lunedì 13 dicembre 2021

Bob Wayne, Rogue (2021)

Non siamo dalle parti dello stallo di Hank 3, praticamente scomparso da produzione discografica, concerti, vita pubblica e social  dal 2013, ma insomma, per uno come Bob Wayne, che dal 2006 al 2017 aveva pubblicato nove dischi in dieci anni ed è stato costantemente in tour, una iato di quattro anni dall'ultimo Bad hombre è comunque significativa. 

Ricordiamo per chi si fosse sintonizzato solo ora sul blog il profilo del personaggio (tutti i post a lui dedicati sono taggati a destra e in calce a questa recensione), che vive in un camper, ha sposato in pieno la causa hobo/outlaw country, si guadagna da vivere con show e merchandise (del tipo abbastanza reazionario - se volete farvi un'idea... - ), girava con Hank 3 e tra i vari tatuaggi ne ha sul braccio uno bello grosso dei mitologici Neurosis (anche qui, per chi vivesse sulla luna, non fanno country ma metal estremo). L'ho visto una volta dal vivo poco meno di una decina di anni fa, e, data la location a misura d'uomo, ho avuto modo di scambiarci due parole, ricavandone l'impressione di un tizio affabile, ma da non far incazzare. 

Torniamo a bomba, Scrivevo di quanto sia significativo l'orizzonte temporale trascorso dall'ultima release. E' molto significativo anche il mood scelto per il comeback dopo tutto questo tempo: atmosfere scarne su di un sound quasi completamente realizzato da voce e chitarra, testi nei quali caciara e goliardia sono sostituite da temi malinconici, tesi e drammatici. Insomma, fate le debite proporzioni, Bob Wayne ha realizzato il suo personale "Nebraska".

Non si scandalizzino gli sprigsteeniani (pericolosissima categoria della quale faccio parte) nel vedere accostato un capolavoro scolpito nel tempo ad una nuova e misconosciuta opera, perchè brani come la title track che apre il lavoro, Promise land, Daddy, Painpill Kentucky e, soprattutto, Killin' (per chi scrive non solo la migliore del lotto ma anche nella top five assoluta delle canzoni di Wayne), con le loro fotografie sporche di esistenze alla deriva, promesse tradite, rapporti difficili padre-figlio, disillusioni e abbandoni hanno piena dignità di richiamare la poetica dello Springsteen più intimista e sociale. Poi certo, Bob Wayne (ma come del resto Johnny Cash, per tirare un'altra bestemmia di paragone), oltre ad essere un debosciato, ha tutt'altra sensibilità politica rispetto al democratico Boss, per cui la cazzata della ode allo spacciatore che vende droga per mantenere la famiglia (Eu rezo), perlomeno nei termini in cui è scritta, lo allontana irrimediabilmente da ogni nobile paragone. 
La seconda parte del disco si scuote un pò di dosso le atmosfere plumbee (ma estremamente suggestive) della prima, aggiunge qua e là qualche abbellimento strumentale, ripropone uno dei tormentoni del repertorio di Bob (Mack) fino alla chiusura di Heard it all before, dove l'artista riprende la sua vena scanzonata e ironica.

Con Rogue Bob Wayne regala senza dubbio al suo pubblico un disco maturo, una delle sue opere migliori di sempre (i primi cinque pezzi acustici sono un apice creativo), smettendo la maschera dell'irriverenza e rivelandosi finalmente artista compiuto.

A primavera sarà in Italia.

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