giovedì 23 dicembre 2021

Blood Incantation, Hidden history of the human race (2019)

Americani di Denver, i Blood Incantation, nonostante una discografia non certo folta (due album in dieci anni di carriera) hanno avuto la capacità di intercettare i favori unanimi della critica, sia quella propriamente metal, che quella, più esigente, indie rock. Gia il debutto Starspawn, del 2016, era stato notevolmente attenzionato, ma è senza dubbio il successivo Hidden history of the human race, di tre anni più vecchio, ad aver definitivamente messo la band sotto i riflettori. 

La differenza tra i due lavori parte dalla copertina, che, non fosse per lo stile grafico del monicker che rientra nel classicissimo modus del black, sembrerebbe orientare più al prog-rock che ai generi estremi del metal, di norma rappresentati da copertine con soggetti un pelo più espliciti. Premendo play sul lettore sembra però che la band faccia una finta a sinistra (la cover spiazzante) per poi andare via (come da tradizione) a destra sbattendoci in faccia, con Slaves species of the gods, un indiscutibile, chiarissimo, coinvolgente pezzo death. Come a dire: questo siamo e questo facciamo. La successiva The giza power plant va nella stessa direzione, ma con la differenza di un lavoro di riffing chitarristico che emerge in maniera ancora più nitida, dimostrando come i BI abbiano lavorato sulla produzione per ottenere sì un'apocalissi sonora, ma dalla quale si possa apprezzare la tecnica di ogni componente e quindi sorridendo al technical-death. Le suggestioni della copertina si coniugano finalmente con il contenuto del disco dalla traccia tre, la strumentale Inner paths (to outer space), perfetta colonna sonora per un'ipotetica pellicola di fantascienza, dove psichedelia, atmosfere ansiogene, chitarre pulite, doppia cassa e progressive si coniugano in maniera (fino a quel punto del lavoro) insospettabile. Ma forse tutto quanto fin qui ascoltato è semplicemente preparatorio del gran finale, il colossale Awakening from the dream of existence to the multidimensional nature of our reality (Mirror of the soul), che in diciotto minuti mette in mostra molte delle influenze dei Blood Incantation, tra cavalcate death, rallentamenti, passaggi doom e metal eighties, a chiosa di un'opera che non può lasciare in alcun modo indifferenti e che crea grandi aspettative per il futuro della band.

Le radici e le ali del nuovo metal.

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