lunedì 11 dicembre 2017

Sette note in nero (1977)



Nella sua lunghissima carriera artistica, che, limitandosi al lavoro da regista, l’ha visto esordire nel 1959 con Totò e Fred Buscaglione (I ladri) per poi girare ogni tipo di genere cinematografico (dai musicarelli alle commedie ai film con Franco e Ciccio, ai western ai thriler alla fantascienza all’horror), Lucio Fulci è stato costantemente inviso alla critica italiana, anche quando quella internazionale (Francia e USA su tutti) al contrario lo osannava (soprattutto in tema di horror) per il suo stile, la sua messa in scena e le sue trovate innovative, che assumevano un valore ancora più elevato se si pensa che venivano realizzate con budget ridicoli.
Il tempo, una volta tanto è stato galantuomo, se oggi il regista è stato completamente rivalutato ed è diventato oggetto di culto di tanti appassionati cinefili italiani (che magari si sono convertiti anche grazie a registi come Raimi o Tarantino che non hanno mai nascosto la loro adorazione per il cineasta romano), ma quarantanni fa una delle poche eccezioni alla regola degli strali del giornalismo italiano fu Sette note in nero, uscito nel 1977, che riuscì nell'impresa di coniugare un buon successo di critica e di pubblico.
Rivedendolo, se ne colgono al volo le motivazioni trattandosi di un film teso, serrato, nel quale suspance, paure ancestrali e inconscio si prendono il proscenio lasciando al sangue un ruolo marginalissimo in quanto totalmente superfluo alla narrazione.

Virginia (una meravigliosa Jennifer O’Neil), che ha subito un trauma infantile avendo avuto una visione che anticipava il suicidio della madre, da adulta comincia ad avere nuove visioni, nelle quali assiste a flash che le mostrano una donna colpita a morte che viene murata ancora agonizzante. Virginia, che è assistita da un psicoterapeuta, attraverso improvvisi flash comincia a scoprire sempre più particolari della scena, individuando in un casale di campagna abbandonato, di proprietà del neo marito (Gianni Garko) la stanza dove avviene il delitto delle sue premonizioni e scoprendo anche che, nel punto preciso da lei “visto” è murato lo scheletro di quella che si scoprirà essere una giovane donna. Ma non è quello il delitto che la O’Neil vede chiaramente nelle sue visioni…

Fulci riesce a mettere in scena una storia che si sviluppa a spirale, trasmettendo angoscia e tensione, in bilico tra stilemi narrativi cari a Poe e dinamiche che richiamano Hitchcock, potendo contare nella colonna sonora di un main theme che segue gli stilemi del periodo (L’esorcista di Mike Olfield, Suspiria dei Goblin) in maniera spaventosamente efficace (per la cronaca le note del tema che prende il titolo dal film, composte da Frizzi, Bixio e Tempera, sono riprese da Tarantino in Kill Bill nella sequenza in cui la Thurman si sveglia dal coma e aggredisce l’infermiere stupratore). 
Insomma, Sette note in nero si merita l'appellativo di classico (magari minore) della filmografia thriller italiana, che mantiene, a quarant'anni di distanza dalla sua uscita, tutto il suo impatto sullo spettatore.

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