetti che vanno ben oltre la mera causa. Se nell'altro romanzo era la conoscenza di una donna, qui è il fallimento del datore di lavoro di Popinga a provocare un'escalation che salda assieme desideri repressi e fuga, crimini ed ingenuità del grigio impiegato.

I compagni di viaggio che Kees troverà sulla sua strada di fuggiasco e clandestino sono tracciati da Simenon senza una netta dicotomia. Dalla parte dei reietti della società (malviventi, prostitute e imbroglioni) l'ex impiegato trova sia aiuto che fregature, nella polizia che lo insegue più incompetenti che segugi, dalla stampa (come nel caso di Lettera al mio giudice) banalità ed irritanti semplificazioni in merito ai suoi atti.

Fin qui, senza aver mai letto nulla di Maigret, i noir psicologici di Simenon non mi hanno mai deluso ne lasciato indifferente. L'uomo che guardava passare i treni rispetta in pieno la regola.

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