lunedì 22 giugno 2020

Body Count, Carnivore

BODY COUNT - Carnivore

Da quando, nel 2014, Ice-T, assieme al fido chitarrista Ernie C, ha definitivamente riattaccato la spina al progetto Body Count, sono ben tre gli album usciti in sei anni. D'altro canto Ice-T è un uomo impegnato. Non tanto dalla sua carriera di rapper, sostanzialmente interrotta dal 2006, ma da quella di attore, ben più intensa, nella quale l'artista del New Jersey ha già partecipato a un centinaio tra film e serie TV, dal 1984.
Ma noi ai Body Count siamo particolarmente affezionati, da quel debutto cattivissimo e sboccato scolpito a fuoco nella memoria (io l'ho scoperto un pò in ritardo...) a questo Carnivore, qualcosa è cambiato, ma l'attitudine è sempre quella, si pesta giù sempre duro, nella commistione tra rap e metal più autorevole (e resistente) che c'è in giro.
Si preme play e la title track attacca i vegani come nell'immagine della copertina di Vulgar display of power dei Pantera, cioè con un metaforico pugno in faccia. Il pezzo non è tra i puoi veloci, qualche urlo in growling e tanto spazio ad Ernie C, alla chitarra, ma insomma, Ice-T, come da costume non le manda a dire.
La tracklist di undici pezzi è messa assieme con diverse collaborazioni, una cover ed alcuni recuperi di vecchie tracce del periodo rap. 
Capitolo ospitate: per Point the finger troviamo Riley Gale dei grandi Power Trip e dentro Another level il duetto è con Jamey Jasta degli Hatebreed. 
C'è poi la cover di Ace of spades dei Motorhead, aperta da un breve spoken di ricordo per Lemmy, suonata alla grande con tutti i Motorhead superstiti. L'iniziativa è più che apprezzabile, ma se Ice-T avesse scelto un pezzo meno sputtanato e stra-noto? 
Nei recuperi del periodo rap, sottoposti alla cura Body Count, ci sono l'indimenticabile Colors, pezzo portante del film omonimo del 1988 di Dennis Hopper con Sean Penn e Robert Duvall che per la prima volta portò al grande pubblico la "guerra" di L.A. tra le gang dei Crips e dei Bloods, e addirittura il primo successo di Ice-T, quel 6 in tha morning del 1987 sempre gentilmente dedicato ai ragazzi della LAPD.
I pezzi da headbanging selvaggio (pericoloso per rocker della mia età...) sono sicuramente Another level e  Bum rush.
Tra influenze hardcore-punk, thrash, doom, sludge e passaggi alla Rage Against The Machine, mi sembra che anche questa volta ci sia tutto.
Non il disco dell'anno, ma restate indifferenti, se potete.

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