ASCOLTI
Old Crow Medicine Show, Volunteers
Kore Rozzik, Vengeance overdrive
Johnny Bush, The absolute Johnny Bush
Cliff Westfall, Baby you win
DevilDriver, Outlaws 'til the end Vol 1
Lucero, Among the ghosts
NWA, Straight outta Compton
Bokassa, Divide and conquer
Manilla Road, Crystal logic
Willie Nile, Positively Bob
Dee Snider, For the love of metal
Clif Magnes, Lucky dog
Cody Jinks, Lifers
AA.VV. , Atomic Blonde soundtrack
Cowboy Junkies. All that reckoning
Jay Bragg, Honky tonk dream
Fantastic Negrito, Please don't be dead
The Night Flight Orchestra, Sometimes the world ain't enough
Ben Glover, Shorebound
Frankie Goes To Hollywood, Welcome to the pleasuredome
Trampled by turtles, Life is good on the open road
VISIONI
Batman V Superman
Sposami, stupido!
L'anno del dragone
Il camorrista
Figli - Hijos
Ladri di cadaveri - Burke & Hare
Hellboy II, The golden army
Blade Runner 2049
Atomica Bionda
The life of David Gale
The town
Gli sdraiati
Zodiac
Blood diamonds
Una notte da leoni 2
Candyman
Autopsy
Dead draw - Nessun vincitore
La terra dei morti viventi
La fine del mondo (E. Wright)
La talpa (T. Alfredson)
La cosa (J. Carpenter)
Warrior
Now you see me
Ogni cosa è segreta
Sully
8 miles
Straight outta compton
Anarchia - La notte del giudizio
La notte del giudizio - Election day
The departed
Come ti ammazzo il bodyguard
Soldi sporchi
Shutter Island
Uomini si nasce poliziotti si muore
Quella casa nel bosco
Deserto rosso
J. Edgar
Tutte le ore feriscono...l'ultima uccide
The fog (J. Carpenter)
Ant-Man and the Wasp
Bob il giocatore
The end? La fine fuori
Little Odessa
DellaMorte DellAmore
Mistero a Crooked house
Split
Sherlock, stagione 4
Oz, stagione 1
LETTURE
Keith Richards, Life
Roberto Saviano, Zero zero zero
giovedì 30 agosto 2018
lunedì 27 agosto 2018
Ant-Man and the Wasp
Dopo l'ottimo esito del primo film, era inevitabile, per le logiche commerciali dei Marvel Studios, la riproposizione del personaggio di Ant-Man, questa volta in coppia con Wasp (la cui alter ego Hope Van Dyne è interpretata da Evangeline Lilly).
Questa volta l'improbabile gruppo di eroi formato da Scott Lang (Paul Rudd), agli arresti domiciliari per aver aiutato Captain America e la fazione perdente di super eroi in Civil War, da Hope/Wasp e dal padre Hank Pym si mettono in testa che la moglie di Hank, finita trentanni prima nel regno quantico subatomico (come spiegato nel capitolo precedente), sia ancora viva, e per questo, sebbene in clandestinità, preparano un complesso macchinario per l'operazione di salvataggio. Tentano di impedirgli l'impresa, e di impossessarsi della loro strumentazione, la misteriosa Ghost (Hannah John-Kamen), il malavitoso Sonny (Walton Goggins) e l'F.B.I. .
Non so bene cosa non mi sia piaciuto in particolare di questo film. Dopo aver apprezzato l'esordio di Ant Man sul grande schermo e aver letto buone recensioni del suo sequel sono andato al cinema a botta sicura. E invece, sai quando sei in sala e a un certo punto della proiezione ti sorprendi a guardarti in giro, a sbirciare l'ora e a trovare scomoda la comodissima poltrona di un multisala? Ecco è quello che è successo a me. Forse per le aspettative elevate, forse perchè la pellicola spinge troppo sul canone della commedia (non è da tutti trovare la giusta coerenza tra battute e contesto), forse per l'assenza di un vero e proprio villain o per la prevedibilità del plot, ma qualcosa a sto giro m'è parso non funzionare. E non solo per l'inguardabile toupet del mio idolo Walton Goggins...
Di buono ci sono sostanzialmente tutte le sequenze di inseguimento in auto, tra rimpicciolimenti di macchine e ingigantimenti di Ant-Man che usa un pick up come uno skateboard.
Passerella d'onore per Michelle Pfeiffer e Laurence Fishburne.
Passerella d'onore per Michelle Pfeiffer e Laurence Fishburne.
