lunedì 21 dicembre 2020

Raven, Metal City

 


Quattordicesimo album per i pionieri della NWOBHM, più che nobili "defenders of the faith" (come vengono chiamati gli artisti che portano avanti il registro dell'heavy metal classico) veri e propri operai del metal, che continuano coi loro tempi - negli anni zero due dischi a decennio - a divulgare la loro musica, ad oltre quarantacinque anni dalla loro formazione, avvenuta a Newcaslte nel 1974. La band è creatura dei due fratelli Gallagher (no, non Liam e Noel): John - basso e voce - e Mark - chitarra - , e, a completare il trio alla batteria, dal 2017 troviamo l'ottimo (e trasversale a qualunque genere) Mike Heller. 

Metal City arriva a cinque anni dal precedente ExtermiNation, ma, sopratutto, a livello personale, arriva dopo aver scoperto il trio dal vivo nel 2017, a supporto dei Saxon, ed essermene innamorato. Dieci tracce per meno di quaranta minuti di durata di puro Raven style eseguito alla massima potenza, con un bel colpo di spugna alla carta d'identità degli ultrasessantenni Gallagher. E' superfluo, per chi conosce i Raven, chiarire che la tracklist è una frustata, tradotto: non cercate ballate qui dentro. I brani stanno tutti sotto i quattro minuti, ad eccezione della conclusiva, doomeggiante, When worlds collide, che supera i sei. The power apre invece il lavoro, tracciando congruamente le coordinate di uno stile costruito su un tappeto disumano di batteria, la chitarra di Mark e il cantato di John, qua e là punteggiato dai suoi inconfondibili e desueti acuti in falsetto (in effetti credo sia rimasto l'unico a farli). Tanti (tutti?) i pezzi sui cui scatenare l'inferno dell'headbanging: Human race, la title track, Battlescarred, Motorheadin' (indovinate dedicata a chi). 

I Raven si confermano insomma, ancora una volta una garanzia. Fuori dalle mode, dagli schemi, dal marketing e (purtroppo) dal successo commerciale, ma amati alla follia da un manipolo di nostalgici, tengono proletariamente alta la fede del vero metallo.

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