lunedì 14 settembre 2020

Fine dei giochi per la generazione Compact Disc

Avessi scritto questo post una decina d'anni fa, sarei senza dubbio stato più perentoriamente adolescenziale, indignandomi sul merito della questione come se fosse un tema da cui dipendessero le sorti del mondo intero.
La disillusione di oggi porta con sè la consapevolezza che la società (in tutti i suoi aspetti) sta andando da tutt'altra parte e che non sempre è così figo crogiolarsi nella nicchia di minoranza.
L'argomento è presto detto: sembrerebbe essere giunta ad una data certa la fine della produzione dei supporti fisici per la riproduzione audio, in soldoni i compact disc.
Dopo tanto parlare del sorpasso della musica liquida su quella solida, ecco dunque che ci siamo. Dopo il 2022 (pare) non si produrranno più i dischetti di plastica, un compleanno/funerale a quarant'anni di età dalla nascita di questo supporto, a suo tempo rivoluzionario.
Curiosamente, ma nemmeno tanto, a dare propulsione a questa svolta sarà il commercio non della musica (o dei film), ma dei videogiochi. La PS5, nuova consolle di casa Sony, infatti, verrà commercializzata entro l'anno in due versioni: con o senza disco, questa opzione ovviamente prevederà unicamente la possibilità di scaricare i giochi attraverso il negozio virtuale Sony.
Perchè sostengo che questo evento darà l'abbrivio all'operazione stop-CD? Perchè nei consumatori delle cento milioni di playstation vendute (dato relativo alla PS4) stanno buona parte dei giovani che impongono i trend alle aziende, e che già oggi usano le piattaforme per ascoltare musica o guardare serie (soprattutto) e film.

Sulla mia relazione amorosa con il compact disc mi ero già dilungato in questo post, e oggi lo riscriverei esattamente allo stesso modo, per cui sorvoliamo sulla mia personale liason con un pezzo di plastica col buco in mezzo, anche perchè, nel dibattito tra "liquido" e "fisico", mi sono sentito addirittura rimproverare di essere "borghese", in quanto legato al possesso dell'oggetto, laddove invece lo streaming sarebbe proletario, perchè mette a disposizione tutto a tutti.
Vorrei invece porre l'attenzione su un altro aspetto dell'utilizzo che soprattutto i giovanissimi fanno della musica delle piattaforme in streaming, ed è quella dell'ascolto esclusivo dei singoli brani o delle playlist di un determinato genere, a danno dell'ascolto dell'opera-album, quella sì destinata a restare un'abitudine per dinosauri. 
Non una tendenza inedita, se si pensa che dall'avvento del rock and roll (che per comodità collochiamo con il 1956, anno di uscita del disco di Presley, Elvis 1956, ben sapendo che il germe della nascita del genere è antecedente a quella data) alla metà dei sessanta circa, il formato singolo (il 45 giri) era la modalità più diffusa, attraverso la radio, di approccio alla musica popolare, resta però il fatto che oggi, questa è sicuramente una dinamica più usa e getta rispetto al passato e al successivo approfondimento di un singolo album, nel quale continuavamo a trovare spunti nuovi anche a mesi di distanza dal primo ascolto.

Ma va bene così, non è una guerra di religione. D'altro canto oggi, rispetto al passato, sono tante (troppe?) le distrazioni (videogiochi, serie tv con annesso binge-watching, social, smartphone) a disposizione rispetto alla nostra giovinezza, quando la musica aveva un ruolo irrinunciabile, oserei dire vitale, nella quotidianità. 
E, tutto sommato, probabilmente sempre l'avrà, anche senza supporti fissi.


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