Nelle sequenze a metà e a fine titoli di coda, il collegamento all'epilogo di Infinite War.
E' tutto.
lunedì 20 agosto 2018
The end? L'inferno fuori
Tra le ormai classiche uscite cinematografiche ferragostane, il titolo che attendevo con maggiore curiosità era questo The end? L'inferno fuori.
Lo attendevo con impazienza perchè, da appassionato del cinema di genere italiano del passato, saluto ogni titolo che rievoca quel periodo, uscendo dall'appiattimento delle produzioni nostrane, come se fosse dio risceso in terra.
Quindi, per una volta mi ha fatto piacere tutto l'hype che, soprattutto in rete, ha accompagnato la release nelle sale del film e soprattutto sono stato contento, nel mio piccolo, di contribuire, pagando un biglietto, agli sforzi di autori e produttori della pellicola.
La sinossi è presto fatta: Claudio Verona è un manager dispotico, egoista e arrogante di una grande multinazionale che ha sede a Roma. Una mattina resta bloccato nell'ascensore che lo porta al suo ufficio, dove ha in programma un importantissimo meeting di lavoro. Mentre aspetta che i tecnici risolvano il problema, attraverso alcune telefonate alla moglie e una serie di notizie lette sullo smartphone, si rende conto che qualcosa di grave sta succedendo in città. L'ascensore è sempre bloccato, i tecnici, coi i quali era in contatto telefonico, non gli rispondono più e perciò Claudio tenta di fare da solo, aprendo le porte dell'ascensore manualmente. L'operazione gli riesce solo parzialmente, ma lo spazio ricavato non è sufficiente per uscire dalla cabina. Attraverso quel pertugio ha però la visuale di un lungo corridoio di uffici, dove assisterà alla ragione della crisi in corso: per ragioni ignote le persone sono diventate zombie assetati di carne umana. Quella fessura dalla quale non può uscire, tenendolo in trappola, al tempo stesso impedisce agli infetti di entrare e divorarlo.
The end? L'inferno fuori, anche decontestualizzato dal panorama italiano di cui sopra, ma soprattutto contestualizzato allo stallo del nostro cinema, è un ottimo film. Va fatto un enorme plauso al coraggio dimostrato dai produttori (i Manetti Bros attraverso la nuova casa di produzione Mompracem oltre che a Rai Cinema) per aver creduto in questo progetto del regista Daniele Misischia, che ne ha anche curato la sceneggiatura assieme a Cristiano Ciccotti.
Il film, a mio avviso, recupera tutti gli elementi e i sottotesti dei migliori B movie horror, non solo italiani. L'azione si svolge per la maggior parte del tempo dentro i pochi metri quadrati di un ascensore con un solo protagonista, il convincente Alessandro Roja che è obbligato ad un gran lavoro recitativo a livello di linguaggio non verbale e di espressioni del viso e che interagisce solo occasionalmente con altri attori, tra i quali il poliziotto Stefano (Claudio Camilli), mentre di Carolina Crescentini, moglie del protagonista, sentiamo solo la voce che proviene dallo smartphone di Verona.
Il film poi scongiura alla grande il rischio di ripetitività della dinamica della storia, attraverso espedienti registici efficaci, come l'inquadratura dall'interno della tromba dell'ascensore, di esterni della città e di squarci di quanto accade nel corridoio. Molto suggestivo e, sì, romeriano (lasciatemelo dire, non l'avevo ancora fatto...) il finale, sebbene mi sarei aspettato una conclusione più cattiva (ma si sarebbe rischiato il plagio con l'epilogo de La notte dei morti viventi).
Film bello e importante, da vedere e supportare concretamente per dare un segnale di interesse verso un cinema italiano fuori dagli schemi.
Ho la sensazione che The end? L'inferno fuori sarà molto rivalutato col tempo, magari anche da parte di quanti oggi lo recensiscono con sufficienza.
lunedì 13 agosto 2018
Willie Nile, Positively Bob (2017)
Quando si pensa ai grandi loser del rock, gente di talento che non è mai riuscita a raggiungere il successo commerciale che avrebbe meritato, due sono in particolare i nomi che mi sovvengono immediatamente: Elliott Murphy e Willie Nile.
Quest'ultimo artista nasce a Buffalo nel 1948, ma riesce a debuttare solo nel 1981, con l'album omonimo che contiene la sua canzone simbolo, Vagabond moon. Un altro disco l'anno successivo e poi una lunga iato di dieci anni causata da problemi contrattuali. Poi ancora un lungo periodo di assenza dalle scene e, finalmente, dal 1999 una vera e propria rinascita artistica, che lo porterà ad incidere una decina di dischi in vent'anni.
