lunedì 3 settembre 2018

Devildriver, Outlaws 'til the end Vol I

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Devo essere onesto, nonostante calchino da oltre tre lustri i palcoscenici del metal e abbiano all'attivo già otto album, non conoscevo i californiani Devildriver. La curiosità di ascoltare l'ennesima band di groove metal mi è sorta solo ed esclusivamente per via di questo progetto: una raccolta di cover di pezzi country, genere outlaw (in realtà poi non è sempre così), eseguita in collaborazione con altri artisti di ambito metal (componenti dei Lambs of God, dei 36 Crazyfists e dei FEAR), ma soprattutto per l'annunciata ospitata con Hank 3, assente dal mercato discografico da oltre cinque anni, dai palchi da due e risucchiato in un limbo di crisi personale-artistica con pochi precedenti.

Ma bando alle ciance su H3 (se inizio non la finisco più), questo Outlaws 'til the end Vol 1 (non è dato sapere quando ci sarà un Vol 2) si apre proprio con l'epica ballata di Hank Country heroes, dal seminale album Straight to hell. La versione proposta mantiene inalterato nel suo prologo l'inconfondibile arpeggio western originale, per poi scatenarsi nel dovuto clangore metallico.
L'obiettivo dichiarato dei Devildriver non è solo quello di rendere omaggio agli artisti del sottogenere outlaw o di affermare il proprio amore per il country (passione condivisa con molti colleghi metallari), ma occuparsi anche di singoli pezzi sui fuorilegge, sebbene i loro autori non rientrino nel suddetto perimetro stilistico. 
E' così che accanto a riproposizioni riuscite di canzoni e artisti storicamente importanti nell'ambito outlaw, come Whiskey river di Willie Nelson, Ghost riders in the sky di Johnny Cash, If drinkin don't kill me di George Jones e A country boy can survive di Hank Williams jr, lo spettro viene allargato agli  Eagles (Outlaw man), Richard Thompson (Dad's gonna kill me), Dwight Yoakam (A thousend miles from nowhere), che in ambito country è notoriamente orientato al Bakersfield sound e a Buck Owens, e Steve Earle (Copperhead road). 
L'episodio peggiore è senza dubbio la cover di The ride, composizione d'importanza seminale di David Allen Coe, letteralmente seviziata dal rifacimento della band.

Ora, lasciando perdere l'idiosincrasia che ho sviluppato nel tempo per l'abuso da parte dei gruppi metal della batteria triggerata, che gradisco come una colonscopia, il disco di per sè è anche gradevole. Certo, lo dico da appassionato di contry e di outlaw, bisognerebbe capire quanto possa essere apprezzato dall'ascoltatore che ignori le canzoni originali qui celebrate.

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