lunedì 30 agosto 2021

Rev. Peyton's Big Damn Band, Dance songs for hard times


Fate un esperimento. Ascoltate The Reverend Peyton's Big Band e poi provate ad indovinare di quanti elementi si compone la band e quali siano gli strumenti utilizzati. Personalmente sono rimasto basito nello scoprire che gli elementi sono tre e gli strumenti tutti legati al passato, ad una musica rurale ma viva e scalciante. 

Parto da qui per scrivere di questa vera e propria fulminazione musicale che mi ha colpito (non certo senza ritardo, visto che la band è in attività da più di quindici anni) perchè se la musica di Dance songs for hard times, undicesimo album in discografia, è clamorosa, lo stesso si può dire per il backgrounds dei singoli componenti e della loro radicale scelta stilistica. Partiamo dal Reverendo J. Peyton, il leader e frontman, che utilizza solo chitarre particolari, originali o repliche degli anni trenta, ma non disdegna di dedicarsi ad una scatola di sigari adattata a strumento a corde. La moglie Breezy Peyton suona il washboard con impeto punk, indossando guanti da lavoro e ditali. Il batterista Max Senteney (per un periodo dietro le pelli sedeva il fratello del Reverendo) picchia invece su un piccolo set di batteria, "arricchito" da un secchio di plastica. Detta così la Big Damn Band sembrerebbe un'accozzaglia di eccentrici freak, e allora torniamo alla domanda di apertura di questo post. Provate ad ascoltarli!

Si può iniziare come ho fatto io con il loro ultimo lavoro, Dance songs for hard times, undici pezzi nei quali il trio svernicia allegramente la musica dei loro nonni del sud con undici pezzi originali, passando con disinvoltura, ma con enorme gusto e capacità di realizzare melodie irresistibili, dal blues del delta (No tellin', when) al rockabilly stile Blasters (Too cool to dance) al più classico soul/rhythm and blues (Dirty hustlin') al rocchettone (che una volta sarebbe stato mainstream) di Sad songs
Ma se questa band da duecentocinquanta concerti l'anno ha un riferimento "spirituale" , egli è da ricercare nella figura del maestro studente Ry Cooder, la cui influenza permea, a mio avviso, tutto l'album, emergendo distintamente in un pezzo come Crime to be poor.

Disco imperdibile per gli amanti della musica old time americana, se ne avessi l'autorevolezza lo piazzerei di certo tra i migliori del 2021.


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