L'ultimo lavoro è Children of paradise, uscito qualche settimana fa, ma è sul disco dell'anno scorso che si concentra questa recensione.
Come è evidente dal titolo (Positively Bob) Nile ha deciso di cimentarsi con la più semplice e la più insidiosa delle imprese: realizzare un disco di tributo a Bob Dylan.
Nonostante ciò Willie riesce bene nell'intendimento, mettendo molto di suo dentro le composizioni scelte, e, soprattutto, alternando canzoni mitologiche (Blowin in the wind, che non arriva ad intaccare la epocale versione che ne diede Neil Young sull'imperdibile live Weld, e The times they are a-changin) a piccole perle per intenditori (Every grain of sand e Abandoned love, entrambe outtakes recuperate da dio Bob su Biograph).
Dieci tracce in totale il cui impatto all'inizio è molto quadrato e roccherroll, del tipo onetwothreefour! ma dalle quali poi emerge il delicato soul di Rainy day women #12 & 35, la ballata in crescendo I want you e la toccante interpretazione di Love minus zero/No limit.
Un disco diretto e senza fronzoli, ma sempre col cuore in mano.
giovedì 9 agosto 2018
Anarchia - La notte del giudizio (2014)
Sequel dell'ottimo La notte del giudizio, Anarchia sposta la visuale dello spettatore dal microcosmo della casa borghese della famiglia Sandin alle strade di questa generica città americana, nella fascia oraria in cui, il 21 marzo di ogni anno, si svolge l'annuale massacro legalizzato. La violenza diffusa, che nel primo capitolo era limitata allo sfondo della narrazione, qui si prende perciò tutta la scena.
Ovvio che con queste premesse cambino totalmente anche i protagonisti della storia, a differenza del primo film abbiamo infatti tre storylines che si intrecciano: Carmen (Eva Sanchez) con la figlia e un anziano padre malato; Leo (Frank Grillo) un solitario con una missione, e la coppia, in procinto di divorziare, Liz e Shane. Per ragioni diverse tutti questi characters resteranno per strada alla potenziale mercè dei tanti svitati assetati di sangue e dovranno allearsi per cercare di arrivare vivi alle sette del mattino successivo. Intanto qualcuno si sta organizzando, anche militarmente, per opporsi a questo abominio di Stato.
Date le premesse del primo episodio mi sento di dire che finalmente il regista, autore e sceneggiatore James Del Monaco preme l'acceleratore sul significato politico della narrazione, puntando il dito non solo sul governo (una congrega di esaltati chiamati Nuovi Padri Fondatori), ma anche sui media, che sostengono questo Sfogo annuale sciorinando cifre e dati su come l'iniziativa produca benefici all'America. Nella realtà La Purga, visto che si abbatte esclusivamente sugli strati sociali più deboli che non hanno i mezzi per opporsi alle violenze, serve esclusivamente allo Stato per contenere i costi del welfare ed eliminare le sacche improduttive della società. Del Monaco lo lascia intendere e lo fa dire in maniera esplicita, nel finale, ad un villain generale d'esercito, che si lamenta di come la popolazione non uccida abbastanza e di come, quindi, l'esercito debba incrementare i numeri.
C'è tutta l'arte cinematografica e la denuncia politico sociale di Carpenter (pensiamo ad Essi vivono, più efficace di mille simposi sulla società consumistica), dentro queste pellicole, ma a mio avviso non mancano rimandi anche ai Guerrieri della notte di Walter Hill, nella fuga disperata del gruppo di protagonisti che hanno nemici ovunque.
Come nel primo capitolo della trilogia (recentemente arricchita da un prequel, uscito al cinema, e da una serie tv che partirà a settembre) ci sono diverse morali che vengono offerte allo spettatore. Una di queste è che le persone che verranno risparmiate dalla furia omicida saranno salvifiche per le vite altrui.
Insomma, un'opera di intrattenimento ben fatta, che si apre a diverse chiavi di lettura nemmeno tanto nascoste, a patto di non essere ottusi trumpiani o leghisti.
lunedì 6 agosto 2018
La fine del mondo (2013)
Se Kiewsloski aveva la sua trilogia Tre colori, Edgar wright non poteva essergli da meno e con La fine del mondo (The world's end) chiude la sua "trilogia del cornetto". Le pellicole di questa saga sono infatti totalmente indipendenti una dall'altra, ma condividono, ad un certo punto della storia, l'apparizione di un cornetto (sì, proprio il gelato dell'Algida) contraddistinto dall'incartamento di colore diverso (rosso per L'alba dei morti dementi, blu per Hot fuzz e giallo marrone per questo film).
