lunedì 19 febbraio 2024

John Mellencamp, Orpheus descending (2023)

 


Album numero venticinque per uno dei beniamini di Bottle of Smoke. Chiedo scusa in anticipo se mi perdo spesso in paralleli tra artisti accumunati da un'affinità stilistico/anagrafica, tuttavia anche in questo caso, in premessa, mi piace ribadire quanto apprezzi la scelta coerente dell'artista di "accettare" serenamente il peso degli anni (John è del '51) e pertanto di smarcarsi dalle pose da rock mainstream che lo avevano a lungo caratterizzato a partire dagli ottanta. C'è peraltro da sottolineare come questo processo di maturazione sia in atto da tempo, ma è negli ultimi due tre lustri che ha raggiunto una stabilità per conto mio davvero apprezzabile. 

Certo, detto della condivisione in relazione alla direzione artistica assunta (l'opposto di Springsteen, non si fosse capito) poi ci devono comunque essere i contenuti. Come per i film, il messaggio è importante ma la messa a terra dell'opera necessita anche di altro. Ed è proprio questo il caso di specie, il difetto in cui a volte cade Mellencamp, per fortuna, in questo disco, solo per una manciata di canzoni. 
Orpheus descending si apre, se vogliamo, anche con una modalità coraggiosa, in questi tempi trumpiani e di dittatura dello "skip" facile, sparare subito tre composizioni che vanno dritto per dritto contro la situazione sociale americana: la povertà diffusa, l'ascensore sociale inesistente, l'assenza di possibilità concrete nella "land of opportunity", può non essere esattamente popolare. Quindi voto dieci al messaggio, molto meno alle leve usate per veicolarlo (testi e musica) che appaiono, ad esempio per The eyes of Portland un pò troppo paternalistiche, quasi fossero le analisi fatte da un borghese che esce sconvolto da un giro nei bassifondi. Questo, sia chiaro, senza voler mettere in dubbio l'onestà intellettuale e l'autentico afflato sociale di JM, che di questi temi canta da Pink houses, del 1983.

Ma, e qui sta la buona notizia, l'album cresce, e molto, addentrandosi nella tracklist, se fosse un vinile direi in coincidenza con il lato B, aperto dalla title track. Da quel momento inizia un'altra e ben più convincente storia. Orpheus descending è un grande pezzo stonesiano, ruvido e graffiante, a seguire Understated reverence, forse l'unica ballata solo voce, piano e violino mai registrata dall'artista, è qualcosa di abbagliante, tanto celebra la "nuova" voce sofferta, rauca, notturna dell'autore di Lonesome Jubilee
Lightning and luck salda il nuovo Mellencamp con il vecchio, mettendo assieme un refrain identitario con l'attuale approccio rilassato, mentre Perfect world (omaggio di Springsteen) evita i clichè del Bruce a corto di idee degli ultimi lustri, risultando anch'essa più che positiva.

Un disco buono, a tratti ottimo, le cui atmosfere evocative ed affascinanti devono molto alla mai troppo celebrata Lisa Germano e al suo incantevole violino. 


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