lunedì 26 luglio 2021

Downtown Boys; Full communism (LP, 2017) e L'internationale (EP, 2020)


I Downtown Boys sono una punk band americana di Providence, Rhode Island, attiva da una decina d'anni. Nonostante una certa notorietà conquistata a metà anni dieci, personalmente li ho scoperti grazie alla colonna sonora di Miss Marx  della nostra Susanna Nicchiarelli (film consigliatissimo, al pari del precedente Nico, 1988). 
Dietro la produzione del nome tutelare Guy Picciotto dei Fugazi, il leader e fondatore Joey DeFrancesco, attivista sindacale (qui potete vedere il video delle sue geniali dimissioni da un hotel che trattava crudelmente i propri dipendenti,  consegnate con l'accompagnamento di un'intera brass band) e militante convinto per le cause ambientaliste, sociali e anti-sistema, rilancia il genere angry protest songs  dentro la sua cornice più naturale, che, a mio avviso, assieme al folk, resta quella punk. 
La band oltre agli strumenti tradizionali del genere utilizza strutturalmente il sax, e si avvale della grinta vocale della singer Victoria Ruiz (ex collega di Joey nello stesso hotel di cui sopra) su testi che, oltre all'inglese, utilizzano disinvoltamente lo spagnolo. 

Il titolo del loro primo full-lenght, oggetto di questo post, esprime inequivocabilmente l'orientamento politico del gruppo, oltre a rappresentare una provocazione, magari banale per il nostro Paese, ma sempre pericolosa per l'establishment USA, al punto che non mi stupirebbe se qualche agenzia federale avesse già aperto un dossier sui cinque. Tuttavia, pur crogiolandomi nella vicinanza politica alle idee di questi ragazzi, per "start a fire" (citazione non casuale, come vedremo) serve la scintilla del connubio con l'espressione artistica della band. Per fortuna, anche qui, bingo. I dieci pezzi (più una bonus track) per venticinque minuti di durata che compongono Full comunism sono il classico tuffo agostiano dagli scogli nell'acqua gelida: trattieni il fiato, vai sotto, e quando emergi ti senti da dio. Si parte con Wave of history (commento sonoro ad una sequenza indimenticabile di Miss Marx), che mette subito in chiaro le cose e poi giù a rotta di collo con 100% Inheritance tax; Tall boys; Break a few eggs; Monstro; Future police, fino a raggiungere appunto la bonus track, cover di un brano che nasce originariamente come riflessione malinconica sull'emarginazione ma che poi diventa una mega-hit pop. Qui la commiserazione lascia il campo alla ribellione ad una condizione di subalternità sociale ed esplode in tutta la sua grezza rabbia. La canzone è Dancing in the dark di Bruce Springsteen. 

Ma Joey e i ragazzi devono avere una certa vocazione ai guai. Infatti, non contenti di aver dato cotanto titolo ad un disco americano, realizzano, nel 2020 un EP contenente tre versioni dell'epocale inno socialista (in Italia usato anche dal P.C.I.) L'internationale. L'operazione sembra quasi goliardica, infatti il tema viene proposto nelle versioni disco mix; punk mix e ambient mix, intanto però questa composizione, questo inno dei lavoratori di tutto il mondo, che a me commuoverebbe anche se fosse suonata facendo le pernacchie con la mano sotto l'ascella, torna centocinquanta anni dopo la sua prima esecuzione. 

Sarà che ormai mi accontento di poco, ma tanto mi basta, in una fase storica nella quale sono sopiti gli idealismi del novecento, a favore di un capitalismo che gode di una salute di ferro.







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