Curiosità a parte, La fine del mondo è un altro centro pieno da parte di Wright. Analogamente a quanto accade per Hot fuzz, la trama iniziale è una sorta di MacGuffin rispetto alla vera direzione del plot.
Gary King (Simon Pegg), un quarantenne senza arte ne parte, decide di radunare la sua vecchia compagnia per cercare di compiere un'impresa solo sfiorata venticinque anni prima, al termine delle high school: completare il "miglio dorato", un percorso di dodici pub nella cittadina d'origine di Newton Haven (The first post; The old familiar; The famous cock; The cross hands; The good companion; The trusty servant; The two-headed dog; The mermaid; The beehive; The king's head; The hole in the wall e, appunto, The world's end) dentro al quale bere almeno una pinta di birra a pub.
Convinti i riluttanti amici ad unirsi a lui in questa impresa etilica e giunti a Newton Haven, i cinque si troveranno ad affrontare una situazione completamente imprevedibile.
E' impossibile che Wright faccia un film banale o prevedibile. Anche questo The world's end, che comincia come una variazione alcolica del filone delle rimpatriate, portate sullo schermo dai tempi del Grande freddo in avanti, ha un ritmo scatenato, sia nella sua parte più comica, che in quella successiva, che non svelo per preservarvi il gusto della sorpresa nella visione. Come in Hot fuzz, anche qui le citazioni sono innumerevoli, ed è un divertimento aggiunto scovarle, il cast degli attori affiatatissimo, a partire dalla coppia Simon Pegg (che è anche co-autore e co-sceneggiatore del film) Nick Frost, che a livello di intesa viaggia ormai col pilota automatico, per passare a Martin Freeman, magari meno incisivo di altre sue prove, ma ben in parte.
Insomma anche La fine del mondo, che ho già visto due volte in pochi giorni (uno da solo e uno con la famiglia) senza che abbia perso un grammo del suo valore, non tradisce quelle che ormai sono le aspettative per i lavori di Wright: divertimento, dialoghi irresistibili, situazioni folli e perchè no, quel pò di introspezione ben calibrata.
Alla prossima, che sarà la recensione di Shaun of the dead, già comprato in blu-ray.
giovedì 2 agosto 2018
Nine Inch Nails, Bad witch
E' un pezzo che i Nine Inch Nails hanno smesso di essere determinanti per la scena musicale che conta. Ma Trent Reznor, che non è mai stato l'artista più prolifico del mondo, basti pensare che nel periodo di massima esposizione della sua creatura, dal 1989 alla fine dei novanta, ha pubblicato solo tre album distanziandoli esattamente cinque anni uno dall'altro, non è certo il tipo che si strugge per la perdita di posizioni cercando disperatamente di rimediare ricalcando il vecchio, confortevole sound. Tutt'altro. Reznor è uno sperimentatore a ciclo continuo, al punto che il suo storico sound, legato all'industrial metal, è diventato ormai solo una suggestione.
Paradossalmente, questo periodo di scarsa esposizione mediatica ha anche rappresentato per i NIN uno dei momenti discografici più prolifici. Infatti, dopo Hesition marks del 2013, la band ha rilasciato tre EP (Remix 2014; Not the actual events del 2016 e Add violence del 2017) e, storia recente, un nuovo full lenght (in realtà il disco non è molto più lungo degli EP che l'hanno preceduto ma nella discografia ufficiale è annoverato tra gli album): questo Bad witch.
Il nono lavoro in trent'anni di musica dei NIN è un raccoglitore delle più disparate ispirazioni e influenze di Reznor. Dagli echi industrial metal delle prime due tracce Shit mirror e Ahead of ourselves, all'elettronica con improvvisazioni avant-garde jazz di Play the goddamend part, all'ambient radicale di I'm not from this world, fino ai picchi qualitativi del disco, rappresentati da un allucinato tributo ai Depeche Mode (God break down the door) e un rispettoso rimando al David Bowie più elettronico (Over and out).
Insomma, con Bad witch Trent Reznor (classe 1965) dà libero sfogo a tutte le sue mille contaminazioni, riuscendo comunque sempre a mantenere un'omogeneità di fondo e un forte focus, per un risultato finale che attualizza in maniera convincente la storia dei Nine Inch Nails.